Biografie di San Francesco

Vita prima - di Tommaso da Celano

La sua vita da secolare

[317] Viveva ad Assisi, nella valle Spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai genitori fu allevato fin dall'infanzia in modo dissoluto secondo le vanità del mondo e, imitando la loro misera vita, egli stesso divenne ancor più frivolo e vanitoso.

[318] Questa pessima mentalità, infatti, si è così diffusa tra coloro che si dicono cristiani e il sistema funesto, quasi fosse una legge, si è così dovunque affermato, che essi educano i propri figli fin dalla culla con eccessiva tolleranza e dissolutezza. Ancora fanciulli, appena cominciano a balbettare qualche sillaba, si insegnano loro con gesti e parole cose vergognose e deprecabili. Sopraggiunto il tempo dello svezzamento, sono spinti non solo a dire, ma anche a fare cose licenziose. Nessuno di loro, a quella età, osa comportarsi onestamente, per timore di essere severamente castigato. Ben a ragione, pertanto, afferma un poeta pagano: «Essendo cresciuti tra i cattivi esempi dei nostri genitori, tutti i mali ci accompagnano fin dall'infanzia». E si tratta di una testimonianza vera: quanto più i desideri dei parenti sono dannosi ai figli, tanto più essi li seguono volentieri!

[319] Cresciuti un po’ in età, istintivamente passano ad azioni sempre peggiori, perché da una radice guasta suole crescere un albero difettoso, e ciò che una volta è degenerato, a stento si può ricondurre al suo giusto stato. E quando varcano la soglia dell’adolescenza, che cosa pensi che diventino? Allora muovendosi tra dissolutezze di ogni specie, poiché è permesso fare tutto quello che piace, si abbandonano con passione a una vita depravata. Facendosi così volutamente schiavi del peccato, trasformano le loro membra in strumenti di iniquità; cancellano in se stessi, nella condotta e nei costumi, ogni segno di fede cristiana. Di cristiano si vantano solo del nome. Millantano spesso, gli sventurati, colpe peggiori di quelle realmente commesse, per non sembrare tanto più derisi quanto più si sono conservati puri.

[320] Ecco i tristi insegnamenti a cui fu iniziato quest’uomo, che noi oggi veneriamo come santo, ed e` veramente santo, sciupando e consumando miseramente il tempo dall'infanzia fin quasi al suo venticinquesimo anno. Anzi, precedendo in queste vanità tutti i suoi coetanei, si era fatto promotore ed emulo di mali e di stoltezze. Oggetto di meraviglia per tutti, cercava di eccellere sugli altri ovunque e con smisurata ambizione: nei giochi, nelle raffinatezze, nelle parole scurrili e sciocche, nei canti, nelle vesti sfarzose e fluenti. E veramente era molto ricco, ma non avaro, anzi prodigo; non avido di denaro, ma dissipatore; mercante avveduto, ma munificentissimo per vanagloria; di più, era molto cortese, accondiscendente e molto affabile, sebbene a suo svantaggio. Appunto per questi motivi, molti, votati all'iniquità e cattivi istigatori, si schieravano con lui. Così, circondato da una schiera di facinorosi, avanzava altero e generoso per le piazze di Babilonia fino a quando Dio, per sua bontà, posando dall'alto dei cieli il suo sguardo su di lui, non allontanò da lui la sua ira e non mise in bocca al misero il freno della sua lode, perché non perisse del tutto.

[321] La mano del Signore si posò su di lui e la destra dell’Altissimo lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia, e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio.

Dio visita il suo spirito con una malattia e un sogno

[322] Ecco dunque quest’uomo vivere nel peccato con passione giovanile. La sua incostante età lo spingeva a soddisfare le tendenze giovanili senza moderazione; incapace di controllarsi, era agitato dal veleno dell’antico serpente. Ma la vendetta, o meglio l’unzione divina, all'improvviso richiamò la sua coscienza traviata mediante un’angustia all'anima e un’infermità al corpo, conforme al detto profetico: Assedierò la tua via di spine, la circonderò con un muro.

