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L'EDITORIALE. A Berlino, dove i muri si abbattono. GUARDA IL VIDEO DI PADRE ENZO

Enzo Fortunato Web
Pubblicato il 28-08-2018

A Berlino, dove mi trovo per un reportage su libertà e accoglienza, alcuni tratti del muro che fino a 29 anni fa divideva la capitale tedesca sono rimasti in piedi: questo grigio simbolo di divisione, di odio, di oscurità, separava i fratelli berlinesi. Da una parte il comunismo, dall’altra il capitalismo. A est l’Unione sovietica, a ovest i paesi della coalizione occidentale.

Un giorno di novembre del 1989, un’insurrezione popolare lo smontò mattone per mattone. Un fiume di migliaia, di milioni di persone si riversò per le strade della capitale. La gente riabbracciò i parenti, gli amici assurdamente separati da quasi trent’anni di guerra fredda. 


Oggi, le divisioni assumono direttrici nuove, ma ugualmente disumane: oggi la spaccatura è tra nord e sud, tra primo e terzo mondo. E anche oggi, come nella Germania di fine anni ’80, la gente di buon senso non vuole i muri. Nonostante ci sia ancora chi semina vento per raccogliere tempesta, chi si ostina a soffiare sulla paura per scavare nuovi precipizi, buchi neri in cui viene risucchiata la nostra naturale umanità, il nostro istintivo spirito di accoglienza.

Eppure quel tratto di muro di Berlino rimasto in piedi è un simbolo che mette in guardia l’uomo contemporaneo: lo avvisa, nella sua spenta cupezza, che tutti i muri creano la distruzione dei sentimenti umani.

Ricordo un episodio bellissimo e paradigmatico, riportato nelle fonti francescane: un gruppo di frati, tra i primi seguaci di Francesco, va in Germania per evangelizzare la popolazione. E così le ospitali genti teutoniche chiedono loro se hanno bisogno di qualcosa, di un po’ di cibo, di un po’ d’acqua, di un tetto per passare la notte.

I frati, che hanno intuito che per dire di sì devono rispondere “IA”, si profondono in cenni d’assenso e pronunciano l’unica sillaba che hanno imparato, senza però capire ciò che gli stanno chiedendo. Quando un uomo chiede loro se sono eretici, i frati rispondono, senza comprendere: “IA, IA”.  E allora vengono malmenati.

Un episodio splendido, candido, persino divertente nella sua profondità, che ci insegna che per comunicare, per rispettare, per amare, bisogna prima di tutto conoscere.

Conoscere anche il fratello migrante che scappa, senza alcuna colpa, dall’odio in cui molti Paesi del mondo sono sommersi. 



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