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Papa Francesco e la dignità del lavoro

Antonio Tarallo Charles C. Ebbets
Pubblicato il 20-07-2018

Il lavoro, questo termine che – vista la realtà di Oggi – diviene per molti un miraggio, o se c’è, è poco valorizzato (sia idealmente, sia economicamente): questo, sembra davvero essere nel pensiero del pontefice, un tema su cui più volte dover porre l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica. In molti discorsi, in molti documenti, Papa Francesco sembra davvero parlare del tema, con cura di “curato” (una allitterazione, a volte, rende meglio l’idea!). Papa Francesco, sacerdote che parte dall’ascolto delle problematiche reali. Sacerdote che dal pulpito cerca di richiamare la comunità a problemi che nella stessa comunità sono presenti e che meritano una risposta.


In questo caso, il pulpito, è la Cattedra di Pietro. In questo caso, l’ “omelia” è racchiusa in documenti, in atti, in viaggi, che documentano tale attenzione, tale vicinanza ai problemi. Il lavoro è sempre stato considerato da Bergoglio una priorità assoluta. Lo è stato, fin dall’inizio del pontificato, come mostra l’Evangelii gaudium e le sue pagine dedicate a tratteggiare la condizione della maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo, alle prese con una quotidiana precarietà le cui conseguenze funeste alimentano la “globalizzazione dell’indifferenza” e producono la “cultura dello scarto”. Nell’enciclica si legge: “Grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare.


Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa”. E ancora, sempre nell’Evangelii gaudium, troviamo: “Dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo”. “Il lavoro è una priorità umana. E pertanto è una priorità cristiana”, così nel suo viaggio a Genova, con cuore rivolto ai lavoratori dei cantieri navali. Era il maggio 2017. E aggiungeva in merito al lavoro di imprenditore: “Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore.


Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente”. Ma un altro viaggio, precedente a quello di Genova, nella terra della Sardegna, a Cagliari, aveva visto già impegnato il pontefice in difesa della dignità del lavoro. Era il 2013, e Papa Francesco aveva ben in mente una parola che aveva più volte sentito durante la sua permanenza a Cagliari: la parola sofferenza. “Una sofferenza che uno di voi ha detto che "ti indebolisce e finisce per rubarti la speranza". Una sofferenza - la mancanza di lavoro - che ti porta - scusatemi se sono un po’ forte, ma dico la verità - a sentirti senza dignità! Dove non c’è lavoro, manca la dignità! E questo non è un problema della Sardegna soltanto - ma c’è forte qui! - non è un problema soltanto dell’Italia o di alcuni Paesi di Europa, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia; un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro. Dio ha voluto che al centro del mondo non sia un idolo, sia l’uomo, l’uomo e la donna, che portino avanti, col proprio lavoro, il mondo. Ma adesso, in questo sistema senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo "dio-denaro". Fu in quella occasione che indossò il casco di minatore donatogli. Indossato, subito. Un’immagine che ricorda un po’ Giovanni Paolo II quando in Bolivia, nel maggio 1988.


Tutti ricordano quell’immagine. Così, ora, Papa Francesco. Fra le tante omelie dedicate al tema spicca sicuramente una, dalle tinte forti, pronunciata a Santa Marta. Il Pontefice, senza mezze misure, così nel 2016, si esprimeva: "Il sangue di chi è sfruttato nel lavoro è un grido di giustizia al Signore. Lo sfruttamento del lavoro, nuova schiavitù, è un peccato mortale”. E’ la dignità del lavoro, quello che più interessa a Papa Bergoglio. E’ la dignità di quello che comunemente viene definito “il guadagnarsi il pane per vivere”. Papa Francesco lo sa bene, ricordandosi sempre del “padre assiduo lavoratore”, che era partito alla volta dell’Argentina, proprio da quel porto di Genova, scenario del suo intervento ai lavoratori.


Non stupisce, forse, più di tanto la notizia della data della canonizzazione del giovane Nunzio Sulprizio, il giovane di Pescara che morì – offrendo a Dio le sue sofferenze – per condizioni non adeguate sul lavoro. Un giovane, un laico, un operaio, un santo. Diventerà santo, a ridosso del Sinodo dei Giovani, il 14 ottobre. Messaggio forte per i giovani disoccupati, per i giovani lavoratori di Oggi.

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