[323] Colpito da una lunga malattia, come merita la caparbietà umana che non si corregge se non con il castigo, egli cominciò effettivamente a pensare tra sé diversamente dal solito. Riavutosi un po’, per ricuperare le forze, si mise a passeggiare qua e là per la casa, appoggiato a un bastone.
Un giorno uscì, ammirando con più attenzione la campagna circostante: ma la bellezza dei campi, l'amenità dei vigneti, tutto ciò che è gradevole a vedersi non gli dava più alcun diletto. Era meravigliato di questo repentino mutamento e riteneva stolti tutti quelli che hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta.

[324] Da quel giorno cominciò a far nessun conto di sé e a considerare con un certo disprezzo ciò che prima aveva ammirato e amato. Non tuttavia in modo perfetto e reale, perché non era ancora libero dai lacci della vanità, né aveva scosso a fondo il giogo della perversa schiavitù.
Abbandonare le consuetudini è infatti molto difficile: una volta impiantatesi nell'animo, non si lasciano sradicare facilmente; lo spirito, anche dopo lunga lontananza, ritorna ai primitivi atteggiamenti, e il vizio per lo più finisce per diventare una seconda natura. Pertanto Francesco cerca ancora di sottrarsi alla mano divina; quasi immemore della correzione paterna, arridendogli la fortuna, accarezza pensieri terreni: ignaro del volere di Dio, si ripromette di compiere ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo.

[325] Un nobile di Assisi stava allora organizzando grandi preparativi militari: pieno di vane ambizioni, per accaparrarsi maggior ricchezza e onore, aveva deciso di condurre le sue truppe fin nelle Puglie. Saputo questo, Francesco, leggero di temperamento e molto audace qual era, trattò subito per arruolarsi con lui: gli era inferiore per nobiltà di natali, ma superiore per grandezza d’animo; meno ricco, ma più generoso.

[326] Una notte in cui egli si era applicato con ogni determinazione al compimento di tale progetto e bruciava dal desiderio di partire, Colui che l’aveva colpito con la verga della giustizia lo visitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poiché era avido di gloria, lo conquise e lo esaltò con lo stesso miraggio di gloria. Gli sembrava di vedere la casa piena di armi: selle, scudi, lance e altri ordigni bellici, e tutto rallegrandosene, si chiedeva stupito tra sé e sé che cosa fosse tutto ciò. Il suo sguardo infatti non era abituato alla visione di quegli strumenti in casa, ma piuttosto a cataste di panno da vendere.
E mentre era non poco sorpreso davanti all'avvenimento inaspettato, si sentì dire che tutte queste armi erano per lui e i suoi soldati. Destatosi, si alzò al mattino con il cuore inondato di gioia e, interpretando la visione come un auspicio di grande prosperità, non dubitava un istante del successo della sua spedizione nelle Puglie. Tuttavia non sapeva quello che diceva, e ignorava ancora il dono mandatogli dal cielo. Non gli mancava comunque la possibilità di intuire che aveva interpretato erroneamente la visione, perché, pur avendo essa un rapporto con le imprese guerresche, il suo animo non se ne compiaceva come al solito; a fatica anzi gli riusciva di mettere in atto quei suoi piani e realizzare il viaggio tanto desiderato.

[327] In verità, molto a proposito si parla di armi subito all'inizio, ed è assai conveniente armare il soldato che si accinge a combattere contro il forte armato, perché, come nuovo Davide, liberi Israele, nel nome del Dio degli eserciti, dall'antico oltraggio dei nemici.

Cambiato nella mente e non nel corpo parlava sotto il velo di allegorie di un tesoro travato e di una sposa

[328] Già cambiato spiritualmente, ma senza lasciar nulla trapelare all'esterno, Francesco rinuncia a recarsi nelle Puglie e si impegna a conformare la sua volontà a quella divina. Si apparta un poco dal tumulto del mondo e dalla mercatura, e cerca di custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore. Come un mercante avveduto sottrae allo sguardo degli scettici la perla trovata, e segretamente si adopra a comprarla con la vendita di tutto il resto.

