Creare capitale umano per combattere povertà e disuguaglianza
Un’eccessiva spesa militare si traduce in un aumento della povertà e della diseguaglianza dei redditi
Negli ultimi anni in Italia, al pari degli altri paesi occidentali, abbiamo assistito a una progressiva campagna di riarmo con aumenti sostanziali di spesa da parte del governo nel biennio 2016/2017 secondo i dati diffusi dal centro di ricerca indipendente SIPRI. Nel contempo, l’Italia ha anche rafforzato una politica industriale che ha posto grande enfasi sul settore militare. Il MEF, controlla uno dei primi dieci produttori di armi al mondo, vale a dire Leonardo (già Finmeccanica) che negli ultimi anni ha ceduto l’attività nei settori civili per concentrare il proprio impegno nella produzione militare.
In breve, in Italia l’impegno militare è apparso in crescita sia per esigenze strategiche internazionali sia – e forse soprattutto – per l’errata convinzione che tale impegno potesse rappresentare un volano per la crescita dell’economia. Molti studi hanno dimostrato che tali benefici per l’economia nel suo complesso non solo non vi sono, ma anzi l’impegno militare costituisce un sostanziale nocumento per le società andando a minare quelli che sono i veri fattori di sviluppo nel tempo. Uno degli effetti sovente non evidenziati è l’impatto sulla povertà e sulla disuguaglianza nel lungo periodo.
In parole più semplici, un’eccessiva spesa militare si traduce in un aumento della povertà e della diseguaglianza dei redditi non nel giro di pochi anni ma piuttosto in un tempo medio-lungo. Questo effetto negativo è determinato dal fatto che l’impegno militare tende a far diminuire i livelli educativi dei giovani. Giovani che si arruolano interrompono gli studi o li ritardano. Questa attitudine si traduce in minore produttività dei lavoratori che accedono al mondo del lavoro e un tale deficit di produttività a sua volta negli anni tende a stratificarsi creando rendendo la disuguaglianza dei redditi permanente. Un’eccessiva disuguaglianza infine deprime lo sviluppo e fa aumentare i livelli di povertà.
All’indomani della grande crisi del 2008, diversi paesi hanno visto aumentare al proprio interno la disuguaglianza e i livelli di povertà a causa degli shock strutturali e della successiva crisi dei debiti sovrani. In questo contesto, l’impegno militare, da molti considerato uno stimolo all’economia non ha fatto che creare un’illusione presto destinata a rivelarsi in tutta la sua fallacia non andando a risolvere ma anzi aggravando le condizioni strutturali di debolezza dell’economia. Se consideriamo che da alcuni esponenti politici viene proposto a scadenze regolari un assurdo ritorno alla leva obbligatoria, non facciamo che registrare ulteriori brutte notizie per un numero sostanziale di giovani che già hanno aspettative e realizzazioni economiche inferiori alla generazione dei propri genitori.
Una politica economica che voglia realmente combattere povertà e disuguaglianza deve concretamente porsi il problema di limitare la spesa militare in particolare per i giovani. Laddove questo non sia considerato possibile in virtù di esigenze strategiche, allora la politica economica dovrebbe andare a costituire gli anticorpi contro le perdite di produttività generate dall’impegno militare. In questo senso, un obiettivo concreto è quello di aumentare il rapporto tra la spesa per l’istruzione e la spesa militare.
Tale indicatore non fa altro che evidenziare il peso attribuito dalle élite di governo alla creazione di capitale umano rispetto alle esigenze strategiche correnti. In termini pratici, per ogni euro speso in ambito militare, ogni governo dovrebbe impegnarsi a spendere un multiplo che garantisca un’adeguata compensazione del costo sociale generato dalla spesa militare.
Per i paesi più industrializzati come l’Italia si può immaginare che un livello adeguato di tale rapporto sia superiore a 3. Introdurre tale indicatore nel discorso pubblico e nel dibattito politico potrebbe rappresentare una svolta significativa nell’approccio al tema dell’impegno militare. Esso contribuirebbe a definire una politica economica che combatte povertà e disuguaglianza in maniera permanente e non solamente nel breve periodo che precede una tornata elettorale.
Raul Caruso è ricercatore di politica economica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore
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