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Libia, tra geopolitica e migranti. A Palermo un vertice internazionale

Mario Scelzo Ansa - ZUHAIR ABUSREWIL
Pubblicato il 09-11-2018

La conferenza, organizzata dalla Farnesina, vedrà la partecipazioni dei grandi leader del mondo

Nelle giornate del 12 e 13 Novembre, presso la splendida cornice di Villa Igiea a Palermo, si terrà il Vertice sulla Libia organizzato dal Governo Italiano. La conferenza, organizzata dalla Farnesina, vedrà la partecipazioni dei grandi leader del mondo: già confermata la presenza della cancelliera tedesca Angela Merkel, oltre a quella di Fayez al Serraj, presidente del governo di accordo nazionale della Libia e del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica e volto dell’opposizione. Ancora incerta la partecipazione dei presidenti di Stati Uniti, Russia e Francia: Trump, Putin e Macron.

“Ma hanno comunque assicurato una presenza di alto livello ai lavori della conferenza”, ha spiegato Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri. La Libia, secondo gli ultimi dati a disposizione, non raggiunge i 7 milioni di abitanti. Come mai allora tanto interesse da parte dei leader mondiali nei confronti di una nazione che ha una popolazione inferiore a quella ad esempio di Londra o della Lombardia? Immigrazione, petrolio, geopolitica, sono solo alcuni degli “ingredienti” che rendono la questione libica di vitale interesse non solo per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo ma per il mondo intero.

Il primo “nodo” che emerge parlando di Libia è geografico, sostanzialmente il paese è diviso, da sempre, in 3 macroregioni: 1) La Cirenaica, che occupa tutta la fascia orientale del territorio libico, lungo il confine con l'Egitto. 2) La Tripolitania, che occupa la fascia settentrionale, lungo il mediterraneo, dal confine con la Tunisia, fino alla fine del Golfo della Sirte. 3) Il Fezzan, che occupa la parte sahariana a sud della Tripolitania, dal confine con l'Algeria fino alla Cirenaica, lungo il confine con Niger e Ciad. Per farla breve, tagliando con l’accetta secoli di storia, nessuna dominazione straniera (i romani, poi gli arabi, poi la colonizzazione italiana) ha di fatto riunificato il paese, da sempre schiavo di profonde divisioni tribali.

Paradossalmente, l’unico leader capace di mostrare la Libia come un paese unito è stato il Colonnello Muammar Gheddafi, che dal 1969 al 2011, nonostante una rigida dittatura militare, ha goduto di un sostanziale appoggio dei vari gruppi tribali del paese. Nel bene o nel male, la Libia di Gheddafi è stata per oltre 40 anni una nazione relativamente stabile, sia politicamente che economicamente, anche grazie alla scoperta di numerosi giacimenti petroliferi sul proprio territorio.

Addirittura per molti anni la Libia si è accreditata come nazione faro del Continente Africano; Gheddafi ha avuto un ruolo di primissimo piano nella nascita della Unione Africana (formalmente nata nel 2002 a Durban ma “benedetta” dal Colonnello nel 1999 a Sirte), è noto l’appoggio della Libia alla battaglia anti apartheid di Nelson Mandela, numerose sono state le donazioni economiche partite da Tripoli alla volta di numerosi paesi africani. Questa situazione, che mi ripeto si fondava su canoni tutt’altro che democratici ma garantiva la stabilità della zona, termina improvvisamente il 20 Ottobre 2011 con la morte del Colonnello, catturato ed ucciso dai ribelli del Consiglio Nazionale di Transizione, al termine di una guerra civile “benedetta” (con tanto di appoggio militare) dalle forze francesi, inglesi ed americane. Per dovere di cronaca, va ricordata la totale contrarietà dell’allora Premier italiano Silvio Berlusconi all’intervento militare nel paese.

Sostanzialmente, la guerra civile iniziata nel 2011 non è ad oggi terminata. Pur se non si combatte, il paese è di fatto diviso in due: Al Serraj gestisce la Tripolitania, il generale Haftat la Cirenaica. Fateci caso, nessuno dei due ha un reale controllo dell’immenso deserto libico, rotta di passaggio dei migranti che partendo dall’Africa Equatoriale cercano un futuro migliore in Europa.

Superata la difficile traversata del deserto, ad attendere il migrante c’è il caos libico; sono ormai numerosissime le drammatiche testimonianze raccolte dalle organizzazioni non governative, ne cito una fra le tante: "Dopo il terribile viaggio nel deserto speravo che in Libia la situazione sarebbe stata migliore di quello che avevo vissuto. Pensavo che sarei stata impiegata come domestica in una casa di arabi, come mi era stato detto. Mi hanno invece portata in un centro, dove sono rimasta molti mesi. Mi davano da mangiare un pugno di riso ogni giorno, me lo versavano sulle mani. Vendevano il mio corpo agli uomini arabi e io non potevo sottrarmi. Quando ho provato a farlo sono stata brutalmente picchiata e violentata".

Dalla Libia sono partiti negli ultimi anni migliaia se non milioni di persone alle volte dell’Europa; molti hanno perso la vita nel Mediterraneo, moltissime donne hanno subito violenza, l’assenza di un Governo stabile ha visto arricchirsi trafficanti di uomini, di armi, di droga. E l’Italia? Con sfumature diverse, gli ultimi governi del nostro paese hanno affrontato la questione libica, a mio parere, con superficialità ed ipocrisia (tolta la felice parentesi umanitaria di “Mare Nostrum”, voluta dal Governo Letta ma non rinnovata dai suoi successori).

L’attuale Ministro dell’Interno Salvini sa bene che togliere alle Ong la possibilità di soccorrere i migranti con le proprie navi aumenta la permanenza di donne ed uomini nell’inferno libico.Il suo predecessore Marco Minniti non è stato da meno, firmando accordi ufficiali col Governo Libico per prevenire l’immigrazione illegale, di fatto stoppando i flussi di arrivo sulle coste italiane, ben sapendo che la Libia di oggi non è in grado di garantire la tutela dei diritti umani. Nimby, Not in My Back Yard, non nel mio cortile, è una espressione anglosassone che ben si associa al comportamento recente dell’Italia: fate dei migranti quello che volete, basta che non lo fate nel mio giardino.

L’Italia ha una possibilità di riscattare i suoi recenti errori lavorando al meglio per la buona riuscita di questo importante vertice. Una Libia stabile porterebbe benefici a tutta l’area del Mediterraneo, nonché all’intero continente africano. Inoltre, la presenza di uno Stato pienamente legittimato e capace di controllare il territorio permetterebbe la realizzazione di programmi a lunga durata sul tema della immigrazione, capaci di garantire contemporaneamente legalità, rispetto dei diritti umani e contrasto ad una immigrazione senza controllo.

Da anni si ipotizza di creare sul territorio africano, magari proprio in Libia, dei centri di identificazione per i rifugiati che hanno diritto d’asilo, in questo modo il richiedente asilo eviterebbe il rischiosissimo viaggio nel Mediterraneo per presentare la domanda direttamente in terra africana. Si eviterebbero i viaggi della morte, il business della malavita che gestisce le tratte, i salvataggi in mare, le lunghe detenzioni nei centri in Italia etc… ma tutto questo sarebbe possibile solo avendo un Governo Libico pienamente legittimato e funzionante.

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