Vita prima - di Tommaso da Celano
Contenuto di questa parte. Beato transito e mirabile ascesa del Santo
[472] Nella prima parte del nostro lavoro, condotto a termine con l’aiuto del Salvatore, abbiamo descritto alla meglio la vita e le opere del beatissimo padre nostro Francesco fino al diciottesimo anno della sua conversione; ora aggiungiamo brevemente in questa piccola opera le altre notizie degne di fede, che abbiamo potuto raccogliere circa gli ultimi due anni della sua vita. E vogliamo riferirne qui solo i dati essenziali, lasciando ad altri la via aperta per una più ampia esposizione.
[473] L’anno 1226, indizione XIV, il 4 di ottobre, in giorno di domenica, in Assisi, sua città natale, presso Santa Maria della Porziuncola, dove egli aveva fondato l’Ordine dei frati minori, il beatissimo padre nostro Francesco, a vent’anni dalla sua piena adesione a Cristo, seguendo la vita e le orme degli apostoli, si liberò dal carcere della carne e, portando a compimento la sua opera, se ne andò felicemente nel soggiorno dei beati. Tra inni e lodi il suo sacro corpo fu collocato e riverentemente custodito in quella città, dove a gloria di Dio rifulge per molti miracoli. Amen.
[474] Poiché nella prima età era stato lasciato ignaro quasi del tutto della via e della conoscenza di Dio, aveva trascorso parecchio tempo in una naturale semplicità e nell’ardore delle passioni, ma poi, quando la destra del Signore si volse verso di lui, riuscì a districarsi dal peccato, e da allora, per grazia e potenza dell’Altissimo, fu ripieno di sapienza divina più di tutti i suoi contemporanei. Infatti, in mezzo all’avvilimento, non di pochi ma generale, in cui era caduta dovunque la dottrina evangelica, egli fu mandato da Dio nel mondo perché, come gli apostoli, fosse testimone della verità per tutti gli uomini. E realmente egli dimostrò con chiarezza, con la parola e l’esempio, quanto fosse stolta la sapienza terrena e, in breve, sotto la guida di Cristo, trascinò gli uomini, mediante la stoltezza della predicazione, all’autentica sapienza divina.
[475] Simile a un fiume del paradiso, il nuovo evangelista di
questo ultimo tempo ha diffuso per il mondo intero le acque
fluenti del Vangelo, e con le opere ha additato la via del Figlio
di Dio e la dottrina della verità. Così in lui, e per suo merito, il
mondo ha ritrovato un’insperata esultanza e una santa novità:
il virgulto dell’antica religione ha subito rinnovato i rami, che
erano ormai vecchi e decrepiti. Al cuore degli eletti fu dato
uno spirito nuovo e in mezzo a loro si diffuse una salutare
unzione, quando questo santo servo di Cristo, come astro celeste,
ha irradiato la luce della sua originale forma di vita e dei
suoi prodigi.
[476] Tramite Francesco si sono rinnovati gli antichi miracoli,
quando nel deserto di questo mondo mediante un modo di
vita nuovo, ma fedele agli antichi, è stata piantata una vite
feconda, che produce fiori profumati di sante virtù e stende
ovunque i tralci della santa Religione.
[477] Nonostante la fragilità della condizione umana, che
aveva in comune con noi, non si accontento` dell’osservanza
dei precetti comuni; ma, trascinato da un intensissimo amore,
s’incamminò sulla via della perfezione, raggiunse la vetta della
più sublime santità e contemplò il termine di tutta la perfezione.
Perciò ogni persona, di qualsiasi condizione, sesso ed età,
può trovare in lui limpide direttive di sana dottrina e splendidi
esempi di opere virtuose. Chi vuole, dunque, metter mano
a cose grandi e conquistare i doni più alti della via della perfezione,
guardi nello specchio della sua vita e imparerà
ogni perfezione. Chi invece preferisce esercizi più umili e modesti,
temendo di camminare per luoghi ardui e scalare la cima
del monte, guardi ancora a lui: vi troverà gli insegnamenti
adatti anche a questo grado di vita spirituale. Chi infine va alla
ricerca di rivelazioni prodigiose e di miracoli, badi alla santità
di Francesco e sara` accontentato.
[478] Proprio la sua vita gloriosa illumina la perfezione dei primi
santi di luce più fulgida: lo provano e lo manifestano in
modo evidentissimo la passione di Gesù Cristo e la croce di
lui. E veramente il venerabile padre ebbe impressi nella carne
i cinque segni della passione e della croce, come se fosse stato
crocifisso insieme con lo stesso Figlio di Dio. Questo sacramento
e` grande e manifesta la sublimità della prerogativa dell’amore;
ma esso cela un arcano disegno e un sublime mistero,
noto solo a Dio, crediamo, e rivelato in parte dallo stesso santo
a una sola persona. E perciò non conviene fermarsi più
a lungo a lodare il santo, dal momento che è stato esaltato da
Colui che e` di tutti lode, sorgente e splendore inesauribile e
che darà in premio l’eterna luce. Benedicendo, dunque, Iddio
santo, vero e glorioso, riprendiamo la narrazione.
