Non arrendetevi, continuate a sognare
Il vero nodo è l'instabilità del Medio Oriente
- Un serpentone lungo chilometri in una città, dopo anni di morte e distruzione, finalmente in festa. È la folla raccolta nello stadio Franso Hariri di Erbil, ultima tappa di un viaggio unico, epocale, storico nella terra di Abramo. Una marea umana – 10mila persone, ma potevano essere molte di più se il Covid, anche qui, non avesse imposto il distanziamento - che ha accolto l’auto blindata di papa Francesco nell’ultima tappa di una “tre giorni” che ricorderemo per sempre. Lungo il tragitto, cecchini appostati ovunque. Sopra le teste della gente, droni pronti a intervenire. Misure di sicurezza senza precedenti per Francesco, che nel corso della celebrazione ha lasciato due indicazioni che diventano programma di vita:
“Sicuramente ci sono momenti – ha detto il papa - in cui la fede può vacillare, quando sembra che Dio non veda e non agisca. Questo per voi era vero nei giorni più bui della guerra, ed è vero anche in questi giorni di crisi sanitaria globale e di grande insicurezza. In questi momenti, ricordate che Gesù è al vostro fianco. Non smettete di sognare! Non arrendetevi, non perdete la speranza! Dal Cielo i santi vegliano su di noi: invochiamoli e non stanchiamoci di chiedere la loro intercessione. E ci sono anche i ‘santi della porta accanto'. Questa terra ne ha molti, è una terra di tanti uomini e donne santi. Lasciate che vi accompagnino verso un futuro migliore, un futuro di speranza”.
Un invito, un monito deciso, accorato, gentile a pensare in grande, a pensare in alto, a non perdere la strada dei sogni. Anche se questa strada, a volte, può essere accidentata. Lo è stato certamente, il tragitto che ha portato a questo pomeriggio iracheno, e lo è anche quello che porta al vicino Iran, terra dell’Islam meno moderato. Il Paese degli ayatollah, almeno a giudicare dalla stampa di regime, è stato particolarmente freddo nei confronti di questa visita, un segno evidente che le tensioni storiche tra i due Paesi e tra l’Iran e l’Occidente non si sono ancora sciolte. Tensioni di un’area instabile da decenni: la cacciata dell’ultimo Scià di Persia, la crisi degli ostaggi nell’ambasciata americana nel 1980, e poi una delle più sanguinose guerre del Novecento, quella tra Iran e Iraq negli anni seguenti. Una sequela di morte, una via crucis mediorientale sempre più ripida: due conflitti (Bush padre e Bush figlio), il grande inganno delle armi di distruzione di massa mai trovate nel Paese, e poi l’Isis, i boia incappucciati, i prigionieri vestiti di arancione.
Siamo e restiamo tutti fratelli, nonostante tutto. I cristiani in Iraq, i cristiani di tutto il mondo, tutti gli esseri umani oggi sono sorpresi e felici e in un coro unanime ringraziano un pontefice coraggioso che ha sfidato l’estremismo pur di difendere la speranza. Anche a costo di prendersi dei rischi, e con la consapevolezza che il Paese è sul crinale che separa la pace dalla guerra e l’odio dall’amore. Il timore di Francesco è che i fragili equilibri raggiunti possano rompersi, che la tregua possa interrompersi, la vendetta riemergere, il terrorismo tornare a galla. E che la stabilizzazione geopolitica, unica chiave di volta per pacificare la regione, possa non avvenire.
Tuttavia, la certezza condivisa è che il papa non ha visitato l’Iraq come il condottiero di un esercito di fedeli, ma come pellegrino e penitente. Per essere beati, ha ricordato Francesco, “non siate eroi ogni tanto, ma testimoni ogni giorno”. Vivete il cuore del Vangelo, anche in situazioni drammatiche, senza dare spazio alla vendetta, ma perdonate. Siate tutti fratelli.
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