Sacerdoti della Liberazione
Don Giuseppe Morosini e Don Pietro Pappagallo
Immagini scolpite nella memoria di ognuno: in bianco e nero, il volto della Magnani corre dietro a una camionetta di soldati nazisti. La voce, roca, forte, indelebile: “Francesco…Francesco!”. Un urlo che si tramuta in una scarica di mitraglia. La donna, colpita a morte, cade. Il figlio piange sul suo corpo. Un sacerdote, interpretato da un superbo Aldo Fabrizi, corre verso la vittima, l’abbraccia; poi, per proteggerlo, allontana il bambino che continua a piangere disperatamente. E’ una delle immagini più famose del cinema neorealista italiano: “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Dietro alla figura del sacerdote interpretato da Fabrizi ci sono però le figure di due sacerdoti che realmente hanno vissuto quegli attimi di profondo turbamento, scompiglio e confusione che il 25 aprile del 1943 ha destato nella Roma della Liberazione.
Il primo è Don Giuseppe Morosini, divenuto martire per la carità. Di lui, abbiamo un ritratto singolare in una lettera di un suo compagno di cella: “Cara Giovanna, nella mia cella c’è un amico carissimo, ti stupirai nel sentir dire che è un prete, ed è autore della presente ninna nanna; il mio amico Peppino mi ha promesso che farà lui il battesimo se non capita qualche guaio”. A quel battesimo, Epimenio Liberi - autore di queste righe indirizzate alla moglie in attesa del loro terzo figlio - non parteciperà mai perché venne ucciso nell’eccidio delle Fosse Ardeatine il 24 Marzo 1944. All’epoca Roma è occupata dalle truppe naziste; c’è fermento nella Capitale perché si decide di liberare la città dai nazisti. In questo scenario storico ecco Don Peppino che, di nascosto, celebra la messa, al costo della vita; sconvolto per le vicende della comunità ebraica di Roma, decide di salvare alcuni ebrei che dopo il 16 ottobre 1943 si sono rifugiati in santa Maria in Campitelli, una chiesa vicino al Ghetto di Roma: alcuni vengono nascosti al collegio Leoniano, altri a Monte Mario, una zona “periferica” della Capitale. Don Peppino però viene denunciato da due infiltrati: venduto per settantamila lire alle truppe della Gestapo. Cristo fu venduto per trenta denari. Don Morosini verrà fucilato il 3 aprile 1944, giorno del lunedì dell’Angelo.
Sempre dietro alla figura del sacerdote di Rossellini, vive un altro ministro di Dio che ha offerto la sua vita agli ultimi: è Don Pietro Pappagallo. A Roma, a pochi passi dalla basilica di Santa Maria Maggiore c’è una targa che lo ricorda. E’ in via Urbana, al numero 2. La targa reca queste parole: “In questa casa nel tempo buio dell’occupazione nazista rifulse la luce del cuore generoso di Don Pietro Pappagallo Terlizzi. Accolse con amore i perseguitati di ogni fede e condizione fino al sacrificio di sé. Cadde nel segno estremo della redenzione e del perdono di Dio”. Don Pappagallo venne arrestato e torturato nella prigione di via Tasso, la famosa sede romana della polizia tedesca. Ora quelle stanze ospitano il Museo della Liberazione. Verrà condotto alle Fosse Ardeatine - a seguito della rappresaglia tedesca dopo l’attentato di via Rasella - dove viene fucilato, benedicendo i suoi assassini, il 24 marzo 1944. La stessa fucilazione rappresenta il finale del film di Rossellini: intenso, vibrante e commovente il viso di Aldo Fabrizi mentre prega il Signore durante i suoi ultimi istanti di vita.
Don Pietro Pappagallo è stato dichiarato “Giusto tra le nazioni”, riconoscimento finora conferito a circa 22mila persone - 400 sono italiani - dalla Commissione costituita presso lo Yad Vashem di Gerusalemme.
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