Il desiderio piu' grande di Francesco, e come, aprendo il libro del Vangelo, conobbe il volere di Dio nei suoi confronti
[479] Desiderando il beato e venerabile padre Francesco occuparsi
solo di Dio e purificare il suo spirito dalla polvere del
mondo che eventualmente l’avesse contaminato nel suo stare
con gli uomini, un giorno si ritirò in un luogo di raccoglimento
e di silenzio, abbandonando le folle che ogni giorno
accorrevano devotamente a lui per ascoltarlo e vederlo. Egli
era solito dividere e destinare il tempo che gli era concesso
per acquistar grazie, secondo che gli sembrava più opportuno,
una parte per il bene del prossimo, l’altra riservata alla beata
solitudine della contemplazione. Prese pertanto con sé pochissimi
compagni, tra i più intimi e partecipi della sua vita
più degli altri, perché lo salvaguardassero dalle visite e dal
disturbo degli uomini e fossero custodi amorosi e fedeli della
sua quiete. Rimase in quella solitudine per un certo periodo, e
avendo con la preghiera intima e la frequente contemplazione
raggiunta una straordinaria unione con Dio, bramava sapere
che cosa di lui e in lui potesse essere più gradito all’eterno Re.
[480] Intanto studiava con tutta la sua mente e con tutto l’amore
di conoscere in quale modo e per quale via e con quale desiderio
potesse raggiungere un’unione ancora più perfetta con il
Signore Dio, secondo il disegno e il decreto della sua volontà.
E questa fu sempre la sua unica filosofia, il suo supremo desiderio
nel quale bruciò finché visse; e chiedeva a tutti, ai semplici
come ai sapienti, ai perfetti come agli imperfetti, come
poter raggiungere la via della verità e pervenire a mete sempre
più alte.
[481] In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i perfetti,
non ammettendolo, si stimava imperfetto per davvero. Aveva
infatti gustato e provato personalmente quanto è dolce, soave
e buono il Dio d’Israele per quelli che sono retti di cuore, che lo
cercano sempre con semplicità pura e con purezza vera. Infatti
la dolcezza e la soavità infusa, che egli aveva sentito spirare
dall’alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi,
lo spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora,
riboccante di tale gaudio, bramava con tutte le forze ascendere
lassù dove, elevandosi fuori di se stesso, in parte era già
salito. Ripieno dello spirito di Dio, era un uomo pronto ad
affrontare qualsiasi angustia di spirito, qualsiasi tormento nel
corpo, a patto che gli fosse infine concesso che si compisse in
lui, totalmente, la misericordiosa volontà del Padre celeste.
[482] A questo scopo, un giorno si accostò all’altare che era stato
eretto in quell’eremo dove egli soleva fermarsi e, preso il
libro dei santi Vangeli, ve lo depose sopra devotamente. Poi,
prostrato in preghiera non meno con il cuore che con il corpo,
implorava umilmente Dio buono, padre della misericordia
e Dio di ogni consolazione, che si degnasse di manifestargli la
sua volontà; e perché potesse condurre a compimento quello
che un tempo egli aveva intrapreso con semplicità e devozione, lo pregava e supplicava di rivelargli alla prima apertura
del libro quanto gli fosse più conveniente fare. Si conformava
così a quegli antichi grandi maestri di santità che avevano
agito, come si legge, in modo analogo.
[483] Terminata la preghiera, si alzò e con spirito di umiltà e contrizione di cuore, fatto il segno della santa croce, prese il libro dall’altare e lo aprıì con riverenza e timore. Ora avvenne che, all’apertura del libro, la prima cosa sulla quale si posarono i suoi occhi fu la passione di nostro Signore Gesù Cristo, e precisamente solo nel tratto in cui essa viene predetta. Ma per timore che si trattasse di un caso fortuito, chiuse e riaperse il libro una seconda e una terza volta, e risultò sempre un passo uguale o somigliante. Ed egli, ripieno dello Spirito di Dio, capì allora che sarebbe entrato nel regno dei cieli solo attraverso innumerevoli tribolazioni, angustie e lotte. Ma non si turbò il fortissimo soldato di Cristo al pensiero delle lotte che l’attendevano, né si perse d’animo davanti alle battaglie del Signore che avrebbe dovuto combattere sul campo del mondo. Non poteva temere di soccombere davanti all’avversario lui, che non cedeva neppure davanti a se stesso nelle lunghe fatiche che aveva sostenuto al di là delle possibilità umane. Era davvero di un fervore unico, e se nei secoli passati ebbe qualche suo emulo nei buoni propositi, non si è trovato tuttavia nessuno superiore a lui nel fervore del desiderio. Egli infatti sapeva con più facilità compiere buone azioni che predicarle, poiché più che alle parole che rivelano la virtù, ma non fanno l’uomo virtuoso, impiegava tutte le sue forze in opere sante. Perciò poteva rimanere sicuro e lieto e cantare per sé e per Iddio canti di letizia nel suo cuore. Per questo fu ritenuto degno di una maggiore rivelazione lui che si era rallegrato di una rivelazione minima, ed essendo stato fedele nel poco gli è dato autorità su molto.
Visione di un uomo in figura di Serafino crocifisso
[484] Mentre dimorava nell’eremo, che dal nome del luogo è
chiamato «Alverna», due anni prima della sua morte, vide
in una visione divina un uomo in forma di Serafino, con sei
ali, librato sopra di lui, con le mani distese e i piedi uniti,
confitto a una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo,
due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo.
