Sulle orme di Paolo
Le tribolazioni dell'apostolo
Nel suo epistolario Paolo parla molto spesso delle tribolazioni sue
o delle comunità alle quali scrive. Il termine “tribolazione” nel testo
originale greco corrisponde al vocabolo thlipsis che nella Bibbia
greca dei LXX (traduzione in greco dell'Antico Testamento detta
anche Alessandrina avvenuta intorno al III° secolo a.C.), esprime
le affl izioni, le tribolazioni di Israele, dell'uomo pio e timorato di
Dio. Per l'Apostolo la tribolazione ha una triplice valenza: quella
legata al suo ministero apostolico (aspetto missionario), quella
che fa riferimento a Cristo (aspetto cristologico) e quella legata alla
manifestazione fi nale del Signore che verrà a rinnovare ogni cosa
(aspetto escatologico).
Mettiamo in luce il primo aspetto, quello
missionario. La tribolazione dell'apostolo prima di tutto è effettiva:
“Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso
e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione...”
(2 Cor 1,3-4); “Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove
colpi, tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato,
tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso una notte in balìa delle onde,
viaggi innumerevoli, pericoli di fi umi, pericoli di briganti, pericoli dai miei
connazionali, pericoli dai pagani...” (2 Cor 11,24-29).
Poi l'Apostolo
reputa la tribolazione necessaria: “... Abbiamo inviato Timoteo, nostro
fratello e collaboratore di Dio nel Vangelo di Cristo, per confermarvi e per
esortarvi nella vostra fede perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni.
Voi stessi infatti sapete che a questo siamo stati chiamati!” (1 Tess 3,
2-3). In questi testi, come in tanti altri simili, Paolo ci mostra come
le tribolazioni non sono legate alla vita o agli accadimenti nella sua
storia personale: la sua sofferenza è legata alla sua missione che è
quella di annunciare il Vangelo di Cristo. Si soffre per ciò che si
ama: pertanto il cuore dell'Apostolo non può non soffrire per i fratelli
e le sorelle che lui stesso ha generato in Cristo (1 Cor 4,15; Gal
4,19).
Da qui nasce il suo grido: “Guai a me se non evangelizzassi!” (1
Cor 9,16). C'è poi una sofferenza di tipo cristologico. Le tribolazioni
che l'Apostolo porta nella sua vita e nel suo corpo, vengono
percepite come sofferenze di Cristo che non hanno ancora colmato
la loro misura. È signifi cativo il passo della lettera ai Colossesi
1,24: “sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e compio nella mia
carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è
la Chiesa” Paolo sembra dirci, dentro un visione assoluta di fede in
Cristo e nella Chiesa, che le sue tribolazioni sono la continuazione
dei patimenti di Cristo, così come anche i patimenti della Chiesa
lungo il corso della sua storia.
Più chiaramente lo affermerà in 2
Cor 4, 10 e seg.: “Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte
di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre
infatti noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché
anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale”. È come
se l'Apostolo subisse nella sua stessa esistenza la morte che Gesù
ha subito. Il suo esser dato alla morte avviene per amore di Gesù
e perché gli altri abbiano la Sua vita! La tribolazione tuttavia non
è fi ne a se stessa: essa è tribolazione escatologica.
È come i dolori
del parto in attesa che nasca una nuova vita sulla terra. L'apostolo
è fortemente convinto che non potrà nascere un nuovo modo di
esistere senza passare attraverso la tribolazione: essa assimila a Cristo,
Uomo nuovo della creazione rinnovata. “Tutta la creazione geme
e soffre fi no ad oggi nelle doglie del parto. Essa non è la sola: ma anche noi,
che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando
l'adozione a fi gli, la redenzione del nostro corpo” (Rom 8, 22-23). Quale
domanda suscita in noi l'atteggiamento di Paolo di fronte alla
sofferenza? Penso che dovremmo imparare a liberarla dal nostro
intimismo per metterla a disposizione di Gesù Cristo.
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