Ambiente, Card. Bassetti: sogno grande progetto Italia
Civilizzare economia, superare cultura scarto, eliminare inequità
Carissimi amici e amiche,
rivolgo un saluto affettuoso a tutti i presenti e a coloro che hanno parlato prima di me. È sempre un piacere e un onore venire in questi luoghi che richiamano, in ogni angolo, in ogni interstizio, la figura e la spiritualità di Francesco. Anche nel tema su cui riflettiamo oggi è ben presente l’eredità del Poverello di Assisi: un’eredità che ha portato frutti fecondi nel corso della storia e che continua a portarli oggi dopo quasi 8 secoli dalla morte di Francesco. Anche il tema su cui riflettiamo oggi – Le azioni del Manifesto di Assisi. Per una nuova Italia – risente senza dubbio di questa complessa e feconda eredità religiosa, culturale e sociale che il figlio di Bernardone ci ha lasciato in dote. Una dote preziosa che non dobbiamo assolutamente svilire inseguendo modelli esteriori o avvenimenti mondani, ma che invece dobbiamo valorizzare sempre di più. Proprio per questo motivo, vorrei svolgere la mia riflessione su tre punti: il primo è, per l’appunto, l’eredità di Francesco; il secondo, la crisi climatica e la difesa della casa comune; il terzo è il futuro dell’Italia.
L’eredità di Francesco è ovviamente prima di tutto un’eredità spirituale. Tuttavia, la sua testimonianza di fede e le sue opere hanno avuto un’influenza fortissima in molti campi dell’agire umano. I vescovi umbri in una lettera pastorale scritta all’inizio del XX secolo lo definivano come un grande genio «della operosità e della disciplina» strettamente unito «alla Cattedra di Pietro». Oggi noi siamo ben consapevoli che Francesco, insieme a Benedetto, rappresenta l’architrave spirituale e civile del nostro continente. Con la loro fitta rete di monasteri hanno tracciato le fitte trame di un tessuto di fede, di cultura e di umanità che avvolge ancora oggi tutta l’Europa.
È fondamentale, però, riflettere sull’opera e sugli insegnamenti di Francesco anche in relazione alla sua influenza in ambito sociale. E oggi possiamo dire che una grande eredità che il francescanesimo ha dato al mondo intero consiste proprio nel saper coniugare, senza contrapposizioni, lo sviluppo sociale ed economico con le esigenze senza tempo dell’integralità dell’umano. Quando facciamo riferimento all’umanesimo cristiano, nell’accezione che ne hanno saputo dare i filosofi cristiani del XX secolo, come non pensare alla cura della famiglia, al bene della città e allo sviluppo di un’economia civile a misura d’uomo?
Ecco, lo sviluppo di “un’economia a misura d’uomo” che è giustamente citata nel Manifesto d’Assisi rappresenta, senza dubbio, una delle grandi sfide del mondo contemporaneo. Una sfida da vincere e che possa portare a due obiettivi: in primo luogo, “civilizzare l’economia”, superare la “cultura dello scarto” ed eliminare “l’inequità”, come l’ha chiamata papa Francesco, che rappresenta “la radice dei mali sociali”. In secondo luogo, la ricerca del bene comune attraverso, non solo la doverosa affermazione di una cultura della solidarietà e del dialogo, ma anche attraverso una proposta concreta di società ispirata a questi principi: per esempio, come ha fatto papa Francesco nella Laudato si’, attraverso un nuovo modo di vivere e abitare il Creato, la nostra casa comune.
La difesa e la valorizzazione dell’oikos, della nostra casa comune – e vengo al secondo punto della mia riflessione – è, al tempo stesso, un bene che abbiamo avuto in custodia e una risorsa preziosa per la vita di ogni persona. Ci sono due passaggi cruciali che mi preme sottolineare della Laudato si’ in cui Papa Francesco mette in relazione l’etica pubblica, le risorse collettive e il bene comune.
In primo luogo, quando Francesco denuncia “il relativismo pratico” dell’uomo moderno che dà vita “ad uno stile di vita deviato”. L'uomo slegato da relazioni umane solide, l'uomo “non umano” – per usare una categoria di Guardini – che vive solo per sé stesso, è essenzialmente un uomo pervaso dalla cultura dell'usa e getta che ha prodotto la mercificazione della vita umana e dell'ambiente in cui essa si sviluppa: dalla tratta degli esseri umani a quella dei gameti, fino allo sfruttamento pervasivo della terra e delle acque del pianeta.
