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Papa Montini: Tra dialogo ecumenico e nuova Economia, sulle orme di San Francesco

Antonio Tarallo
Pubblicato il 19-05-2018

C’è un sottile “filo rosso” che lega Paolo VI e San Francesco ed è da trovarsi nel dialogo ecumenico che tanto Papa Montini ha caldeggiato durante il suo pontificato. E’ un lato, questo, che non sempre viene sottolineato. Anche perché – diciamolo pure – il successore (tralasciando i pochi giorni di Papa Luciani) Giovanni Paolo II – grazie alle vie di comunicazioni assai più vaste e progredite rispetto a quelle di Papa Montini – ha occupato la scena mediatica in merito a questo delicato argomento che ancora oggi potrebbe definirsi “in fase di sviluppo”: la via del dialogo interreligioso.

Nella precedente puntata, legata alla figura – in generale – di Paolo VI, abbiamo accennato a uno dei più importanti viaggi che Montini fece durante il pontificato: quello in Terra Santa, nel 1964. Questo il famoso annuncio, fatto dal pontefice nella seconda sessione del Concilio Vaticano II:  " Dopo matura riflessione e molte preghiere rivolte a Dio, abbiamo deliberato di recarCi come pellegrino in quella terra, patria del Signore Nostro Gesù Cristo. (...) Vedremo quella terra veneranda, di dove San Pietro è partito e nella quale nessun suo Successore è mai tornato. Ma Noi umilissimamente e per brevissimo tempo vi ritorneremo in spirito di devota preghiera, di rinnovamento spirituale, per offrire a Cristo la sua Chiesa; per richiamare ad essa, una e santa, i Fratelli separati; per implorare la divina misericordia in favore della pace, che in questi giorni sembra ancora vacillante e trepidante; per supplicare Cristo Signore per la salvezza di tutta l’umanità." Un mese dopo tale annuncio, il Papa atterrava in Giordania per tre giorni intensi di pellegrinaggio che lo portarono dal sito del Battesimo di Cristo, a Betania, ai Luoghi della Passione di Cristo (Via dolorosa, San Sepolcro, Getsemani), in Galilea (con soste a Nazareth, Cana, Tabgha, Cafarnao, Monte delle Beatitudini e Tabor), infine il ritorno a Gerusalemme con la visita al Cenacolo e per ultimo a Betlemme. Il viaggio di Paolo VI fu soprattutto di preghiera.  Tutte queste terre visitate dal pontefice erano e sono quelle care, da sempre, e “in custodia” ai “discepoli di San Francesco”. Le fotografie dell’epoca testimoniano la luminosità della veste bianca e la mantella rossa, con dietro il “bruno” dei sai francescani.

L’abbraccio tra Papa Montini e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Atenagora, ha tutto il “sapore” di quello che avverrà nella famosa piazza davanti la Basilica del Sacro Convento di Assisi, il 27 ottobre 1986.  Il dialogo interreligioso che Papa Wojtyla intensificherà e porterà avanti fino agli ultimi giorni di vita. Possiamo ben dirlo: Paolo VI precursore di quello che sarà poi definito “lo spirito di Assisi”. Bisogna ricordare che quello tra un pontefice romano e un patriarca d'Oriente, fu il primo incontro a novecento anni dalla reciproca scomunica tra le due chiese. Paolo VI e Atenagora si abbracciarono più volte, si parlarono a lungo come due "fratelli ritrovati" – questa la testuale espressione ripetuta da entrambi durante il colloquio – e gettarono le basi per la ripresa del dialogo tra le due grandi comunità cristiane. Un Papa in cammino, dunque. Un Papa che ha cercato la pace e la solidarietà fra i popoli e che non ritenne fondamentale che questi popoli fossero cristiani o no, mussulmani o altro. Paolo VI va al cuore del problema: la pace, intramontabile orizzonte per l’Uomo. Un po’ come il famoso incontro tra San Francesco e il Sultano di Egitto Malik al Kamil.


