PAROLA POVERA: Incontrare/Navigare
‘La vita, amico, è l’arte dell’incontro’: che sia breve, ripetuto, delicato, pieno di
pudori e forse anche sottintesi, come nel film ‘Breve incontro’ del 1945 di
David Lean; che sia travolgente, ‘lungo le scale’, come cantava Francesco
Guccini; o geometrico e riflessivo come in una partita di scacchi, è difficile
sfuggire all’idea che l’incontro sia l’essenza stessa della vita. Come è noto
era stato Aristotele nel IV secolo avanti Cristo a definire l’uomo ‘animale
sociale’ (in greco politikon) e molti secoli dopo Hegel aveva dato la
spiegazione ‘moderna’ di questa necessità: la coscienza individuale non è
capace di riconoscersi, ‘vedere gli altri’ è fondamentale perché si possa
capire innanzitutto se stessi.
Ecco perché Vinicius de Moraes cantava, con la complicità di Giuseppe
Ungaretti e di Sergio Endrigo che la vita è l’arte dell’incontro: quell’album
stesso, nato da una collaborazione insolita, era uno ‘strano incontro’. E
spiegava da subito che, proprio come il samba, l’incontro è una mescolanza:
c’è l’allegria ma anche la tristezza, il bello e il brutto, l’accordo e il disaccordo
(‘il samba è preghiera / tristezza che ha sempre la speranza’). Senza questo
tessuto composito non siamo noi, non siamo vivi, come ha ampiamente
dimostrato il complicato periodo della pandemia con la fase più acuta dei vari
lockdown. Un filosofo e sinologo francese, Francois Jullien, lo aveva
spiegato bene molto prima della diffusione del virus Sars-Cov-2:
“Nell’incontro sorge dal di fuori un altro che non si preventivava o,
quantomeno, che non si poteva completamente immaginare e che ora ci fissa
frontalmente, faccia a faccia”, scrive Jullien in ‘L’apparizione dell’altro. Lo
scarto e l’incontro’. Prima di lui un altro filosofo francese, Emmanuel Levinas,
aveva parlato dell’incontro con l’Altro come del “limite che ci interroga
continuamente” e che ci costringe a rivedere la nostra logica basata
(aristotelicamente) sul principio di identità che, secondo Levinas, è all’origine
della nostra cultura del possesso e del dominio (tutto è visto in funzione del
soggetto, tutto esiste solo ‘per me’).
Qui bisogna di nuovo fare attenzione alle parole e ai loro slittamenti: lo
scarto non è quello contro cui si è più volte scagliato papa Francesco
parlando di ‘cultura dello scarto’, cioè non è un rifiuto, un avanzo, una scoria,
piuttosto è un’alterità, una differenza che fertilizza. “Nell’incontro – spiega
Jullien -, ciascuno è, in qualche misura, privato di sé dall’altro, altrimenti non
si avrebbe alcun incontro; la chiusura che perimetra l’interno di un ‘sé’
subisce l’effrazione esistenziale da parte dell’Esterno”. Insomma, difficile
incontrare se non si riconosce, e anzi se non si va incontro (proprio come in
Guccini), alla differenza che l’altro rappresenta.
D’altra parte è proprio questo che ci indica l’origine della parola: incontrare
deriva da un avverbio, incontra, che significa ‘rispetto a’, ‘se paragonato a’ e
che fa quindi riferimento anche alla dimensione della misura intesa proprio
come relazione con qualcos’altro (non esistono infatti misure assolute). Ci si
incontra anche nel senso in cui ci si misura (con qualcosa o con qualcuno) e
questa è per esempio la dimensione dello sport: un incontro di calcio, un
incontro di boxe, un incontro di tennis. Negli sport individuali, come appunto il
tennis, i coach dicono spesso che l’avversario non è l’altro ma siamo noi
stessi: ci misuriamo con l’altro per scoprire (o definire, o delimitare, o
superare) i nostri limiti. In un modo o in un altro l’incontro ha sempre a che
vedere con dei confini, che devono essere riconosciuti, modificati, superati.
Questo cammino (verso e intorno ai propri confini e limiti), questo viaggio,
questa navigazione sono quello che ci rende umani (animali sociali). Ed è
anche il segreto della nostra evoluzione, del nostro progresso, qualunque sia
il nostro giudizio sul progresso: lo ha spiegato bene lo storico israeliano
Yuval Noah Harari, saggista di grande successo, parlando della fiducia
(parola che si lega molto ad incontro e incontrare). E’ la fiducia ad aver
permesso la prima grande rivoluzione fondamentale della storia dell’umanità:
senza la fiducia, quindi per esempio senza credere alle possibilità offerte
dall’ignoto, da ciò che non conosciamo e senza pensare che vale la pena di
addentrarci in quell’ignoto (sia esso una mare, una terra straniera o l’animo
umano) non sarebbero esistiti il commercio e l’esplorazione che sono uno dei
tratti distintivi dei Sapiens, cioè la specie a cui ancora apparteniamo. ‘Non
può esistere commercio senza fiducia’, scrive Harari. Aggiungiamo noi: e
senza incontro. Incontrare, infatti, come ci ha spiegato per primo Manzoni,
significa anche piacere a qualcuno, ottenere plauso.
(Massimo Sebastiani)