[329] Vi era ad Assisi un giovane, che gli era caro più degli altri. Poiché era suo coetaneo e l’amicizia e il mutuo affetto lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo conduceva con sé in posti solitari e adatti al raccoglimento, rivelandogli di aver scoperto un tesoro grande e prezioso. L’amico, esultante e incuriosito, accettava sempre volentieri l’invito di accompagnarlo.
Alla periferia della città c’era una grotta alla quale essi si recavano sovente, parlando del «tesoro». L’uomo di Dio, già santo per desiderio di esserlo, vi entrava lasciando fuori il compagno ad attenderlo e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in segreto. Gioiva che nessuno sapesse quanto faceva là dentro e, celando saggiamente a fin di bene il meglio, solo a Dio chiedeva consiglio nel suo santo proposito. Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua via e di insegnargli a realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva darsi pace finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri l’assalivano e lo facevano molto soffrire con la loro insistenza.
Bruciava interiormente di fuoco divino e non riusciva a dissimulare esternamente il fervore della sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli occhi della divina maestà. Ormai le vanità del passato o del presente non avevano per lui più alcuna attrattiva, ma non si sentiva sicuro di saper resistere a quelle future. Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse tanto spossato da apparire diverso da come era entrato.

[330] Un giorno finalmente, dopo aver implorato con tutto il cuore la misericordia divina, gli fu rivelato dal Signore come doveva comportarsi. E da allora fu ripieno di tanto gaudio che, non riuscendo a contenersi per la letizia, riversava, pur non volendo, qualcosa agli orecchi degli uomini.

[331] Ma per il grande amore infusogli non poteva ormai tacere; parlava tuttavia in linguaggio enigmatico: cercava di esprimersi con gli altri nello stesso modo figurato con cui l’abbiamo visto discorrere, con l’amico preferito, di un tesoro nascosto. Diceva di rinunciare a partire per le Puglie, ma allo scopo di compiere magnanime imprese nella sua patria. Gli amici pensavano che avesse deciso di sposarsi e gli domandavano: «Vuoi forse prendere moglie, Francesco?». Egli rispondeva: «Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a tutte le altre in bellezza e sapienza». E veramente sposa immacolata di Dio è la vera Religione che egli abbracciò e il tesoro nascosto è il regno dei cieli, che egli cercò così ardentemente. Bisognava davvero che si compisse pienamente la vocazione evangelica in colui che del Vangelo doveva essere il ministro nella fede e nella verità!

Venduta ogni cosa, si libera anche del denaro ricavato

[332] Così dunque preparato il beato servo dell’Altissimo, e confermato dallo Spirito Santo, essendo scoccata l’ora stabilita, asseconda il felice impulso dell’anima, per cui, calpestati i beni di questo mondo, corre per la conquista di beni migliori. D'altronde non gli era più permesso differire: un’epidemia mortifera si era diffusa ovunque, paralizzando a molti le membra in modo tale che avrebbe tolto loro anche la vita, se il Medico avesse tardato anche solo per poco.

[333] Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno della croce, appronta un cavallo, monta in sella e, portando con sé panni di scarlatto da vendere, arriva in tutta fretta a Foligno. Ivi, secondo la sua abitudine, vende tutta la merce e, da fortunato mercante, perfino il cavallo!

[334] Sul cammino del ritorno, libero da ogni peso, se ne andava pensando religiosamente che cosa dovesse fare di quel denaro. Convertito a Dio in maniera rapida e meravigliosa, sentiva tale somma troppo ingombrante, la portasse pure per un’ora sola. Così, tenendone conto quanto la rena, si affrettò a disfarsene. Avvicinandosi ad Assisi, s’imbatté in una chiesa sul bordo della strada, anticamente fabbricata e dedicata a san Damiano, che allora era in stato di imminente rovina per la sua vecchiaia.