Quella cortesia, rispetto e dialogo, che caratterizzano la conversazione tra il sultano Malek al-Kamel e Francesco d'Assisi è la stessa fra i due leader religiosi  del Novecento, divisi per via della scomunica dal lontano 1054. Anche in questo caso era stato un “cristiano” a incamminarsi verso l’altro, verso lo sconosciuto, verso il “lontano”. La pace e la fratellanza avevano vinto, partendo dal rispetto verso l’Uomo.

Nel cuore del Papa c’era la perenne preoccupazione per la pace, la giustizia, la fratellanza dell’umanità intera. E un altro viaggio che fece “scalpore” in quell’epoca fu quello in India.  Era sempre il 1964, in occasione del XXXVIII Congresso Eucaristico Internazionale.

Di ritorno da quel viaggio, nel radiomessaggio per il Natale, ricordò ancora con meraviglia e gratitudine quella gente “non cattolica, ma cortese, aperta, avida di uno sguardo e di una parola dell’esotico visitatore romano, quale noi eravamo”. E, continuando, esprimeva la sua stima per quelle folle nelle quali “abbiamo visto un’umanità degnissima, connaturata con le sue tradizioni culturali millenarie, non tutte cristiane, no, ma profondamente spirituali e sotto molti aspetti buone e gentili, antichissime e giovani insieme, oggi sveglie e rivolte verso qualche cosa che lo stesso portentoso progresso moderno non può dare e forse può impedire”.

Ma non è solo il dialogo ecumenico che ha formato il legame con il Santo d’Assisi. Ce ne uno, dichiarato dallo stesso Montini, che è importante ricordare. E’ concreto, pragmatico: il  progresso economico. Il progresso umano attraverso la dignità del lavoro, e della economia, cercando di guardare ai paesi che non hanno una economia di sviluppo.

Il 1958 vede la Lombardia come regione scelta per portare l’olio alla lampada che arde sulla tomba del Santo d’Assisi. L’allora Arcivescovo di Milano, Montini, è chiamato a presiedere le funzioni.  Il 4 ottobre 1958, in pellegrinaggio ad Assisi, pronuncia queste parole: “Ora noi siamo provenienti da una Regione che si caratterizza oggi — e forse domani, col Mercato Comune, ancor più — per il suo sviluppo economico e per l'impegno con cui a tale sviluppo essa lega i suoi pensieri, i suoi interessi, i suoi affanni, le sue speranze, la sua vita. Siamo figli dell'«Homo oeconomicus»; siamo esponenti di una concezione della vita che gravita intorno alla ricchezza. (…)E quasi una confessione: noi siamo uomini abituati a porre nella ricchezza la nostra stima, la nostra speranza. Quale preghiera possiamo noi rivolgere a san Francesco d'Assisi? E dopo, il Metropolita di Milano, continua con il messaggio più importante, che anche in questo caso sembra davvero profetico per la società di oggi, su cui la Chiesa si sta interrogando ( viene in mente il recente documento della Congregazione per la dottrina della fede e del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, “Oeconomicae et pecuniariae questiones”): “La preghiera è questa: Francesco, aiutaci a purificare i beni economici dal loro triste potere di perdere Dio, di perdere le nostre anime, di perdere la carità dei nostri concittadini. Vedi, Francesco, noi non possiamo straniarci dalla vita economica, è la fonte del nostro pane e di quello altrui; è la vocazione del nostro popolo, che sale alla conquista dei beni della terra, che sono opere di Dio; è la legge fatale del nostro mondo e della nostra storia. È possibile, Francesco, maneggiare i beni di questo mondo, senza restarne prigionieri e vittime? È possibile conciliare la nostra ansia di vita economica, senza perdere la vita dello spirito e l'amore? È possibile una qualche amicizia con Madonna Economia e Madonna Povertà?”


Questa, la sfida che ci ha lanciato sessanta anni fa Giovanni Battista Montini, rifacendosi al pensiero francescano. E, allora, Oggi – in maniera direi quasi provocatoria – perché non auspicarci che la realizzazione di questa Economia possa divenire il primo miracolo nella nuova “veste”  …di Santo?


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