approfondimenti

Sulle orme di Paolo

Augusto Drago
Pubblicato il 30-11--0001

Le tribolazioni dell'apostolo



Nel suo epistolario Paolo parla molto spesso delle tribolazioni sue o delle comunità alle quali scrive. Il termine “tribolazione” nel testo originale greco corrisponde al vocabolo thlipsis che nella Bibbia greca dei LXX (traduzione in greco dell'Antico Testamento detta anche Alessandrina avvenuta intorno al III° secolo a.C.), esprime le affl izioni, le tribolazioni di Israele, dell'uomo pio e timorato di Dio. Per l'Apostolo la tribolazione ha una triplice valenza: quella legata al suo ministero apostolico (aspetto missionario), quella che fa riferimento a Cristo (aspetto cristologico) e quella legata alla manifestazione fi nale del Signore che verrà a rinnovare ogni cosa (aspetto escatologico).
Mettiamo in luce il primo aspetto, quello missionario. La tribolazione dell'apostolo prima di tutto è effettiva: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione...” (2 Cor 1,3-4); “Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi, tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso una notte in balìa delle onde, viaggi innumerevoli, pericoli di fi umi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani...” (2 Cor 11,24-29).
Poi l'Apostolo reputa la tribolazione necessaria: “... Abbiamo inviato Timoteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel Vangelo di Cristo, per confermarvi e per esortarvi nella vostra fede perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi infatti sapete che a questo siamo stati chiamati!” (1 Tess 3, 2-3). In questi testi, come in tanti altri simili, Paolo ci mostra come le tribolazioni non sono legate alla vita o agli accadimenti nella sua storia personale: la sua sofferenza è legata alla sua missione che è quella di annunciare il Vangelo di Cristo. Si soffre per ciò che si ama: pertanto il cuore dell'Apostolo non può non soffrire per i fratelli e le sorelle che lui stesso ha generato in Cristo (1 Cor 4,15; Gal 4,19).
Da qui nasce il suo grido: “Guai a me se non evangelizzassi!” (1 Cor 9,16). C'è poi una sofferenza di tipo cristologico. Le tribolazioni che l'Apostolo porta nella sua vita e nel suo corpo, vengono percepite come sofferenze di Cristo che non hanno ancora colmato la loro misura. È signifi cativo il passo della lettera ai Colossesi 1,24: “sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e compio nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” Paolo sembra dirci, dentro un visione assoluta di fede in Cristo e nella Chiesa, che le sue tribolazioni sono la continuazione dei patimenti di Cristo, così come anche i patimenti della Chiesa lungo il corso della sua storia.
Più chiaramente lo affermerà in 2 Cor 4, 10 e seg.: “Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale”. È come se l'Apostolo subisse nella sua stessa esistenza la morte che Gesù ha subito. Il suo esser dato alla morte avviene per amore di Gesù e perché gli altri abbiano la Sua vita! La tribolazione tuttavia non è fi ne a se stessa: essa è tribolazione escatologica.
È come i dolori del parto in attesa che nasca una nuova vita sulla terra. L'apostolo è fortemente convinto che non potrà nascere un nuovo modo di esistere senza passare attraverso la tribolazione: essa assimila a Cristo, Uomo nuovo della creazione rinnovata. “Tutta la creazione geme e soffre fi no ad oggi nelle doglie del parto. Essa non è la sola: ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a fi gli, la redenzione del nostro corpo” (Rom 8, 22-23). Quale domanda suscita in noi l'atteggiamento di Paolo di fronte alla sofferenza? Penso che dovremmo imparare a liberarla dal nostro intimismo per metterla a disposizione di Gesù Cristo.

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