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50 anni fa Papa Giovanni XXIII a Loreto e Assisi

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001

Il treno si mosse dalla Stazione vaticana alle 6,30. Era il 4 ottobre 1962. Quel mattino, festa di San Francesco, Papa Giovanni XXIII si metteva in viaggio per Loreto e Assisi. Andava a porre sotto la protezione della Madonna e del Poverello il Concilio Vaticano II, che doveva cominciare a giorni.

Loreto e Assisi erano stati nei tradizionali confini dello Stato pontificio. Umbria e Marche avevano fatto parte delle terre delle quali il Papa era sovrano. Ma era dal 1857 che un Papa non vi aveva messo piede: quell'anno, Pio IX aveva compiuto il suo ultimo viaggio nelle terre pontificie.

Il treno a Giovanni XXIII lo aveva prestato il Quirinale. Era quasi un secolo, a causa della presa di Roma che un treno non si muoveva dalla vecchia stazione del Vaticano. Ed era anche il primo Papa moderno che andava in giro per l'Italia.

La prima Sosta in territorio italiano fu alla stazione Tiburtina. Sulla carrozza papale salì il presidente del Consiglio, Amintore Fanfani. Il presidente della repubblica, Antonio Segni, raggiungerà il Papa a Loreto. Ad Assisi ci sarà anche Aldo Moro. Lungo il tragitto, fu invece la folla a circondare il Papa di entusiasmo e di affetto. Fu quello forse per Papa Roncalli uno dei momenti più belli e festosi del suo pontificato. Durante il viaggio stette quasi sempre al finestrino, il viso sorridente, le braccia appoggiate al bordo del vetro, le mani benedicenti. Davanti a lui scorreva per chilometri e chilometri una fila ininterrotta di volti umani colmi di commozione e di gratitudine. La gente aveva invaso le stazioni, il recinto della ferrovia si assiepava fin sulle rotaie. Quel giorno il Papa viaggiante poteva apparire come un'immagine inedita ed inconsueta. Era invece la premessa ad una sempre più naturale e vasta libertà del Pontefice di fronte al mondo. Quella felice corsa in due luoghi sacri e celebri in tutta la terra era la giustificazione a tutti i viaggi pastorali dei successori divenuti itineranti, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

A Loreto, il piazzale della Madonna brulicava di gente, aggrappata alla fontana del Maderno, i ragazzini si erano arrampicati sulle ginocchia della statua di Sisto V. Il Papa saliva alla basilica sporgendo dall'auto aperta, benedicendo su per i tornanti tra due ali di folla Entrato nel tempio, si portò subito alla casa della Vergine, sostando in preghiera davanti a quei mattoni neri e antichi. Poi ritornò tra i marmi bianchi che custodiscono la casa. «Questa è l'ora dell'Angelus», disse e recitò il saluto angelico. Era appena passato mezzogiorno.

Nel discorso rivolto alla folla volle andare con la memoria al suo viaggio a Loreto da seminarista il 20 settembre 1900, «L'atto di venerazione alla Madonna di Loreto che compiamo oggi, disse, ci riporta col pensiero a sessantadue anni fa, quando venimmo qui per la prima volta, di ritorno da Roma, dopo aver acquistato le indulgenze del Giubileo indetto da Papa Leone. Era il 20 settembre del 1900. Alle due ore del pomeriggio, ricevuta la santa Comunione, potemmo effondere la nostra anima in prolungata e commossa preghiera. Per un giovanetto seminarista cosa c'è di più soave che intrattenersi con la cara madre celeste? Ma, ahimè!, le dolorose circostanze di quei tempi, che avevano diffuso nell'aria una sottile vena canzonatoria verso tutto ciò che rappresentava i valori dello spirito, della religione, della santa Chiesa, converti in amarezza quel pellegrinaggio, non appena ci accadde di ascoltare il chiacchiericcio della piazza. Rammentiamo ancora le nostre parole di quel giorno sul punto di riprendere il nostro viaggio di ritorno: Madonna di Loreto, io vi amo tanto, e prometto di mantenermi fedele a voi, e buon figliolo seminarista. Ma qui non mi vedrete più. Vi tornammo invece altre volte, in seguito, a lunga distanza di anni, Ed oggi eccoci qui».

