BERLINGUER, QUELL'INCONTRO CON FRANCESCO
«È proprio vero che nei tempi difficili, di crisi, la Chiesa torna a essere percepita come un porto sicuro».
«Il giorno dopo, quella foto con me e Berlinguer nel refettorio
del Sacro Convento di Assisi fu sulle prime pagine
dei giornali, e non solo di quelli italiani. Per oltre un mese
si parlò e si scrisse di quell’incontro, dipingendo me come
Francesco d’Assisi e Berlinguer come il lupo cattivo di Gubbio.
Un’esagerazione!» Sorride padre Vincenzo Coli, ricordando
quell’evento. La sua memoria è forte e non dimentica
alcun dettaglio, né alcuna parola, dello storico incontro
– che larga eco ebbe sui media – avuto l’8 ottobre 1983 con
il segretario del Partito comunista italiano.
Padre Coli, che è stato Custode del Sacro Convento d’Assisi
per due lunghi mandati (il primo di nove anni, il secondo
di otto), mi parla con quella amabilità francescana
che è la cifra della sua vita e assieme lo spirito profondo
del francescanesimo.
Nel 1983 io avevo 17 anni, e non era ancora giunto il
momento delle scelte che ti cambiano per sempre. Così ho
chiesto a padre Coli di raccontarmi quella giornata.
Come nacque l’incontro?
Mi chiamarono dalla segreteria del Pci umbro. Mi dissero
che il Pci nazionale aveva organizzato per il 9 ottobre una Marcia della pace da Santa Maria degli Angeli ad
Assisi, alla quale sarebbe stato presente il segretario Enrico
Berlinguer. Mi chiesero se fossi disponibile a incontrare
Berlinguer il giorno prima di quella marcia. Io dissi di sì.
Ti consultasti con qualcuno? Voglio dire, ne parlasti, per esempio,
con qualcuno al Vaticano?
No. Non mi posi il problema, se problema era (per me non
lo era). Decisi in autonomia, cercando soltanto di rispondere
al mio essere francescano. Mi immersi, cioè, in quello spirito
di accoglienza che guidava e guida la mia fede e, in quel
momento, la responsabilità di Custode del Sacro Convento.
Questa mia profonda convinzione rafforzò la mia decisione.
Fra l’altro, proprio nei giorni precedenti l’incontro, mi ero
permesso di rivolgere un accorato appello pubblico al presidente
degli Usa, Ronald Reagan, e al leader sovietico, Yuri
Andropov, di fare ogni sforzo possibile per la conquista della
pace, proponendo ai due anche un incontro qui ad Assisi.
Ti ricordo che all’inizio degli anni Ottanta c’era una forte
preoccupazione per la pace nel mondo, e si assisteva a una
corsa al riarmo nucleare da una parte e dall’altra della cortina
di ferro che non prometteva niente di buono.
Non ci fu, dunque, nessuna telefonata?
Non ebbi, ripeto, telefonate d’Oltre Tevere per mettermi
in guardia sull’incontro. Ricevetti invece numerose telefonate
da dirigenti del Pci umbro nei giorni precedenti
che mi chiedevano se fosse tutto confermato. Come se temessero
un possibile annullamento dell’appuntamento.
Io li rassicurai.
Il segretario del Pci arrivò così al Sacro Convento.
Berlinguer era accompagnato da alcuni esponenti del
partito, uno dei quali, mi ricordo, era il presidente della
Regione Umbria, Germano Marri. Ci fermammo a parlare
in quella saletta all’interno del Convento, appena varcato
il cancello, che chiamiamo «parlatorio» e che di solito
viene utilizzata per gli incontri con gli ospiti e i pellegrini.
Come si svolse il colloquio?
Berlinguer espresse subito le preoccupazioni che aveva
per la situazione internazionale, e disse che aveva apprezzato
molto il nostro appello ai leader degli Stati Uniti
d’America e dell’Unione Sovietica. Io gli risposi dicendo
che ognuno nel suo campo deve fare il possibile per conquistare
la pace.