[335] Il nuovo soldato di Cristo si avvicinò alla chiesa e, mosso a pietà di quella miserevole condizione, vi entrò con timore reverenziale; incontrandovi un povero sacerdote, con grande fede gli baciò le mani consacrate, gli offrì il denaro che recava con sé e gli manifestò il suo proponimento. Stupito, e più di quanto si possa credere meravigliato dell’improvviso mutamento, il sacerdote non volle credere a quello che sentiva e, temendo una burla, ricusò di prendere quei soldi. Infatti lo aveva visto, per così dire, il giorno innanzi a far baldoria tra parenti e amici, superando tutti in vanità. Ma Francesco insisteva e lo supplicava ripetutamente di credere alle sue parole, e lo pregava di accoglierlo con lui per amore del Signore. E finalmente il sacerdote gli permise di rimanere con lui, ma non volle accettare il denaro, per paura dei parenti. Allora Francesco, vero dispregiatore della ricchezza, lo gettò sopra una finestra, incurante di esso quanto della polvere. Bramava, infatti, possedere la sapienza che è migliore dell’oro e ottenere la prudenza che è più preziosa dell’argento.

Il padre lo perseguita e lo tiene prigioniero

[336] Mentre il servo dell’Altissimo viveva in quel luogo, suo padre andava cercando ovunque, come un diligente esploratore, che cosa fosse avvenuto di suo figlio. Appena venne a conoscenza che Francesco dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera, profondamente addolorato e assai colpito dal fatto inatteso, radunò vicini e amici e corse senza indugio al luogo dove si trovava il servo di Dio. Ma questi, che era ancora novizio nelle battaglie di Cristo, presentendo la loro venuta, sentendo le grida dei persecutori, volle lasciar posto all'ira, nascondendosi in un rifugio sotterraneo che si era preparato proprio per questo.
In quella fossa, che era sotto la casa ed era nota forse a uno solo, rimase nascosto per un mese intero non osando uscire che per stretta necessità. Mangiava nel buio del suo ricovero il cibo che di tanto in tanto gli veniva offerto, e ogni aiuto gli era dato nascostamente. Con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse dalle mani di chi perseguitava la sua anima e gli concedesse la grazia di compiere i suoi voti. Nel digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio.
Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si sentiva inondato da indicibile letizia, mai provata fino allora. Animato da questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi alle ingiurie dei persecutori.

[337] Si alzò pertanto prontamente e di scatto, ansioso e alacre, imbracciò lo scudo della fede per le battaglie del Signore; munito di un grande coraggio, s’incamminò verso la città e, ardente di amore divino, incominciò ad accusarsi di essersi attardato troppo per viltà.

[338] Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale con il passato, cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e fango. Lo vedevano così diverso dal solito comportamento, macerato dalla penitenza, ed erano indotti a pensare che tutti i suoi atti fossero frutto di fame patita e di follia. Ma poiché la pazienza val più dell’arroganza, il servo di Dio rimaneva sordo a questi insulti e, senza lasciarsi disanimare né turbare da alcuna ingiuria, ringraziava Dio per quelle prove.
Invano l’iniquo perseguita l’uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto maggiore è il trionfo della sua fortezza. L’umiliazione, disse qualcuno, rende più intrepido il cuore generoso.

[339] Quel vociare rumoroso si andava diffondendo per le vie e le piazze della città e il clamore degli schernitori rimbalzava di qua e di là toccando le orecchie di molti, finché giunsero anche a quelle di suo padre. Questi, udito gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il dileggio dei cittadini, subito andò da lui, non per liberarlo, ma piuttosto per rovinarlo. Come il lupo assale la pecora, fissandolo con lo sguardo truce e minaccioso, lo afferrò e brutalmente, senza più alcun ritegno, lo trascinò a casa. E, inaccessibile a ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, credendo di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi con percosse e catene. Ma il giovane da queste sofferenze era reso più forte e più risoluto per realizzare il suo santo proposito. Né perdette mai la pazienza, sebbene coperto di rimproveri e oppresso dalle catene.