Da questo assunto si genera "la radice umana della crisi ecologica" che delinea la sfida concreta più importante lanciata dalla Laudato si': mettere un freno a quella sorta di "potere ingovernabile" che Francesco ha chiamato come il "paradigma tecno-economico". Un sistema di potere – privo di alcuna tensione verso Dio e verso l'umano – che riduce l'uomo e l'ambiente a semplici oggetti da sfruttare in modo illimitato e senza cura.
Anche in questo caso, occorre invertire la rotta e mettere in atto una serie di buone pratiche che salvaguardino in ogni modo la Terra. È una sfida che è un’ulteriore declinazione della cultura dell’incontro a cui facevo prima riferimento: è lo sviluppo di una concreta cultura della carità. Una cultura della carità che si può delineare con due propositi: alla volontà di potenza occorre sostituire la vocazione del custodire; alla pretesa di dominio sul mondo e sugli uomini, occorre sostituire la vocazione al dialogo, alla pace e alla giustizia.
Queste buone pratiche per la salvaguardia del Creato che ho appena richiamato andrebbero applicate – e vengo al terzo punto del mio intervento – anche all’Italia. Non si può pensare al futuro dell’Italia senza porre attenzione al suo variegato e complesso territorio, ai suoi magnifici paesaggi e alle sue straordinarie ricchezze ambientali. L’Italia, l’ho detto più volte, è il Paese della “fragile bellezza”: una bellezza che va prima di tutto salvaguardata, custodita e, soprattutto, amata.
Purtroppo, nel nostro Paese, allo sfruttamento speculativo del territorio e alla negligenza verso la salvaguardia di un paesaggio meraviglioso, si aggiungono le gesta criminali di un sistema malavitoso parassitario che condiziona l'economia, corrode nel profondo l'animo delle persone e contribuisce a distruggere l'ambiente. Alle distruzioni operate dall’uomo si debbono aggiungere, inoltre, quelle prodotte da agenti naturali o atmosferici. Metà penisola è soggetta a frane o allagamenti. Calamità forse in parte arginabili con un’attenta prevenzione e cura del territorio.
E allora cosa fare per il futuro dell’Italia? L’ho dissi alle settimane sociali di Cagliari nel 2017 e lo ribadisco oggi al nostro Paese occorre un grande progetto per la tutela e la messa in sicurezza del territorio italiano, del suo paesaggio e delle sue inestimabili opere d’arte. Conosco personalmente quello che vuole dire subire il dissesto idrogeologico del nostro Paese: lo abbiamo visto in questi giorni a Villa Pitignano vicino Perugia.
Non è più possibile, però, ridurre la nostra azione alla pur lodevole e pietosa compassione per i nostri fratelli che perdono la vita in questi tragici eventi naturali. È assolutamente doveroso prevenire queste calamità naturali con un progetto serio e concreto come avviene in molti altri Paesi del mondo. Sono decenni che in Italia si parla di questo argomento e so che molto è stato fatto. Ma occorre fare di più. Occorre mettere a sistema aziende private e pubbliche, snellire procedure e regolamenti e fare degli investimenti mirati nel tempo che possano portare ad assumere i nostri giovani laureati sia in materie scientifiche che umanistiche, operai specializzati e semplice manovalanza.
È fondamentale, infatti, investire sulle energie morali del Paese, sui giovani talenti e su tutti quegli uomini e le donne di buona volontà che hanno veramente a cuore l’Italia e che credono che questo Paese possa crescere tutto insieme, senza strappi e senza rincorrere gli egoismi sociali, ma nel nome dei grandi uomini e delle grandi donne che hanno fatto l’Italia. Il mio sogno è quello di un grande progetto per l’Italia ispirato da quel clima di ricostruzione del Paese che aveva animato i Padri costituenti e tutta quella gente semplice che, dopo la seconda guerra mondiale, o dopo i grandi disastri come l’alluvione di Firenze nel 1966, si è rimboccata le maniche e in silenzio ha ricostruito il Paese mattone per mattone, strada per strada, scuola per scuola.
Nel 1961, a Firenze, mentre stava aspettando la visita di un politico britannico a Palazzo Vecchio, Giorgio La Pira scrive: «Ho un solo alleato: la giustizia fraterna quale il Vangelo la presenta. Ciò significa: 1) Il lavoro per chi ne manca. 2) casa per chi ne è privo. 3) assistenza per chi ne necessita. 4) libertà spirituale e politica per tutti». Queste semplici parole – che costarono a La Pira l’accusa di essere un ingenuo sognatore – sono ancora oggi valide. Perché non sono soltanto delle parole, ma rappresentano la traduzione dei più importanti principi cristiani in ambito politico. La nostra «vocazione sociale» consiste in questo: nel coniugare il pane e la grazia, il diritto al lavoro con la libertà religiosa in un mondo plurale.
S.Em. Card. Gualtiero Bassetti
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