Progetti per fermare la strage dei senzatetto
111 i senzatetto morti in Italia
Sono già «111 i senzatetto morti in Italia nei primi quattro mesi del 2022» nota Michele Ferraris, portavoce della fio.PSD (la federazione italiana degli Organismi per le Persone Senza dimora). E tra il 2020 e il 2021 sono state 450 le persone che hanno perso la vita in condizioni di povertà estrema, si legge nel rapporto intitolato "I Senza Dimora muoiono tutti i mesi, non solo d’inverno", pubblicato dall’Osservatorio fio.PSD nel febbraio 2022. Il titolo si riferisce al fatto che sui mass-media si parla del problema quando le morti avvengono per il freddo, perché chi vive in strada ovviamente ne soffre di più. Ma i decessi si susseguono in ogni stagione: per incidenti soprattutto (44%), per malattia (39%), per violenze subite (12%) e nel 5% dei casi per suicidio. Su una popolazione totale di alcune decine di migliaia di senzatetto (nel 2014 il numero registrato era di 50.740 ma negli anni successivi è molto cresciuto), la percentuale risulta elevata (attorno al 2,4%, contro una mortalità media che nella popolazione totale italiana è di poco inferiore all’1%). Soprattutto considerando che i senzatetto sono in prevalenza persone relativamente giovani: uomini (per il 92%) e in età lavorativa (in media 49 anni) che potrebbero dare un contributo positivo alla società.
Perché dunque, pur essendovi una rete di ricoveri e di assistenza, risultano così fragili? Vi sono decine di organismi che in Italia si occupano del problema e cercano di porvi rimedio, e migliaia di volontari vi prestano la loro opera. Per esempio, dell’Alleanza Contro la Povertà fanno parte 36 importanti organizzazioni, oltre alla fio.PSD: Acli, Anci, Azione Cattolica, Arci, Croce Rossa, Conferenza delle Regioni, Save the Children per citarne solo alcune – e tale Alleanza si occupa non solo di chi non ha casa, ma più in generale del problema della povertà, che è diffusa e che alimenta il mondo dei Senza Dimora.
Quando si cerca di guardare al problema sorge il sospetto che, essendo esso incentrato su persone marginalizzate, sia visto come marginale, secondario, non rilevante. Sul piano economico, sono considerati problemi l’inflazione, lo "spread", l’andamento delle Borse, semmai i costi della produzione di energia soprattutto ora quando la guerra in Ucraina vi incide con tale forza. Mentre questioni che attengono alla qualità della vita, di cui la mancanza di lavoro, la povertà e la carenza di abitazioni sono a cascata i fenomeni più laceranti, sembrano incidere meno sugli indici usati per misurare le performance economiche. Anche per rispondere a questa situazione si tiene a Roma, il 25-26 maggio la Conferenza italiana sulla Homelessness dal titolo "Sfida al futuro. Diamo una casa al cambiamento".
Le centinaia di partecipanti, provenienti da organismi che si occupano dei senzatetto come anche da diversi Enti Locali in rappresentanza di oltre un’ottantina di Comuni intendono, spiega Ferraris, «ragionare assieme per giungere a un consenso conclusivo, che preluda a un cambiamento radicale nel modo come sono concepiti i servizi per i senzatetto». Convegni di questa natura se ne sono già svolti all’estero e questo è il primo in Italia. «Vorremmo modificare le strategie operative e l’approccio generale » insiste Ferraris: «Non più agire solo dal basso».
Il problema infatti ha una notevole rilevanza di carattere politico e l’ondata di profughi spinti dalla guerra in Ucraina non farà che esacerbarlo, poiché questi nuovi arrivati si aggiungeranno ai profughi delle tante altre guerre, crisi economiche e climatiche che giungono in Europa da altri continenti sommandosi ai tanti emarginati dal sistema economico nostro interno, in cui le crisi che si susseguono non fanno che «esacerbare il problema delle disparità – come evidenzia Ferraris – che risulta tanto più lacerante nelle grandi città. Mentre invece forse nei piccoli centri le reti di prossimità sono più presenti e in grado di offrire qualche supporto ai singoli in difficoltà». La mancanza di una casa è il fenomeno più evidente e più drammatico per le persone che cadono nell’emarginazione, o perché perdono il lavoro, o perché subentrano crisi familiari, o per problemi di salute, fisica o mentale.
Chi cade in queste condizioni, osserva la sociologa Caterina Cortese, che si occupa di formazione per la fio.PSD, tende a perdere la speranza: «Per questo è importante aiutare queste persone a trovare un progetto di vita che le aiuti a ripartire. Tanto più che si tratta in prevalenza di persone relativamente giovani. Ora gli stanziamenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza offrono un’opportunità per dare nuove prospettive a chi è caduto, o è a rischio di estrema povertà. Il problema è superare il collo di bottiglia degli adempimenti burocratici».
La strategia generale è quella tracciata da "housing first", un programma da tempo favorito anche a livello europeo, che mira a dare una casa a tutti, così che disponendo di un luogo sicuro chiunque possa recuperare la propria dignità di persona e sentirsi spinto ad assumersi responsabilità per il proprio spazio che deve gestire. Già il Reddito di cittadinanza è stato uno strumento di notevole importanza nell’affrontare i problemi di chi versa in condizioni di estrema povertà. Ma, notano nella fio.PSD, occorre migliorare la sua capacità operativa che oggi risulta ristretta per chi non dispone di una casa.
I dati più recenti disponibili, riferiti alla popolazione italiana parlano di un 7,6% di persone in condizione di grave esclusione abitativa, a fronte di una media europea del 4,8; di un 27,8% di persone che vivono in condizioni di sovraffollamento (media europea del 16,8), mentre il mercato delle abitazioni è polarizzato e paralizzato, con centinaia di migliaia di persone che attendono di poter disporre di case popolari quando solo il 4% del patrimonio abitativo è destinato al social housing. Insomma, se è vero che poter disporre di una casa è il primo passo per poter accedere alla piena condizione di "cittadino", c’è ancora molto da fare. (Avvenire 18 maggio)
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