A quell’apparizione il beato servo dell’Altissimo si sentì
ripieno di un’ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne
il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante
letizia per lo sguardo bellissimo e dolce con il quale il Serafino
lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente
atterrito nel vederlo confitto in croce nell’acerbo
dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto,
poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava
con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo
il suo spirito era tutto agitato.
[485] Mentre non riusciva a capire nulla di preciso e la novità di
quella visione si era impressa nell’animo, ecco che nelle sue
mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni
dei chiodi che aveva appena visto in quell’uomo crocifisso.
Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da
chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul
dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta.
Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani,
e allungati nell’esterna, e formavano quasi un’escrescenza
carnosa, come fosse la punta di chiodi ripiegata e ribattuta.
Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti
sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da
un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava
bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande.
[486] Ben pochi ebbero la fortuna di vedere, mentre era ancora vivente quel crocifisso servo del Signore crocifisso, la sacra ferita del costato. Ma fortunato frate Elia che, vivente ancora il santo, meritò in qualche modo di scorgerla, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani. Mentre infatti una volta gli aveva messo una mano sul petto per praticargli una frizione, la mano gli scivolò, come spesso capita, sul lato destro e così gli capitò di toccare quella preziosa cicatrice. A quel contatto il santo di Dio ne sentì grande dolore e allontanò la mano, gridando che il Signore lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei, ma lo sottraeva con cautela anche alla vista degli amici, così che perfino i frati più intimi e i suoi seguaci più devoti non ne seppero nulla per lungo tempo. Questo servo e amico dell’Altissimo, pur vedendosi ornato con tali perle, come preziosissime gemme, e coperto di gloria e onore più di ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana; al contrario, affinché la stima degli uomini non gli rubasse la grazia divina che gli era stata data, si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti.
[487] Si era fatto un programma di non manifestare quasi a nessuno il suo straordinario segreto, nel timore che gli amici lo divulgassero per il particolare loro affetto, come suole accadere, e gliene venisse una diminuzione di grazia. Aveva pertanto continuamente nel cuore e sulle labbra il detto del profeta: Nel mio cuore ho riposto tutte le tue parole, per non peccare dinanzi a te. Si era addirittura accordato con i suoi frati e figli che erano con lui di ripetere questo versetto come segno che intendeva troncare la conversazione con i borghesi che venivano da lui; a quel segnale essi dovevano cortesemente licenziare i visitatori. Aveva sperimentato quanto è nocivo all’anima comunicare tutto a tutti, e sapeva che non può essere uomo spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e profondi di quelli che potevano essere letti sul viso e giudicati in ogni loro parte dagli uomini. Si era infatti imbattuto in persone che esteriormente mostravano di essere d’accordo con lui, mentre la pensavano diversamente: in sua presenza lo apprezzavano, in sua assenza lo disprezzavano; e questi lo indussero a un giudizio di disapprovazione verso di loro, e qualche volta gli resero un poco sospette anche persone che venivano a lui con sentimenti retti.
Così spesso avviene che i maligni cerchino di screditare tutto ciò che è puro, e poiché la menzogna è vizio di molti, si finisce per non credere più alla sincerità dei pochi.
Fervore del beato Francesco e la sua malattia agli occhi
[488] In quello stesso periodo, il suo corpo cominciò a essere tormentato da mali fisici diversi e più violenti del solito. Soffriva infatti di parecchie malattie in conseguenza delle aspre penitenze cui già da anni sottoponeva il suo corpo per ridurlo a servitù. Infatti nello spazio di diciott’anni, appena ultimato, a stento o quasi mai si era preoccupato di dare un po’ di riposo al suo corpo nelle sue peregrinazioni per diverse e vastissime regioni: quello spirito pronto, devoto e fervente che lo animava, era impegnato a spargervi i semi della parola di Dio.
Egli aveva riempito la terra del Vangelo di Cristo, tanto che era capace di passare in un sol giorno per quattro o cinque borgate o anche città, annunciando a tutti il regno di Dio ed edificando gli uditori non meno con l’esempio che con la parola: si potrebbe dire che era divenuto tutto lingua.
[489] Era tale l’accordo tra la carne e lo spirito e tale l’obbedienza dell’una all’altro, che mentre egli si sforzava di raggiungere la piena santità, quella non solo non gli era di ostacolo, ma anche cercava di corrergli innanzi, come dice la Scrittura: Di te ha sete la mia anima, e quanto anche la mia carne. L’assiduità nell’obbedienza aveva finito per rendere volontaria questa sottomissione, e per l’obbedienza di ogni giorno aveva raggiunto la stabilità di una sì grande virtù; infatti spesso la consuetudine si tramuta in natura.
[490] Ma poiché, secondo la legge di natura e l’umana condizione, è necessario che il corpo si consumi di giorno in giorno, mentre lo spirito si può ringiovanire, avvenne che quell’involucro preziosissimo, che racchiudeva quel celeste tesoro, cominciò a cedere da tutte le parti e a perdere le forze. Siccome però, come dice la Scrittura: Quando un uomo si sarà consumato, allora comincerà a vivere, e quando sarà giunto al termine, incomincerà a operare, si vide il suo spirito farsi più pronto nella carne inferma. Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime e desiderava così ardentemente il bene del prossimo che, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa a un asinello. Spesso i frati con dolce insistenza lo invitavano a ristorare un poco, con le cure mediche, il suo corpo infermo e troppo debole, ma egli, che aveva il suo nobile spirito continuamente rivolto al cielo, declinava ogni volta l’invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con Cristo.
