Siria. Progetto "Ospedali aperti", l'impegno si rinnova fino al 2020
Grazie ad una rete solidale 'Avsi' garantirà cure gratuite per 50mila persone in tre ospedali a Damasco e Aleppo
In un Paese piegato da anni di guerra, dove non hanno più accesso alle cure 11 milioni di siriani, di cui il 40% bambini, l’emergenza sanitaria ormai non ha eguali. Ecco perché attraverso la risposta al bisogno di salute delle fasce più povere della popolazione passa anche l’inizio del percorso di ricostruzione delle relazioni sociali.
A questo bisogno intende rispondere il progetto umanitario «Ospedali aperti in Siria» che, terminata la prima fase biennale, si rinnova e amplia la sua missione fino alla fine del 2020. L’obiettivo – presentato ieri all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede alla presenza dell’ambasciatore Pietro Sebastiani – è portare cure gratuite ad almeno 50mila persone vulnerabili in tre centri sanitari non profit del Paese: l’ospedale italiano e l’ospedale francese a Damasco e l’ospedale Saint Louis ad Aleppo. Parallelamente continuerà l’adeguamento delle attrezzature mediche già avviato dal 2017, e comincerà la fase di formazione degli operatori sanitari siriani (in loco e in Italia) col supporto della Fondazione Gemelli e dell’Università Cattolica.
(Il presidente Cei cardinale Bassetti e l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede Sebastiani alla presentazione del progetto)
Tutto questo si potrà realizzare, sotto la gestione dell’Avsi, grazie ai fondi raccolti finora (11 milioni, ma ne mancano ancora cinque per raggiungere il budget complessivo) da donatori provenienti da tutto il mondo. A partire dalla Conferenza episcopale italiana (fondi 8xmille), Papal Foundation, Fondazione Policlinico Gemelli Irccs, Fondazione Terzo Pilastro, la Gendarmeria vaticana attraverso la Fondazione San Michele Arcangelo e, tra gli altri, governo ungherese e Conferenza episcopale ungherese, americana, coreana, canadese, Caritas spagnola. Una rete di solidarietà che «finora ha già permesso di curare 23mila persone, soprattutto anziani e minori» – spiega Giampaolo Silvestri, segretario generale Avsi – restituendo dignità a persone che si sentono dimenticate.
«Fratelli e sorelle di una terra martoriata su cui si stanno spegnendo i riflettori del mondo», ricorda il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, proprio quando «i gesti di vicinanza e solidarietà dovrebbero moltiplicarsi». Con questo progetto, perciò, «speriamo di rispondere almeno alle necessità primarie della popolazione, soprattutto alle sofferenze dei bambini». Per questo il porporato ringrazia i cittadini che «contribuiscono con l’8xmille a questa opera di solidarietà». Poi a margine dell’evento, proprio riferendosi ai migranti che arrivano in Italia anche dalla Siria, il presidente della Cei sottolinea che «i corridoi umanitari sono un’ottima soluzione, certo aiutare chi è in pericolo di vita in mare questo è evidente».
(Il nunzio apostolico in Siria cardinale Zenari [a destra], con Silvestri dell'Avsi [al centro] e Raimondi della Fondazione Gemelli [a sinistra] )
Anche il ringraziamento del nunzio apostolico in Siria, cardinale Mario Zenari, che nel 2016 ideò il progetto «Ospedali in Siria» insieme a monsignor Giampietro del Toso, allora segretario del Pontificio consiglio Cor Unum, «va alla Cei che ha risposto con generosità e a tutti quelli che hanno seminato e seminano in questo deserto apparentemente arido, che un giorno però darà frutti».
La Siria infatti è «nell’occhio del ciclone nel quale tanti Paesi si fanno la guerra per procura», ma con questo progetto – continua il cardinale Zenari – si «cura il fisico e parallelamente si ricostruiscono le relazioni interreligiose». La bellezza del progetto – aggiunge il presidente della Fondazione Gemelli Irccs Giovanni Raimondi – è dovuta al fatto che «combina due eventi: la buona salute a chi non l’ha e la costruzione di un percorso per un vivere civile».
E che permette di manifestare, gli fa eco Emmanuele Emanuele presidente della Fondazione Terzo Pilastro, «il senso di fraternità che tutti gli uomini degni di questo nome dovrebbero avere».
Alessia Guerrieri - Avvenire
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