Certamente il seminarista Roncalli, nel lontano 1900, non aveva scelto un giorno ideale per andare in pellegrinaggio a Loreto; il 20 settembre era la festa più violentemente massonica ed anticlericale d'Italia. Un pretino in giro in quel giorno, non poteva sperare di non raccogliere insulti, se non di peggio. A Loreto le cose non andavano diversamente che altrove dentro la grande basilica mariana c'erano soltanto poche vecchiette, e rarissimi gli uomini. Ma questa volta, a Loreto, la gioia d'essere pellegrino - davanti alla casa che la tradizione vuole portata prodigiosamente in volo da Nazareth alla terra marchigiana - si fece parola di dolce meditazione. «Tutti siamo pellegrini sulla terra», disse, «e andiamo verso la patria Lassù è la meta dell'incedere quotidiano, l'anelito dei nostri sospiri: i cieli si aprono sulla nostra testa, e il messaggio celeste rinnova il ricordo del prodigio per cui Dio si e fatto uomo e l'uomo è diventato fratello del Figlio di Dio»

Al pomeriggio ripartì per Assisi. Alla stazione di Loreto incontrò il capostazione, Ferdinando Provesi, che era stato nel 1925 a lavorare come semplice contabile a Propaganda Fide, dove monsignor Roncalli era direttore delle Opere Missionarie «Vedo che tutti e due abbiamo fatto carriera», gli disse sorridendo il Papa salendo sul treno che lo portava ad Assisi attraverso Ancona, Falconara e Foligno. Ad Ancona la folla invase la stazione e i binari acclamando a gran voce. «Sento che fate molto chiasso», disse il Papa al finestrino, «sento che la vostra gioia è molto rumorosa, ma lasciate che vi benedica». La folla fece silenzio improvviso per ricevere la benedizione, poi scoppiò in un grande applauso. A Foligno,. altra sosta per la folla alla stazione. «Voi mi chiedete di baciarmi la mano», disse, «è impossibile concederla a tutti. Io alzo questa mano e vi benedico».

L'arrivo ad Assisi fu alle 17,30. Il sole del tramonto baciava i bastioni rosa e grigi del massiccio convento costruito da Frate Elia sulla cima del Colle dell'Inferno - da allora ribattezzato Colle del Paradiso quando l'automobile del Papa, dalla stazione di Santa Maria degli Angeli si incamminò verso la tomba del Poverello. Dopo una breve sosta davanti alla basilica dove l'Ordine francescano era nato, essa imboccò i dolci tornanti che fra gli ulivi e cipressi conducono alla grande basilica. Ad Assisi si rinnovarono lo stesso entusiasmo e la stessa tenerezza che a Loreto. Dalla campagna, dai vicoli antichi della città, dai grandi conventi dalla pietra rosea, uscirono migliaia di uomini, donne, preti, frati, monache, religiosi di ogni tipo e genere. Grappoli di teste facevano capolino dalle antiche finestrelle accese di gerani. In quell'occasione ebbero il permesso di uscire a vedere il Papa - sarebbe stata l'unica occasione della loro vita - anche alcune religiose di stretta clausura. Papa Giovanni si commosse ancora una volta agli applausi della folla, al suono di tutte le campane della città serafica, sotto i fiori che la gente cercava di gettargli fin nell'automobile. Nell'ombra della cripta, il Papa sostò in muta preghiera davanti alla nuda urna di pietra, recinta di liste dì ferro, che racchiude i resti del Poverello. Era l'incontro fra due poveri: due poveri che in epoche lontane e diverse si erano fatti garanti di pace e di fraternità.

Papa Giovanni fece l'elogio di san Francesco, che aveva saputo attuare l'autentico "benvivere". «È san Francesco», disse, «che ha compendiato in una sola parola il ben vivere, insegnandoci come dobbiamo metterci in comunicazione con Dio e con i nostri simili. Questa parola dà il nome a questo colle che incorona il sepolcro glorioso del Poverello: Paradiso! Paradiso!»

Fu come il grido di commiato. Alle 18.30 ripartì. Il treno attraversò ancora stazioni piene di gente. A Roma arrivò alle 22,15. «Ho fatto buon viaggio», commentò semplicemente il Papa, «Sono emozionatissimo e contentissimo. Il mio cuore si è riempito di gioia e di esultanza». (Osservatore Romano)

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