[491] Anzi, poiché non aveva ancora completato nella sua carne quanto mancava alla passione di Cristo, sebbene ne portasse nel corpo le stimmate, incorse in una gravissima malattia d’occhi, come se Iddio mandasse a lui un nuovo segno della sua misericordia. E siccome quella malattia si aggravava di giorno in giorno e sembrava peggiorare per la mancanza di cure, infine frate Elia, che Francesco aveva scelto come madre per sé e costituito padre per gli altri frati, lo costrinse a non rifiutare i rimedi della medicina in nome del Figlio di Dio, che la creò, secondo la testimonianza della Scrittura: l’Altissimo ha creato in terra la medicina e il savio non la respingerà. A quelle parole Francesco cedette volentieri e umilmente obbedì.
A Ugolino, vescovo di Ostia, che lo riceve benevolmente a Rieti, il Santo predice la nomina a sommo Pontefice
[492] Molti si provarono con i loro rimedi, senza che se ne trovasse uno; allora Francesco si recò a Rieti, dove si diceva dimorasse un tale molto esperto per la cura di quel male. Al suo arrivo fu accolto benevolmente e con onore da tutta la Curia romana, che in quel periodo risiedeva in quella città, ma in modo tutto particolare lo ricevette con tanta devozione il signor Ugolino, vescovo di Ostia, famoso allora per rettitudine e santità di vita.
[493] Il beato Francesco lo aveva scelto con il consenso e beneplacito del papa Onorio III, come padre e signore di tutto il suo Ordine, proprio perché gli era cara la beata povertà e onorava assai la santa semplicità . Questo prelato imitava la vita dei frati e, desideroso di raggiungere la santità, era semplice con i semplici, umile con gli umili, povero con i poveri. Era un frate tra i frati, tra i minori il minimo e, per quanto gli era consentito, si ingegnava a diportarsi sempre come uno di loro nella sua vita e nei suoi costumi. Era sollecito di stabilire ovunque il sacro Ordine religioso e, d’altra parte, la fama della sua vita santa contribuiva a diffonderlo maggiormente anche nelle regioni più lontane. Il Signore gli aveva donato una parola sapiente, ed egli se ne serviva per confondere i nemici della verità e della croce di Cristo, ricondurre gli erranti sulla retta via, pacificare i discordi e rinsaldare il vincolo della carità tra coloro che già vivevano nella concordia. Era nella Chiesa di Dio lampada che arde e illumina, saetta scelta, tenuta in serbo per il momento opportuno. Quante volte, deposte le ricche vesti e indossatene altre rozze, lo si vedeva andarsene a piedi scalzi come un semplice frate, per portare la pace. Ogni volta che gli si presentava l’occasione, si adoperava con ardore a ristabilire questa pace tra l’uomo e il prossimo e tra l’uomo e Dio. Per questo il Signore lo scelse poco tempo dopo come pastore di tutta la sua santa Chiesa, conferendogli autorità e potenza su tutti i popoli.
[494] Perché si riconoscesse che questo avvenne per divina ispirazione e volontà di Cristo, il beato padre Francesco lo profetizzò con le parole e lo significò con i fatti molto tempo prima. Quando infatti la Religione e poi l’Ordine dei frati incominciava, sostenuto dalla grazia di Dio, a dilatarsi e a innalzare nel cielo, come cedro del paradiso di Dio, la cima dei suoi meriti e, come vigna eletta, a estendere i suoi santi tralci su tutta la terra, san Francesco si recò da papa Onorio III, capo della Chiesa romana in quegli anni, supplicandolo umilmente di concedere a lui e ai suoi frati, in qualità di padre e signore, Ugolino, vescovo di Ostia. Il pontefice esaudì la richiesta del santo e ben volentieri delegò la sua giurisdizione sull’Ordine a Ugolino. Questi la ricevette con umile riverenza e, come il servo fedele e prudente costituito sopra la casa del Signore, si impegnò in tutti i modi a distribuire opportunamente il cibo della vita eterna a tutti coloro che erano stati affidati alle sue cure.
[495] Perciò il beato padre, da parte sua, si studiava in tutti i modi di essergli sempre docile e lo venerava con singolare e rispettoso affetto. Poiché si lasciava condurre dallo Spirito di Dio, di cui era ricolmo, il beato Francesco intuiva molto tempo prima ciò che poi si sarebbe realizzato agli occhi di tutti. Ecco perché quando gli scriveva per cose urgenti relative alla comune famiglia religiosa, o più spesso spinto dall’amore che gli portava in Cristo, nelle sue lettere non si limitava mai a chiamarlo vescovo di Ostia e di Velletri, come usavano gli altri nei saluti di convenienza, ma, non senza ragione, lo salutava: «Al reverendissimo padre, o al signor Ugolino, vescovo di tutto il mondo!». Spesso poi lo salutava con benedizioni mai udite prima e benché gli fosse sottomesso come figlio devoto, talvolta, per ispirazione dello Spirito Santo, lo consolava con fare paterno, quasi a rafforzare su di lui le benedizioni dei padri, fino alla venuta di colui che e` il desiderio dei colli eterni
[496] Il vescovo Ugolino, a sua volta, nutriva profondo affetto per il santo; gradiva quindi ogni sua parola e atto, anzi spesso si rasserenava tutto al solo vederlo. Egli stesso affermava di non aver mai avuto turbamenti o agitazioni d’animo per quanto grandi, che la vista e le parole di Francesco non bastassero a disperdere le nubi dello spirito, a far ritornare il sereno, a dissipare ogni tristezza, riportandovi la gioia. Si comportava verso il beato Francesco come il servo rispetto al suo padrone; ogni volta che lo vedeva lo ossequiava come un apostolo di Cristo, e sovente, inclinato corpo e spirito, baciava le mani con le labbra sacre.
