PAROLA POVERA: Sostenibilità

Un tema ricorrente, una parola magica, un passepartout obbligatorio nel mondo dei Fridays for Future di Greta Thunberg e, ancora di più, in quello della pandemia e del suo ‘dopo’, tutto ancora da immaginare e costruire. Se ci fosse una hit parade delle parole o magari un premio o una copertina di rivista, come fa Time per i personaggi, negli ultimi tre o quattro anni, prima della pandemia, il gradino più altro del podio sarebbe certamente spettato a ‘sostenibilità’.
In realtà, la parola, il concetto e le pratiche che essa implica furono portate sul proscenio della storia, circa venti anni dopo la fondazione del Club di Roma da parte di Aurelio Peccei e Alexander King e del loro ‘I limiti dello sviluppo’, dal Rapporto Brundtland, dal nome del primo ministro norvegese che era presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED,) istituita nel 1983. Si intitolava, quel rapporto, ‘Our common future’ (Il futuro di tutti noi), e formulava delle linee guida di uno sviluppo detto sostenibile prendendo le mosse da due dati di fatti incontrovertibili: la grande povertà del sud e i modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord. In mezzo, fra le altre cose, c’era stata la prima conferenza mondiale sull’ambiente umano organizzata dall’ONU nel 1972 a Stoccolma, dalla quale uscì un altro rapporto, di Barbara Warde e Renè Dubos: ‘Una sola Terra’.
I colorati, baldanzosi e distratti anni ’80 accolsero il rapporto Brundtland come si può immaginare. Ma anche gli anni ’70, troppo presi dalle violente contese ideologiche, apostrofarono gli alfieri del Club di Roma e i loro ‘allievi’ nella migliore delle ipotesi come visionari, più spesso provocatori se non addirittura menagramo. Era forse quello il momento di occuparsi di questioni ambientali? Di aria pulita e mari ossigenati? Mentre era in corso una vera e propria guerra che mieteva vittime tra i giovani e metteva in pericolo la stabilità politica, prima, e poi mentre l’Italia e l’Europa tornavano a crescere impetuosamente e a farci sognare ancora magnifiche sorti e progressive? Ma chi è andato in barca lo sa: il momento di mettere tutto a punto e di verificare che lo scafo e gli strumenti siano in grado di funzionare è proprio quando si sta tranquilli all’ormeggio perché dopo, nel mezzo della tempesta, sarà troppo tardi.
Insomma, per diventare pericolosamente mainstream, la parola sostenibilità ce ne ha messo di tempo. Fino ad allargare a dismisura il suo perimetro, dall’ambiente all’economia, alle professioni (si parla di giornalismo sostenibile, per esempio), all’alimentazione, alla scuola e alla sanità. Fino alle parole del neo-presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi: ‘Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta’. Se ci pensiamo, siamo sempre all’idea di ‘una sola terra’ e un ‘futuro comune’ fissati già tra gli anni ’70 e ’80. L’origine della parola, i suoi significati e i modi in cui viene usata ci aiutano a capire perché.
Nonostante il fatto che oggi essa venga considerata, in un certo senso giustamente, un anglismo (da sustainability), l’origine è nel verbo latino sustinere che è formata da sub, sotto, e tenere, reggere. Quindi reggere da sotto, sopportare il peso ma anche portare avanti. E lo spettro delle applicaziojni della parola, da sostenere un esame a sostenere lo sguardo o sostenere qualcuno in un passaggio delicato e fondamentale della sua vita, ci portano immediatamente vicini a qualcosa che sta al confine di questa, che ne è parente stretta, anche se non dal punto di vista etimologico e lessicale: la responsabilità. Abbiamo la responsabilità di reggere qualcosa, di stare sotto e accompagnarla. Il filosofo Hans Jonas lo aveva già spiegato, proprio al termine del decennio critico, i ’70 del Novecento, in un testo che si intitola appunto ‘Il principio responsabilità’. Si parla di un’etica applicata alle conseguenze che i nostri comportamenti possono avere, non solo in questo momento e non solo su una persona o una situazione, ma sull’intera biosfera. Ed è dunque anche una responsabilità proiettata nel futuro. Esattamente la questione posta dal rapporto Brundtland e dal presidente Draghi. Di insostenibile c’è solo, come ci ha spiegato Milan Kundera, la leggerezza dell’essere: che ci impedisce di vere i problemi più veri nasondendoli, volta per volta, dietro schermi diversi (siano anche l’urgenza della battaglia politica o le magnifiche sorti e progressive).

(Massimo Sebastiani)