Assisi di Paul Celan
Una poesia che è una specie di controcanto al Cantico di frate Sole.
Paul Celan (Cernauți, 23 novembre 1920 - Parigi, 20 aprile 1970) è stato uno dei massimi poeti del XX Secolo. Rumeno di origine ebraica è un poliglotta che tradurrà dall’inglese, dal francese, dal russo, dall’italiano, dall’ebraico, dal portoghese e dal rumeno. La sua poesia, la sua teoria della traduzione e i suoi scritti di poetica influenzeranno la lirica del ‘900 e costituiranno un punto di riferimento per i più grandi filosofi contemporanei (basti ricordare i lavori di Gadamer, Blanchot, Derrida, a lui dedicati).
Celan, con la moglie Gisèle Lestrange, arriva ad Assisi nel novembre del 1953 e il viaggio è immediatamente successivo alla morte prematura del primo figlio, François. Nell’epigrafe di un testo sempre 1953, Benedicta, Celan riporta alcuni versi di un canto yiddish: «Non si potrebbe salire in cielo / e chiedere a Dio se è permesso / che le cose stiano così?». Il soggiorno ad Assisi è per Celan una specie di resa dei conti con il dolore del lutto. È come se Celan chiedesse ragioni a San Francesco della scomparsa del figlio, come se lo splendore del cantico fosse invaso dalle tenebre che assediano il poeta.
In questo senso la poesia Assisi, contenuta nella raccolta Di soglia in soglia, può essere letta come una specie di controcanto al Cantico di frate Sole. Le anafore «Notte umbra», «Urna di terra» e «Trotterellante» sono mimetiche al «Laudato sì» del Cantico di Frate Sole. Al sole francescano che illumina le creature Celan contrappone subito la «notte umbra» e la «pietra»: «lo frate sole» e le «creature» sono come nascoste o già disperse nell’inorganico. L’«urna di terra», la vita trascorsa e completamente inerte di Celan si oppone alla «sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa». In ebraico Adam, l’uomo, discende da adamà, terra: per Francesco è terra che sostenta, per Celan è terra che ricorda la vita trascorsa.
Il Cantico è scritto in primavera e lo «frate focu» illumina «la nocte», in Celan la neve notturna immobilizza la varietà e i colori del mondo e sospende la realtà dei «diversi fructi con coloriti flori et herba». I referenti del Cantico sono insomma ripresi da Celan e spesso resi negativi: se «il vasaio» di Celan corrisponde all’«altissimo onnipotente», «la matre terra» diventa «urna di terra», «lo frate sole» diventa il «sigillo dell’ombra», la terra che «sostenta e governa» in Celan è lo spazio dove «ciò che perviene alla vita» è «muto», il «cum grande splendore» diventa uno «splendore che non sa confortare».
Si tratta di corpo a corpo con il Cantico; il «tu a cui si può parlare» è qui Francesco. E d’altronde il dialogo di Celan con il Francescanesimo è ininterrotto. Basti ricordare che fin da ragazzo, studiando lingue romanze, Celan ha incontrato il Cantico e la letteratura francescana. Ed è forse più che una suggestione quella avanzata da Israel Chalfen in Paul Celan, eine Biographie seiner Jugend: il giovane poeta avrebbe scelto il nome d’arte Celan come anagramma del proprio cognome (Antschel) per richiamare Tommaso da Celano, uno dei primi discepoli e biografo di Francesco.
L’ultimo verso di Assisi («I morti, Francesco, implorano ancora») chiama in causa proprio Francesco e ricorda ciò che Walter Bejamin avrebbe definito «debole forza messianica». Nella tradizione ebraica esiste un osso chiamato osso della resurrezione: si tratta del Luz, del «nocciolo dell’immortalità». Il messianismo crede che a partire da questo osso indistruttibile si sprigionerà la resurrezione. Ed è verosimile che a questo Celan faccia riferimento, quando nella poesia Corona, sempre del 1953, immagina che persino le pietre accetteranno di fiorire, persino l’inorganico tornerà alla vita.
«Le poesie», dice il poeta, «si dirigono verso qualcosa. Che cosa? Qualcosa di aperto, occupabile, il tu a cui si può parlare, forse una realtà a cui si può rivolgersi». In questo senso «la poesia può essere un messaggio nella bottiglia», lanciato nella speranza che trovi una riva, «una terra del cuore». E ad Assisi il poeta cercava forse una terra dove il «nocciolo dell’immortalità» potesse germogliare.
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