[497] Con devozione e sollecitudine si preoccupava di trovare un rimedio per far ricuperare al beato padre la sanità degli occhi, perché lo riteneva un uomo santo e giusto e necessario e molto utile alla Chiesa di Dio. Condivideva il timore e la preoccupazione di tutta la famiglia dei frati per lui, e nella persona del padre aveva pietà dei figli. Perciò esortava il beato padre a prendersi cura di sé e a non ricusare i mezzi necessari alla sua infermità, ammonendolo che questa trascuratezza gli poteva essere imputata a peccato piuttosto che a merito. San Francesco obbedì umilmente agli ammonimenti di un così venerando signore e carissimo padre, incominciando ad attendere con alquanta diligenza e meno scrupolo ai rimedi necessari per curarsi. Ma ormai il male si era tanto aggravato che, per ricavarne anche solo un piccolo beneficio, si richiedevano somma perizia medica e strazianti rimedi. Difatti, gli si brucio` con ferri roventi il capo in più parti, si incisero delle vene, si applicarono impiastri, si iniettarono colliri, ma senza alcun miglioramento; anzi, l’infermità continuava a peggiorare sempre più.
Virtù dei frati che servivano Francesco. Qual era il suo progetto di vita
[498] Sopportò tutte queste infermità per quasi due anni, con ogni pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio. Ma per poter attendere con maggior libertà a Dio e nelle frequenti estasi aggirarsi attorno alle beate celesti dimore ed entrarvi e potersi finalmente presentare in cielo ben provvisto di meriti, davanti al dolcissimo e serenissimo Signore dell’universo, affidò la cura della sua persona ad alcuni frati, veramente degni della sua predilezione.
[499] Erano uomini assai virtuosi, devoti a Dio, cari ai santi e amati dagli uomini, e su di essi il beato padre Francesco si appoggiava come casa su quattro colonne. Ne ometto i nomi per riguardo alla loro modestia, virtù che, da veri religiosi, amano molto cordialmente. La modestia infatti è il decoro di tutte le età, testimone di innocenza, indizio di un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare della coscienza, garante della buona reputazione, distintivo della perfetta rettitudine. Questa virtù era il loro ornamento e li rendeva graditi e amabili a ognuno.
Era comune a tutti, ma ciascuno poi aveva una virtù propria: il primo era particolarmente discreto, il secondo mirabilmente paziente, il terzo di encomiabile semplicità, l’ultimo era robusto di corpo e mite d’animo. Essi con ogni diligenza, cura e buona volontà difendevano il raccoglimento spirituale del beato padre, curavano la sua malattia senza risparmiarsi pene e fatiche, pur di dedicarsi totalmente al servizio del santo.
[500] Ma sebbene il glorioso padre fosse già pervenuto al sommo della grazia davanti a Dio e risplendesse per le sue sante opere dinanzi agli uomini, pensava di intraprendere un cammino sempre più perfetto e, da valorosissimo soldato negli accampamenti di Dio, provocando il nemico, suscitare nuove guerre. Si proponeva, sotto la guida di Cristo, di compiere opere straordinarie e sperava proprio, mentre le sue energie fisiche andavano esaurendosi in un corpo già sfinito, di riportare nel nuovo attacco un nuovo trionfo sul nemico. Il vero coraggio infatti non conosce limiti di tempo, dal momento che aspetta una ricompensa eterna. Perciò bramava ardentemente ritornare agli umili inizi e, allietato di nuova speranza per l’immensità dell’amore, progettava di ricondurre quel suo corpo, sebbene stremato di forze, alla primitiva servitù. Perciò allontanava da sé tutte le preoccupazioni che gli potevano essere di ostacolo e reprimeva il frastuono delle considerazioni umane, e pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l’antico rigore, diceva: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!». Non credeva di aver conquistato il traguardo e, perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi di nuovo al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne.
[501] Vedeva molti avidi di elevarsi alle cattedre degli insegnamenti e, detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell’ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute spirituale e non cercano l’applauso dei sudditi, ma il loro profitto, non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia, ma si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono, ma ne godono. Diceva ancora che, soprattutto in un’epoca di malvagità e di iniquità come questa, è un pericolo governare e più utile essere governati. Si doleva che alcuni, abbandonate le opere di prima, dimenticassero l’antica semplicità per seguire nuovi indirizzi. Perciò si lamentava anche di alcuni, un tempo intenti a mete più elevate, che ora si abbassavano a cose vili e futili e, abbandonati i veri gaudi dell’anima, si affannavano a rincorrere frivolezze prive d’ogni valore, vagando nel campo di una malintesa libertà. Per questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la scongiurava con la devozione più grande, perché li conservasse alla grazia loro concessa.
