San Francesco, cantore della Pasqua
Una spiritualità che è fatta di “carne ed ossa”
La Carne di Cristo, il Corpo di Cristo. Tutto passa per il corpo, per l’umano. Lui, Figlio di Dio, che è voluto divenire umanità incarnata. E il tema del corpo, della umanità - sappiamo bene - fa parte di tutta la spiritualità di san Francesco d’Assisi. Una spiritualità che volge lo sguardo sì in alto, verso il Cielo, ma che - al contempo - è fatta di “carne ed ossa” verrebbe da dire. Nel Triduo ci sono alcuni punti in cui davvero il divino tocca l’umano: la Coena Domini (Cristo si fa Eucaristia per noi); il Venerdì Santo (il Cristo è crocifisso; sulla Croce c’è un corpo); il Sabato Santo (il corpo di Cristo è nel sepolcro mentre tutto è silenzio attorno). Infine, la Pasqua: Cristo risorge in corpo e spirito. E’ presente anche il corpo, non solo lo spirito.
La Passione per San Francesco passa per le piaghe, per le stimmate, per i segni della sofferenza di Cristo. L’unione delle sue membra con Gesù Crocifisso passa per la sofferenza dell’uomo Francesco che vive tutto questo nel silenzio. La Pasqua, invece passa per il canto: ancora una volta il poeta Francesco troverà proprio nella poesia la possibilità, lo strumento più opportuno per esprimere il suo animo, esultante, per la Resurrezione di Cristo. E San Francesco lo fa attraverso un salmo intero nel suo Ufficio della Passione: “Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha fatto cose meravigliose. Questo è il giorno fatto dal Signore: esultiamo in esso e rallegriamoci. Cantate inni al Signore”. Il canto, dunque, ancora una volta compare nella vita di Francesco, come strumento per lodare il Signore. Un canto, così come il “Cantico delle creature”: lodare Dio per il Creato in quell’ufficio delle letture per il giorno di Pasqua diviene così poema-canto in cui lodare una Creazione che si rinnova - “un canto nuovo” scrive - con la Resurrezione.
San Francesco d’Assisi in questo sintetico ma bellissimo scritto, ci esorta a “esultare” e “rallegrarci”. Usa due verbi che potrebbero sembrare alquanto simili, quasi rafforzativi l’uno dell’altro. Eppure sono due verbi che hanno una loro connotazione ben precisa: sono distinti. Il primo, “esultare”, deriva dal latino “exsultare”, che si traduce in “fare salti”, “danzare”. Viene in mente il salmo 30 che chissà quante volte sarà stato declamato dallo stesso Francesco: “Hai mutato il mio lamento, in danza”. La Croce si dissolve per dare spazio alla luce della Resurrezione. Il secondo verbo è “rallegrarsi”: la danza, al cospetto del Cristo risorto, diviene allora danza di gioia della quale rallegrarsi magari al canto (ritorna il tema del canto) del “Regina coeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare, alleluia. Resurrexit sicut dixit, alleluia”.
San Francesco è davvero cantore e danzatore della Resurrezione perché canta alla vita, tramutando la sofferenza e il dolore in gioia pasquale.
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