La triste Pasqua dei sopravvissuti di Kiev
Ci accolgono con il sorriso dei bambini
No, a svegliarci non è il suono delle campane che annunciano la Resurrezione. A svegliarci è il suono delle sirene di Kiev. Alle 2.00 la prima, alle 5.00 la seconda. Le agenzie rilanciano le minacce russe, sempre più forti. È, questa, la triste Pasqua delle città ucraine, alcune distrutte, altre spettrali. Bucha, Irpin, Gostomel, e infine Mariupol dove saremmo voluti arrivare, ma la situazione continua a peggiorare e le autorità militari per la nostra sicurezza non ce lo permettono.
Saranno due domeniche importanti. La Pasqua per i cattolici, la prossima quella per gli ortodossi. La sensazione è che a una polarizzazione geopolitica se ne accompagni anche una religiosa. A una politica progressista e una fede inclusiva dalla parte occidentale si oppongono una politica conservatrice e una fede integralista da quella russa. Due visioni della vita e del mondo. È uno scontro titanico in atto, al cui confronto questa guerra sembra solo un pretesto.
Al di là di quest’analisi che non mi compete, torno al racconto della mia Pasqua in prossimità di Kiev, che trascorro con alcuni volontari nei centri di accoglienza profughi. Uno di questi era una vecchia scuola. Oggi ospita circa 250 persone con una situazione igienica al limite dell’umanamente sopportabile. Camere con un frigo, un tavolino, piccoli fornelli e un letto di fortuna dove dormono in quattro in compagnia di cani e gatti.
Ci accolgono i sopravvissuti di Kiev con il sorriso dei bambini, la dignità delle madri, l’indignazione dei padri. I giovani invece sono al fronte. Quando i più piccoli scorgono i giocattoli saltano per la gioia, gridano, ci abbracciano, ancora inconsapevoli di quello che accade fuori. Una ragazza è china al davanzale della finestra. Sembra un quadro di Dalì, ma fuori non c’è il mare. Fuori ci sono monumenti dei Santi protetti da cumuli di sacchi di sabbia. Anche i Santi in questa Pasqua di guerra devono essere protetti.
Intervisto il sindaco di Terebovlia, Olec Prodan. Come sta accandendo in altre città, il primo cittadino riveste un triplice ruolo: gestione degli aiuti umanitari, accoglienza e smistamento dei profughi, coordinamento militare. Quest’ultimo è particolarmente importante: "Solo un contatto continuo con i generali – aggiunge – ci permette di scegliere i giovani più adatti a determinate situazioni e di prepararli all’occorrenza. Non siamo come i russi che mandano i ragazzi come agnelli al macello. Ci siamo organizzati e vogliamo aver rispetto per i civili. Ci aiutiamo l’un l’altro. Questa guerra la vinceremo. Con tutti gli uomini che stanno ritornando a casa, vinceremo". E continua, Prodan: "Ci chiediamo come si possa prendersela con i più deboli, senza alcuna pietà. Non riusciamo a perdonare l’insensata violenza dei russi".
Le parole del sindaco trovano la piena approvazione di uomini e donne ucraine. Tutti sono determinati a combattere per la loro terra e a non arrendersi. Resto colpito da questo coraggio, mentre scorgo le lacrime sul volto di una madre con la bimba tra le braccia.
In strada di nuovo verso Kiev notiamo che soltanto una strada è rimasta asfaltata. Ed è presidiata da continui check point con soldati muniti di kalashnikov. Ci fermano; i controlli sono severi e intimoriscono. Quando però capiscono che siamo italiani, i soldati si sciolgono e ci ringraziano per l’aiuto fraterno del nostro paese. Intanto a Kiev i nostri frati, che vengono toccati e baciati dalla gente come portafortuna, si coordinano con quelli del convento francescano di Leopoli. Si eleva forte la preghiera per la pace. Purtroppo è rimasto inascoltato l’appello di Papa Francesco a deporre le armi. Sarà difficile gioire oggi per gli ucraini, e noi con loro. Ma Kiev, come l’Ucraina, risorgerà. E allora sì che le campane di Pasqua torneranno a suonare. (Huffington Post)
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