fede

San Felice da Cantalice, il francescano amico di San Filippo Neri

Antonio Tarallo Web
Pubblicato il 19-05-2022

Si addentrava nelle vie di Roma per chiedere elemosina

Fu Papa Urbano VIII a far esaminare i tanti miracoli che si attribuivano alla sua intercessione; ne furono approvati quattro dei più strepitosi e nell’anno giubilare 1625, con breve del 1 Ottobre, Urbano VIII lo proclamò Beato; mentre fu Papa Clemente XI nel giorno 22 maggio 1712, festa della Santissima Trinità, a proclamarlo Santo.

Ma di chi stiamo parlando? Uno dei personaggi che hanno edificato la Roma del 500 con dei “fioretti singolari” è San Felice da Cantalice, il primo santo dell’Ordine Cappuccino che nacque tra il 1513 e il 1515 a Cantalice, comune della provincia di Rieti, nel Lazio.

Campagna laziale, alberi e fusti fanno da scenografia. Un piccolo ragazzino si inoltra - accompagnando il gregge paterno - nel silenzio di quei boschi; vuole ascoltare più intimamente la voce di Dio che da tempo gli parla, fin da quando era fanciullo. Trova un albero e sopra gli incide una croce: diventerà la sua personale cappella. E proprio in uno di quei giorni assolati, all’ombra delle verdi piante, sii narra che nel luogo dove oggi sorge il Santuario di San Felice All’Acqua, Felice abbia pregato per far scaturire una sorgente d’acqua.

Tra il 1543 e il 1544 entrerà nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Arriverà a Roma dove svolgerà la sua missione. Gli inizi della sua esperienza religiosa non furono certamente facili, travagliati fisicamente e spiritualmente. Fu inviato a compiere il noviziato ad Anticoli di Campagna, l’attuale Fiuggi. Mentre era ormai novizio nel convento della cittadina vicino Roma, fu preso da una violenta “febbre quartana” che lo destabilizza per un lungo periodo fino ad arrivare al convento di Monte San Giovanni Campano. Qui, superò misteriosamente la dura prova per poi trascorrere i primi anni di vita religiosa tra Anticoli, Monte San Giovanni Campano, Tivoli a Palanzana. Nel 1547 passò al Convento di San Bonaventura a Roma dove rimase fino alla morte, prima come questuante di pane, poi come questuante di olio e vino.

Tra San Felice e Roma c’è un legame profondo: girava per le strade, a piedi nudi, tra palazzi e casette, riempiendo la sua tasca ruvida, che chiamava l’alabarda di pane. Si caricava anche dell’olio, delle legna e delle castagne, delle noci, riempiva le fiasche di vino. E fu proprio a Roma che conobbe un altro grande santo, Filippo Neri, il fiorentino apostolo dei romani. Diventò per lui oltre che modello, fedele consigliere.

Morì verso le sette del 18 maggio 1587 nel convento di S. Croce e Bonaventura dei Lucchesi, nella visione confortatrice della Vergine Santa circondata da una schiera di angeli. Nel momento della morte i piedi di Felice, sempre piagati e ulcerati, divennero bianchi e lisci come quelli di un bambino. Il 27 aprile del 1631 le sue spoglie furono traslate nella chiesa consacrata all’Immacolata Concezione della Vergine Maria in Via Veneto vicino Piazza Barberini; il corteo cui parteciparono duecento frati Cappuccini e la confraternita di San Marcello avanzò imponente fra due fittissime ali di popolo. Il corpo è posto in un sarcofago del III secolo sotto l’altare della seconda cappella laterale sinistra a lui intitolata.

Per molti anni dopo la sua morte nelle vie di Roma si sentivano ancora le ballate da lui composte per il popolo romano che non aveva dimenticato quel fraticello che si addentrava nelle vie della Capitale, cantando: “Se tu non sai la via d'andare in paradiso, vattene a Maria con pietoso viso, ch'è clemente e pia: t'insegnerà la via d'andare in paradiso”.

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