Il pensiero francescano di dialogo
Da quella prima comparsa del termine “dialogo” negli scritti dei papi - mi riferisco alla Ecclesiam Suam del Santo Paolo VI nel ’64, dove così si esprime: “La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” usando per 60 volte la parola dialogo - vorrei affermare che nel mondo cristiano si è compiuto un notevole cammino. Seppure, permettetemi di sottolinearlo, non sempre lineare e in avanti. Se infatti nel pensare comune delle attuali società, in occidente come in oriente, il dialogo non è certo di moda, lo stesso purtroppo accade all’interno della Chiesa e delle chiese, almeno in larga parte.
Assistiamo di frequente ad atteggiamenti di chiusura nei confronti dell’altro, a riaffermazioni della propria identità “contro” e non “con” chi è giudicato diverso, ad innalzamenti di muri, fisici o verbali, dettati dalle diffuse paure che serpeggiano nel sentire comune e che diverse volte sono diffuse ad arte da quei governanti che possono così guadagnare consensi promettendo finalmente sicurezza. E sono sempre le promesse a guadagnare voti, non i fatti concreti ma le promesse, e attraggono soprattutto quando sono palesemente irrealizzabili!
I cristiani, molti tra loro, respirano questa stessa aria che li porta a chiudersi nelle proprie fortezze, ad usare un linguaggio il più delle volte autoreferenziale, a riaffermare le proprie verità senza bisogno di confrontarsi con l’altro e tantomeno di ascoltarlo, soprattutto quando si tratta di un credente di un’altra religione. Si tratta di un atteggiamento sicuramente distante da quella chiesa in uscita di cui tanto parla Papa Francesco, lontano da quella buona pratica del dialogo affermata nel Concilio Vaticano II e tanto significativamente realizzata nello storico incontro di Assisi del 1986 dal Santo Giovanni Paolo II.
Si è concluso da poco l’Incontro Internazionale “Ponti di Pace” promosso anche quest’anno dalla Comunità di Sant’Egidio, questa volta a Bologna, sempre nello spirito di Assisi. Spirito di incontro, di amicizia, di dialogo. Abbiamo vissuto di nuovo e toccato con mano la bellezza e la forza dell’essere insieme. Non si tratta della forza dei potenti, ma di quella dei deboli, che insieme ritrovano il coraggio, l’intelligenza e le energie di un dialogo costruttivo che porta la pace, appunto costruendo ponti capaci di superare ogni muro. Ponti che uniscano dove c’è divisione, percorribili da popoli interi che trovano così accoglienza, davvero ponti di pace.
Sebbene sia cresciuto in questi 32 anni, da Assisi a Bologna, un largo movimento di pace, non possiamo tuttavia ignorare di essere sempre una minoranza, di andare comunque controcorrente rispetto alle tendenze tanto diffuse nel nostro mondo. Ma non era forse così anche per Francesco d’Assisi, uomo del dialogo? Non era forse il suo dialogare anche con chi ritenuto “nemico” giudicato come un atteggiamento ingenuo e poco produttivo?
Il dialogo infatti, si rivela sempre più in modo chiaro, non è ingenuità o buonismo, ma non è neanche solo un buon atteggiamento etico. E’ piuttosto uno strumento arguto e perspicace per costruire il vivere insieme basato sul bene comune, quindi la pace. In altre parole -è stato vero per Francesco figlio di Pietro Bernardone, è vero per Papa Francesco, ma anche per chi vive l’impegno quotidiano dello spirito di Assisi- il dialogo è una strategia, un metodo intelligente per attuare quella politica della misericordia che sola cambia il mondo perché trasforma le menti e i cuori, dei politici come dei religiosi, dei credenti come degli umanisti. Davvero di tutti… naturalmente ad eccezione degli indifferenti. Infatti il dialogo è in grado di unire gli uomini e le donne, di sviluppare visioni autentiche -e non c’è politica senza visioni, ed è la mancanza di visioni che ha fato crollare la vera politica lasciando spazio a tante forme di populismo- esso è in grado di unire la terra con il cielo, in altre parole il presente con il futuro, quindi di aprire processi di cambiamento.
Praticando questo dialogo nello spirito di Francesco di Assisi ci siamo coinvolti, dalla fine degli anni ’80 ad oggi, in 18 negoziati di pace, a cominciare da quello in Mozambico, firmato nel lontano 1992, fino al Sud Sudan o al Centro Africa oggi. Il mondo ha bisogno di questa politica della misericordia attuabile attraverso l’intelligenza del dialogo, perché il mondo ha bisogno della pace.
La lotta alla violenza e la costruzione della pace è infatti il fine del dialogo stesso, che altrimenti il dialogo interreligioso sarebbe - come purtroppo a volte rischia di diventare - un mero esercizio intellettuale, un’esperienza di élite religioso-culturale, una pur interessante conversazione di un salotto di “addetti ai lavori”. E’ venuto il tempo che le religioni spendano con coraggio e audacia la loro forza -maturata nel dialogo di anni e fatta di comprensione dell’umanità, di capacità di riconciliazione, di visioni di speranza- per trasformare il mondo.
Più passa il tempo e più sono fermamente convinto che solo cambiando i cuori si può cambiare il mondo. Si può certo cambiare le strutture, ma se i cuori non cambiano le strutture di una società -cambiando pure i nomi, le persone o i colori- prima poi tornano le stesse di prima. Il cambiamento delle strutture non porta al cambiamento dei cuori, mentre cambiando i cuori le strutture cambieranno.
Grazie Francesco, figlio di Pietro Bernardone, per aver aperto questa strada di dialogo che è arrivata fino a noi!
Alberto Quattrucci
Segretario generale di Uomini e Religioni
Comunità di Sant’Egidio
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