Cantami, o diva l'eroe multitasking
In un saggio di Bianca Sorrentino si rileggono i miti contemporanei
Ascoltare la parola degli antichi è ancora utile nell' universo liquido di Netflix e Amazon? Se Nietzsche fosse ancora vivo, afferrerebbe il microfono e, con la sua profetica concitazione, risponderebbe cento volte sì. E non contento, posterebbe la risposta sui social, volteggiando senza paura nell' etere mediatico. Perché la parola del passato, aggiungerebbe, serve a costruire l' avvenire, a condizione che la si coniughi al futuro. Alla stessa conclusione giunge Bianca Sorrentino in Pensare come Ulisse , un libro appena uscito da il Saggiatore che attraversa a volo d' uccello le figure che sono al fondamento del nostro immaginario.
Secondo l' autrice, il mito è una lente in grado di mettere a fuoco le grandi domande che si agitano al fondo dell' essere, al tempo di Omero come nell' era digitale. E intitola il libro proprio ad Ulisse, il più emblematico dei profili mitici forgiati nell' officina fantastica della nostra civiltà. Perché in realtà, l' identikit dell' uomo che distrugge Troia con un cavallo, coincide in tutto e per tutto con quello dell' uomo occidentale. Perché senza Odisseo con le sue fughe, i ritorni, le furbate, le paure, le audacie, l' opportunismo, la ingegnosità, la pietà, l' umanità, l' Occidente non sarebbe nemmeno pensabile. Intanto perché il re di Itaca è il primo a navigare fino allo stremo della terra dove il sole tramonta, per seguir "virtute e canoscenza" dei remi facendo ali al folle volo, come dice Dante. E quindi è lui a misurare l' Europa. A darle dei punti cardinali, geografici e simbolici.
In fondo l' Odissea ci regala una mappa mitologica che fa passare per la prima volta il nostro pensiero dal mondo del pressappoco all' universo della precisione. E soprattutto, l' andirivieni pelagico di Ulisse traccia le linee originarie di una cartografia che orienta ancora oggi il nostro immaginario e che nessuna scienza ha ancora abrogato. Anche perché è proprio l' intelligenza calcolante a essere all' origine della scienza e della tecnica. Anzi della techne , per dirla con Heidegger, cioè quella forma di ragion pratica che segna il destino storico della nostra civiltà. Insomma, Odisseo è il primo dei moderni. Lo dimostrano gli attributi che il mito associa al suo nome. Il primo è politropos , letteralmente dall' ingegno versatile, capace di assumere molte forme, cioè di adattarsi a ogni circostanza, mimetizzandosi, come fa il polpo.
L' altro aggettivo è polimekanos , un nome che evoca subito la mechanè che nell' antica Grecia era una macchina teatrale che serviva a sollevare gli attori sulla scena simulandone il volo. Nel 1805 Ippolito Pindemonte nella sua traduzione dell' Odissea riassume in maniera folgorante questa combinazione di abilità e di competenze definendo Ulisse "l' uom di multiforme ingegno". Che rende alla lettera l' omerico politropos . E corrisponde altrettanto perfettamente al nostro multitasking. In realtà la proverbiale astuzia di Ulisse è multifunzionale. Laddove i suoi avversari pensano e fanno una cosa per volta, lui ne pensa tante e ne fa una più di cento. Come siamo costretti a fare noialtri postmoderni, condannati al multitasking nel lavoro come nella vita privata.
La vocazione moderna di Ulisse si rivela soprattutto nell' incontro con le sirene in cui i filosofi tedeschi Max Horkheimer e Theodor W. Adorno in un libro epocale come Dialettica dell' illuminismo , intravedono il fotogramma originario della nostra storia, l' inizio della ragione calcolante e del pensiero utilitaristico. Cui si contrappone il pensiero mitico e poetico incarnato nel canto delle sirene. Ulisse vuole ascoltarlo ma senza pagare pegno. Quindi si fa legare all' albero della nave per non abbandonarsi del tutto al richiamo della bellezza e fa tappare le orecchie ai compagni, perché non siano ammaliati da quel suono. Secondo i due esponenti della Scuola di Francoforte, quell' episodio segna il trionfo della ragione sulla poesia, del logos sul pathos e sul mythos .
Un finissimo intellettuale come Bobi Bazlen vede in questa vittoria a caro prezzo di Odisseo la parabola della piccola borghesia che rifugge ogni rischio per guadagnare il porto sicuro dell' utile. Ancor più sferzante è Franz Kafka che in un testo a dir poco folgorante come Il silenzio delle sirene vede nello stratagemma di Ulisse un mezzuccio, ridicolizzato dalle fanciulle marine che si limitano a fingere di cantare catturando il re di Itaca nella trappola ingannatrice del loro silenzio in cui parla la voce muta del cosmo. Così il grande scrittore boemo sferra un colpo mortale alla reputazione dell' eroe e alle nostre convinzioni, trascinandoci nel gorgo talmudico della narrazione. Ben più glorioso è invece il gorgo dantesco che nel ventiseiesimo canto dell' Inferno inghiotte la nave di Ulisse, colpita da un' onda anomala nata da una misteriosa montagna bruna. Secondo Bruce Chatwin e Paul Theroux quella montagna sarebbe l' Antartide, l' ultima Odissea. Ed è questa volontà di andare oltre il limite a fare di Odisseo un nostro contemporaneo, ogni volta alle prese con nuove colonne d' Ercole. Aveva ragione Ernst Jünger a dire che senza l' esempio del folle volo di Ulisse, l' uomo non sarebbe mai andato sulla luna. (Repubblica)
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