Pandemia e scartati, i preti di periferia accanto agli ultimi
Le sfide affrontate da chi è considerato 'emarginato della società'
La pandemia ha cambiato le nostre vite. Ormai lo leggiamo ovunque da quasi un anno. Ci viene detto che dobbiamo imparare una nuova normalità, nuove regole, nuovi modi di interagire con gli altri perché quelli a cui siamo abituati non sono più adeguati, anzi, sono addirittura pericolosi. Abbiamo capito che una delle soluzioni per scampare al Covid-19 è quella di isolarci nelle nostre case, limitando al massimo i contatti: emarginandoci. Facile per chi ha la possibilità, ma come affronta le nuove sfide di questo periodo chi era già considerato un emarginato della società? Abbiamo chiesto a tre religiosi che operano tra gli ultimi cosa significa, in questo periodo di pandemia, lavorare a contatto con coloro che la società definisce “scarti”:
Padre Alex Zanotelli Missionario comboniano, dapprima in Sudan, quindi direttore di Nigrizia e poi negli slum di Nairobi, da dieci anni vive al rione Sanità di Napoli, da dove è leader di battaglie civili come quella per l’acqua bene pubblico. "In passato il sistema creava sempre più disuguaglianze ma adesso quest’ultimo ne sta creando ancora di più. Quello che vedevamo accadere nel sud del mondo, oggi lo stiamo toccando con mano anche qui. Sta venendo a galla l’egoismo umano. Basterebbe pensare alla questione dei vaccini, che solo i ricchi possono averlo e i poveri nulla. Questo egoismo umano è parte integrante del sistema e adesso si sta manifestando in tutta la sua virulenza creando anche degli scontri".
Padre Vittorio Trani cappellano di Regina Coeli: "Significa sforzarsi, mettere in pratica quello che il Signore ci ha indicato come una strada molto impegnativa dell’essere suoi seguaci. Noi Stiamo cercando nel nostro piccolo di mettere in pratica quanto appena detto. Abbiamo il centro che accoglie persone senza tetto e fanno recapito qui e questo significa accogliere coloro che soprattutto in questo momento sono in difficoltà".
Padre Danilo Salezze della Comunità San Francesco di Monselice: "In questo periodo si nota che è cresciuto molto il bisogno di relazionarsi e si cerca di mantenere una relazione “terapeutica” e di sostegno alle persone perché sono aumentate queste necessità e sono diminuiti le possibilità d’incontro. In questo periodo è aumentato il consumo di alcool soprattutto nella popolazione che ha già disagi. Si sta sentendo una carenza di comunicazione e di vicinanza. La nostra preoccupazione è che al termine di questa pandemia si dovrà costituire da capo una nuova grammatica delle relazioni".
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