Ritorno di Francesco da Siena ad Assisi. La chiesa di Santa Maria della Porziuncola e la benedizione ai frati
[502] Sei mesi prima del giorno della sua morte, trovandosi a Siena per la cura degli occhi, cominciò ad ammalarsi gravemente in tutto il resto del corpo. A seguito di una lesione prodottasi nello stomaco per la prolungata malattia e per la disfunzione del fegato, ebbe abbondanti sbocchi di sangue, tanto che sembrava vicino alla morte. Frate Elia, a quella notizia, accorse in fretta da lontano e, al suo arrivo, il padre santo migliorò al punto che poté lasciare Siena e recarsi con lui alle Celle, presso Cortona. Ma dopo pochi giorni di permanenza, gli si gonfiò il ventre, si inturgidirono gambe e piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile prendere cibo. Chiese allora a frate Elia il favore di farlo riportare ad Assisi. Da buon figliolo, questi eseguì la richiesta del caro padre e, disposta ogni cosa, ve lo accompagnò personalmente. L’intera città esultò alla venuta del beato padre e tutti ne lodavano Iddio, poiché tutto il popolo sperava che il santo di Dio finisse i suoi giorni tra le mura della sua città, e questo era il motivo di tale esultanza.
[503] E per divino volere avvenne che quell’anima santa, liberata dall’involucro corporale, volasse al cielo proprio nel luogo in cui, mentre era nel corpo, aveva ricevuto la prima rivelazione delle verità soprannaturali e aveva capito la divina chiamata. Sapeva certamente che il regno di Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente che ovunque gli eletti possono ricevere la grazia divina; ma l’esperienza gli aveva insegnato che quel luogo, che conteneva la chiesetta di Santa Maria della Porziuncola, era favorito da una più abbondante grazia e onorato da frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati: «Guardatevi, figli miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo luogo è veramente santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicati; qui ha illuminato con la luce della sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che avrà chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli, stimate degno di ogni onore questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce di esultanza e di lode qui inneggiate al Signore».
[504] Intanto, con il crescere del male, tutte le forze del corpo lo abbandonavano, e così stremato non si poteva in nessun modo muovere. Eppure, quando un frate gli domandò un giorno se preferisse sopportare quella sofferenza grave e incessante o qualunque atroce martirio del carnefice, rispose: «O figlio, è sempre stato ed è per me più caro, più dolce e più gradito ciò che al Signore mio Dio più piace avvenga in me e di me, e alla sua volontà soltanto desidero costantemente e in tutto trovarmi concorde e obbediente. Ma se dovessi fare un paragone, dovrei dire che sopportare anche solo per tre giorni questa malattia mi sarebbe più doloroso di qualsiasi martirio; non parlo, evidentemente, in riferimento al premio, ma solo alla molestia che questa forma di passione arreca». O uomo due volte martire, che sorridendo di gioia sopportava volentieri quello che per tutti gli altri era troppo spaventoso e doloroso anche a vedersi! Non c’era in lui ormai membro alcuno che non fosse straziato dal dolore, e abbandonandolo sempre più il calore vitale, si andava avvicinando agli estremi. Si stupivano i medici, si meravigliavano i frati come potesse il suo spirito continuare a vivere in una carne ormai morta e tanto consunta, che non rimaneva più se non la pelle aderente alle ossa.
[505] Quando sentì che era imminente l’ultimo suo giorno – come gli era stato anche indicato da una rivelazione divina due anni prima –, convocati attorno a sé i suoi frati che desiderava rivedere, impartì a ciascuno la benedizione, conforme a quanto gli veniva indicato dal cielo, come un tempo il patriarca Giacobbe benedisse i suoi figli o, meglio ancora, come un altro Mosè che, accingendosi a salire sul Sinai mostratogli da Dio, elargì copiose benedizioni al popolo d’Israele.
[506] Poiché alla sua sinistra stava frate Elia e tutto attorno gli altri suoi figli, egli allora incrociò le braccia e pose la destra sul capo di lui, e, essendo cieco, domandò: «Su chi tengo la mia mano?». «Su frate Elia», gli risposero. «Così voglio anch’io», disse, e aggiunse: «Ti benedico, o figlio, in tutto e per tutto; e come l’Altissimo, sotto la tua direzione, rese numerosi i miei fratelli e figlioli, così su te e in te li benedico tutti. In cielo e in terra ti benedica Iddio, il re di tutte le cose. Ti benedico come posso e più di quanto è in mio potere, e quello che non posso fare io, lo faccia in te Colui che tutto può. Si ricordi Dio del tuo lavoro e della tua opera e ti riservi la tua mercede nel giorno della retribuzione dei giusti. Che tu possa trovare qualunque benedizione desideri e sia esaudita qualsiasi tua giusta domanda. Addio, figli miei tutti, vivete nel timore di Dio e rimanete in lui sempre, perché sta per sopraggiungere su di voi una terribile prova e la tribolazione già si avvicina. Beati quelli che persevereranno nelle opere intraprese; da essi non pochi purtroppo si separeranno a causa degli scandali. Quanto a me mi affretto verso il Signore; ho fiducia di giungere al mio Dio cui ho servito devotamente nel mio spirito».
