Siria. I bimbi nell'inferno di Idlib. Ogni giorno ne muoiono quattro
Lanà Fahman, minore, età imprecisata, provincia di Idlib. Il suo è uno dei tanti nomi che compaiono freddamente ogni sera sui bollettini di guerra e che le famiglie siriane, anche all’estero, leggono con attenzione, con la speranza di non trovarvi mai i nominativi di amici, parenti o anche solo di persone conosciute. Il nome di Lanà, perà, è scritto nero su bianco. E spicca tra gli altri perché solo pochi giorni fa la piccola ha perso, a causa dei bombardamenti sulla sua casa, la madre e tre fratellini. Lanà non aveva armi, come non ne avevano i suoi fratellini, né la madre. La loro tragedia, scolpita nello sguardo disperato del padre, unico superstite della famiglia, ricorda ancora una volta che nella provincia siriana sono i civili a pagare il tributo di sangue più alto.
È di almeno venticinque vittime civili e cinquanta feriti l’ultimo bilancio dei bombardamenti russo-governativi su Idlib e Hama, in Siria. Ben tredici delle persone che hanno perso la vita erano del villaggio rurale di Jabala. L’esclation militare non accenna a placarsi, tanto da costringere diversi gruppi di medici a rinunciare a dare le coordinate delle cliniche per evitare che le stesse continuino ad essere colpite.
Solo nel mese di maggio ben 25 strutture medico-sanitarie sono state distrutte. Secondo la Ong “Physicians for Human Rights”, dall’inizio del conflitto, nel 2011, ci sono stati 566 attacchi contro ben 350 strutture sanitarie; 890 persone, tra medici, infermieri e paramedici, hanno perso la vita. “Save the Children” ha lanciato, nei giorni scorsi, un nuovo allarme sulla tragica situazione in cui vivono i bambini nelle zone sotto bombardamento. Nelle ultime due settimane, riferisce l’organizzazione, hanno perso la vita più di sessanta bambini; 35 scuole sono state danneggiate e oltre 70mila minori in età scolare hanno urgente necessità di un supporto educativo.
La presenza sul territorio controllato dai ribelli di pericolose milizie legate ad al-Qaeda non può far dimenticare l’esistenza di circa tre milioni di sfollati, che necessitano protezione. Secondo le Nazioni Unite, circa mezzo milione erano già stati sfollati da altre zone della Siria. Al confine con la Turchia, il campo di Atmeh è diventato negli anni il punto di raccolta di sfollati interni più grande al mondo. Un’infinita distesa di tende blu dove circa 800mila persone vivono in condizioni di grave precarietà. Tra i civili che chiedono un cessate il fuoco immediato a Idlib ci sono anche allevatori e contadini, in particolare nella zona di Khan Sheikoun, dove centinaia di ettari di campi coltivati hanno preso fuoco a causa dei bombardamenti, distruggendo gli unici mezzi di sostentamento della gente del posto. Idlib e Hama non sono le uniche zone dove la tensione è ancora alta.
Media panarabi hanno riferito di un vasto incendio scoppiato nei giorni scorsi a Baghouz, tra l’Eufrate e il confine iracheno, in quella che è stata considerata l’ultima roccaforte del Daesh. Un altro incendio, nella Valle della Bekaa, in Libano, divampato tra le tende del campo profughi che ospita oltre seicento siriani, ha scatenato nuove tensioni tra i profughi e gli abitanti del posto, tanto da spingere il capo del governatorato di Baalbek-Hermel a imporre l’isolamento del campo.
«A Baalbak – ha dichiarato il dirigente – ci sono centinaia di campi profughi, se un incidente provoca tanti problemi, la pace stessa viene minacciata». Secondo Nasser Yassin, direttore di ricerca dell’Issam Fares Institute all’Università americana di Beirut, i profughi sono oggetto di «punizioni collettive» e subiscono forti pressioni. Ad Arsal, almeno venticinquemila rifugiati hanno saputo che le loro baracche verranno demolite entro il primo luglio.
Asmae Dachan, Avvenire
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