Quanto durò l’incontro?
Circa un’ora. Gran parte del colloquio venne poi dedicato
ad Assisi e a san Francesco. Berlinguer parlò di Assisi
come centro della cristianità francescana e punto di riferimento
per le forze e le idee di pace e giustizia nel mondo.
Era preparato anche sulla vita e la testimonianza del Santo,
ricordando il famoso episodio dell’incontro di Francesco
con il sultano d’Egitto per predicare, come disse Berlinguer,
la pace in nome di Cristo e degli uomini. Era la sua lettura
di quell’evento e di quella che chiamò la «follia» – questo il
termine che usò – di Francesco: per il segretario del Pci, nel
Santo d’Assisi c’era la contestazione radicale e intransigente
della guerra, della violenza, e al tempo stesso l’affermazione
del primato della pace e della ricerca del dialogo e
dell’accordo con tutti gli uomini di buona volontà.
Che impressione ne avesti?
Un’ottima impressione, lo dico tranquillamente. Berlinguer
si dimostrò molto interessato anche alla nostra vita
comunitaria all’interno del Sacro Convento. Era sincero
nella sua curiosità, nella sua voglia di conoscere gli aspetti
e i momenti della nostra quotidianità. Devo confessarti
che ebbi la stessa impressione accogliendo, in un’altra
occasione, il segretario dell’Msi, Giorgio Almirante. Due
esponenti politici, di parti opposte, che mi hanno trasmesso
questa sensazione. Alcuni politici arrivavano invece ad
Assisi soprattutto per farsi vedere. Non Amintore Fanfani,
che si raccoglieva sempre, con devozione, davanti alla
tomba del Santo.
Poi giunse il momento del pranzo nel refettorio.
L’incontro stava per concludersi. Io stavo dicendo che era
stato un colloquio utile per capirsi e per vedere se c’era la
possibilità di fare un percorso insieme. Questo, ricordai al
segretario del Pci, è il nostro essere francescani sulle strade
del mondo. Fu proprio allora che risuonò, quasi inattesa,
la campanella che annunciava il pranzo. Dissi: «È l’ora
del pranzo», e mi venne spontaneo invitare Berlinguer al
nostro desco. Ci fu in lui un attimo di esitazione, seguito
da uno scambio di sguardi con Marri, poi accolse l’invito.
Come venne accolto dalla comunità dei frati nel refettorio?
Venne accolto bene. Allora eravamo una cinquantina;
solo uno dei fratelli, un danese, si dimostrò un po’ perplesso.
Ma il pranzo andò bene, ripeto. Con Berlinguer e
Marri prendemmo posto al tavolo centrale, dove si siedono
normalmente il Custode e gli ospiti, quando ci sono. E
questa immagine divenne poi il famoso scatto che finì sui
giornali di tutto il mondo, opera di un fotografo perugino
intrufolatosi nel refettorio. Concluso il pranzo, accompagnai
Berlinguer a visitare il Fondo antico della nostra importante
biblioteca. Facemmo poi una breve passeggiata
lungo il porticato, da cui si domina la bella valle umbra.
C’è stato un saluto particolare di Berlinguer al momento di lasciare
il Sacro Convento?
Mi disse: «È proprio vero che nei tempi difficili, di crisi,
la Chiesa torna a essere percepita come un porto sicuro».
Reazioni all’incontro?
All’inizio di questa chiacchierata ti ho parlato dell’eco
sui giornali, che andò avanti per diverse settimane. Non
ci furono problemi di alcun tipo. Mi arrivarono – dopo
l’incontro, sì – alcune telefonate da Oltre Tevere, ma per
chiedermi dettagli, curiosità, mie impressioni. Non c’erano
però segreti da rivelare. Era stata solo una buona giornata
francescana.
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