[507] Dimorava allora nel palazzo del vescovo di Assisi, e pregò i frati di trasportarlo in fretta a Santa Maria della Porziuncola, volendo rendere l’anima a Dio là dove, come abbiamo detto, per la prima volta aveva conosciuto chiaramente la via della verità.
Ultime parole e atti prima della morte
[508] Erano ormai trascorsi vent’anni dalla sua conversione, come gli era stato comunicato per divina volontaà. Era avvenuto così. Mentre il beato Francesco e frate Elia si trovavano un giorno a Foligno, una notte apparve durante il sonno a frate Elia un sacerdote biancovestito, di età molto avanzata e di venerando aspetto, che gli disse: «Va’, fratello, e avverti Francesco che, essendosi compiuti diciott’anni da quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due anni in questa vita e poi il Signore lo chiamerà a sé nel mondo dei più».
[509] Così dunque stava per compiersi esattamente quanto la parola di Dio aveva annunciato due anni prima. Da pochi giorni riposava in quel luogo tanto bramato, e sentendo che l’ora della morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati e figli prediletti, e ordinò loro che, a piena voce, cantassero le lodi al Signore con animo gioioso per l’approssimarsi della morte, anzi della vita così vicina. Egli poi, come poté, intonò il salmo di Davide: Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce il Signore io supplico.
[510] Uno dei frati che lo assistevano, molto caro al santo e più sollecito di tutti i frati, vedendo questo e conoscendo che la fine era vicina, gli disse: «Padre amato, già i tuoi figli stanno per rimanere orfani e privi della vera luce dei loro occhi! Ricordati dei figli che lasci orfani, perdona tutte le loro colpe e dona ai presenti e agli assenti il conforto della tua benedizione». E Francesco: «Ecco, Dio mi chiama, figlio. Ai miei frati, presenti e assenti, perdono tutte le offese e i peccati e tutti li assolvo, per quanto posso, e tu, annunciando questa mia intenzione, benedicili da parte mia».
[511] Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre. Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro, ancora prima di averne l’ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel volume contenesse tutta intera la Bibbia.
[512] E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e guida, stavano ivi raccolti con riverenza e attendevano il beato «transito» e la benedetta fine, quell’anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell’eterna luce, e il corpo si addormentò nel Signore.
[513] Uno dei suoi frati e discepoli, molto celebre, del quale non dico il nome perché, essendo tuttora vivente, non vuole trarre gloria da un sì grande privilegio, vide l’anima del santissimo padre salire dritta al cielo al di sopra di molte acque; ed era come una stella, grande come la luna, splendente come il sole e trasportata da una candida nuvoletta.
[514] Mi si lasci, dunque, esclamare così: «Quanto glorioso è questo santo, di cui un discepolo contemplò l’anima ascendere in cielo. Bella come la luna, splendente come il sole, mentre ascendeva raggiava di gloria in mezzo a una candida nube. O vera luce del mondo, che rifulgi più del sole nella Chiesa di Cristo, già ci hai nascosto i raggi della tua luce e, ritirandoti nella splendida patria celeste, hai scambiato la nostra compagnia di miseri mortali con quella degli angeli e dei santi! O gloriosa fonte di sì straordinaria esaltazione, non deporre con la tua carne mortale la cura dei tuoi figli. Tu sai bene in quali pericoli li hai lasciati, ora che nelle innumerevoli fatiche e nelle frequenti prove non ci sei più tu che, con la sola tua benevola presenza, in ogni momento li confortavi. O padre santissimo, veramente misericordioso, sempre pronto amorevolmente alla compassione e al perdono per i tuoi figli erranti! Ti benediciamo, dunque, padre santo, unendo la nostra alla benedizione dell’Altissimo, il quale è Dio sempre benedetto su tutte le cose. Amen
Pianto e gaudio dei frati che ammirano in lui i segni della crocifissione. Le ali del Serafino
[515] Ed ecco, la gente accorse in massa glorificando Dio, e dicendo: «Lodato e benedetto sii tu, Signore, nostro Dio, che a noi indegni hai affidato questo prezioso deposito. Lode e gloria a te, Trinità ineffabile!». A frotte accorre tutto il popolo di Assisi e gli abitanti dei dintorni, per vedere i prodigi divini che il Signore della maestà aveva manifestato nel santo suo servo. Ciascuno innalzava un inno di giubilo, come la gioia del cuore gli dettava; tutti poi benedicevano l’onnipotenza del Salvatore, che aveva esaudito il loro desiderio. Ma i figli si dolevano per essere stati privati di un tale padre e sfogavano con lacrime e sospiri il dolore del loro cuore.
[516] Pure un’inesplicabile gioia temperava la loro mestizia e la novità del miracolo riempiva le loro menti di straordinario stupore. Così il lutto si cambiò in cantico e il pianto in giubilo. Infatti mai avevano udito né letto in alcuna scrittura quello che ora vedevano con i loro occhi, e a stento ci avrebbero creduto se non ne avessero avuto davanti una prova così evidente. Veramente appariva in lui l’immagine della croce e della passione dell’Agnello immacolato che lavò i peccati del mondo: sembrava appena deposto dalla croce, con le mani e i piedi trafitti dai chiodi e il lato destro come ferito dalla lancia. Vedevano ancora la sua carne, che prima era bruna, risplendere ora di un bel candore, una bellezza che comprovava in lui il premio della beata risurrezione. Ammiravano infine il suo volto simile a quello di un angelo, quasi fosse vivo e non morto, e le altre sue membra divenute morbide e flessibili come quelle di un bimbo. Niente contrazione dei nervi, indurimento della pelle, irrigidimento del corpo, come suole accadere per chi è morto, ma la stessa mobilità di movimenti degli esseri viventi!
[517] Mentre risplendeva davanti a tutti per sì meravigliosa bellezza e la sua carne si faceva sempre più diafana, era meraviglioso scorgere, al centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color bruno del ferro e il costato imporporato dal sangue. E quei segni di martirio non incutevano orrore a chi li contemplava, bensì conferivano molto decoro e bellezza, come pietruzze nere in un pavimento bianco.
[518] Accorrevano i suoi frati e figli e piangendo baciavano le mani e i piedi del padre buono che li aveva lasciati, e anche quel lato destro la cui piaga ricordava chiaramente Colui che, versando sangue e acqua dal suo petto, aveva riconciliato il mondo con il Padre. Ognuno del popolo stimava grandissimo privilegio se riusciva, non dico a baciare, ma anche solo a vedere le sacre stimmate di Cristo che san Francesco portava impresse nel suo corpo. Chi a tal vista non avrebbe gioito più che pianto, versato lacrime di gaudio piuttosto che di tristezza? Qual petto di ferro non si sarebbe mosso al pianto? O qual cuore sarebbe stato così impietrito da non spezzarsi dal dolore, da non aprirsi all’amore di Dio e munirsi di buona volontà? Chi poteva essere così ottuso e insensibile da non comprendere in maniera lampante che quel santo, come era insignito sulla terra di così eccezionale dono, doveva essere pure in cielo contrassegnato da indicibile gloria?
[519] O dono singolare e segno di particolare predilezione, che il soldato sia onorato con quelle stesse armi gloriose che si addicono per l’eccellenza loro al solo re! O prodigio degno di memoria eterna, o sacramento meraviglioso, degno di perenne e devoto rispetto, poiche´ esso rappresenta in maniera visibile alla nostra fede l’ineffabile mistero per il quale il sangue dell’Agnello immacolato, sgorgando a fiotti da cinque ferite, lavò i peccati del mondo! O eccelso splendore di quella vivifica croce che dà la vita ai morti, il cui peso preme così soavemente e ferisce con tale dolcezza che in essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! Molto ti ha amato costui, se tu l’hai così mirabilmente decorato! Sia benedetto e glorificato Dio, unico e sapiente, che rinnova i suoi miracoli e ripete le meravigliose gesta per confortare le menti dei deboli con le nuove rivelazioni e per mezzo di una meraviglia visibile conquistarne gli animi all’amore delle cose invisibili! O meravigliosa e amabile disposizione divina, che, per fugare ogni dubbio sulla novità del prodigio, ha compiuto prima con misericordia in Colui che veniva dal cielo quello che poi avrebbe realizzato nell’uomo che viveva sulla terra! E veramente il padre della misericordia ha voluto mostrare di qual premio sia degno colui che si sara` impegnato ad amarlo con tutto il cuore: essere cioè accolto nella schiera degli spiriti celesti più eletta e più vicina a Dio.
[520] Quel premio anche noi, senza alcun dubbio, potremo raggiungere se, come il Serafino, terremo due ali diritte sopra il capo, se cioè, sull’esempio del beato Francesco, conserveremo in ogni opera buona la purezza d’intenzione e la rettitudine nell’agire, e queste rivolgendo a Dio ci impegneremo senza stanchezza di piacere in tutto soltanto a lui. E' necessario che queste ali siano congiunte, coprendo il capo, poiché il Padre dei lumi non gradirebbe l’opera buona se non fosse unita alla purità d’intenzione, anzi al contrario, come egli steso ha detto: Se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se il tuo occhio è torbido, il tuo corpo sarà nelle tenebre. Infatti l’occhio semplice non è quello che non vede ciò che va visto, per mancanza di conoscenza della verità, e neppure quello che guarda ciò che non va veduto, perché non ha intenzione pura; nel primo caso non sarebbe semplice, ma cieco, e nel secondo malvagio. E le penne di queste ali indicano l’amore del Padre misericordioso, che salva, e il timore del Signore, che terribilmente giudica; due disposizioni, queste, che devono staccare le anime degli eletti dalle cose terrene, reprimendo le cattive tendenze e ordinando i casti sentimenti. Con il secondo paio di ali si deve volare per compiere il duplice precetto della carità verso il prossimo: confortare l’anima con la parola di Dio e aiutare il corpo con i mezzi materiali. Difficilmente esse si congiungono, perché assai di rado un’unica persona può attendere ai due compiti; le loro penne rappresentano le diverse opere che si richiedono per svolgere la funzione di consiglio e di soccorso al prossimo. Le ultime due ali devono coprire il corpo nudo di meriti; e ciò avviene ogni volta che questo, denudato a causa del peccato, viene di nuovo rivestito dell’innocenza mediante il pentimento e la confessione. Le loro penne raffigurano tutti i diversi affetti suscitati dalla detestazione delle colpe e dal desiderio di giustizia.