[340] Chi, infatti, ha avuto il mandato di rallegrarsi nelle tribolazioni, neppure sotto i flagelli e le catene può abbandonare la rettitudine dei suoi propositi e la sua condizione di vita, lasciandosi sviare dal gregge di Cristo; né il diluviare di molte acque intimorisce chi in ogni angustia ha per rifugio il Figlio di Dio, il quale, perché non riteniamo troppo pesante il giogo delle nostre sofferenze, ci mostra quanto sono assai più grandi quelle che egli ha sopportato per noi.

La madre lo libera, ed egli si spoglia davanti al Vescovo di Assisi

[341] Avvenne che il padre per affari urgenti di famiglia dovette assentarsi per un po’ di tempo da casa, e il servo di Dio rimase legato nella sua prigione. Allora la madre, che era rimasta sola con lui, disapprovando l’azione del marito, parlò con tenerezza al figlio. Accortasi che niente poteva dissuaderlo dalla sua scelta, la madre si sentì commuovere per lui nell'intimo del cuore e, scioltigli i legami, lo lasciò libero. Ed egli, ringraziando Iddio onnipotente, senza perdere un istante, se ne tornò al luogo dove aveva dimorato prima. Aveva ormai maggiore libertà e, provato dalle tentazioni e dalle numerose lotte, aveva assunto un aspetto più sereno; le ingiurie gli avevano reso l’animo più sicuro, e se ne andava ovunque libero e con maggior fermezza.

[342] Frattanto il padre rincasa e non trovandolo, accumulando peccati su peccati, tempesta di rimproveri la moglie. Poi furente e imprecante corre alla nota località, nel tentativo di allontanarlo almeno dalla contrada, se non gli fosse riuscito di piegarlo a ritornare alla sua vita precedente.
Questa volta però, poiché chi teme il Signore è sicuro di trovare in lui ogni forza, il figlio della grazia, appena sentì che il padre terreno veniva a cercarlo, gli andò incontro spontaneamente, sicuro e lieto, dichiarando di non aver più paura delle sue catene e delle sue percosse, e di essere pronto a sopportare con gioia ogni male nel nome di Cristo.

[343] Allora il padre, visto vano ogni sforzo per distoglierlo dal nuovo cammino, rivolge tutto il suo interesse a farsi restituire il denaro. L’uomo di Dio aveva deciso di usarlo per nutrire i poveri e per il restauro della cappella; ma, staccato com'era da esso, non si lasciò sedurre dal miraggio apparente di poterne trarre del bene e non gli dispiacque affatto di doverlo perdere. Ritrovata la borsa del denaro che egli, gran disprezzatore dei beni terreni e assetato di quelli celesti, aveva scagliato in mezzo alla polvere di una finestra, si placò alquanto il furore del padre e, con quel ritrovamento, diminuì in parte anche la sua avidità. Di là lo condusse davanti al vescovo della città, perché facesse nelle sue mani la rinuncia di tutte le sue sostanze e la restituzione completa di quanto possedeva. Egli non solo non fece resistenza, ma pieno di gioia si affrettò a compiere con sollecitudine e gioia quanto gli era stato richiesto.

[344] Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita né indugia sotto nessun pretesto, anzi, senza dire o aspettare parole, si toglie tutte le vesti e le getta a terra, rendendole al padre. Non ritiene nemmeno le mutande, restando nudo di fronte a tutti. Il vescovo, compresa la sua intenzione e ammirandone il fervore e la risolutezza d’animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre con il suo stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto ispirato da Dio al suo servo, carico di un significato misterioso. Perciò da quel momento egli si costituì suo aiuto, protettore e conforto, abbracciandolo con sentimento di grande amore.

[345] Ed eccolo ormai lanciarsi nudo contro il nemico nudo e, deposte tutte le cose del mondo, ricordarsi solo della giustizia divina! Si addestra così al disprezzo della propria vita, abbandonando ogni cura di se stesso, per ottenere, nella sua povertà, la pace nel cammino infestato da insidie, e perché il solo velo della carne lo separi ormai dalla visione di Dio.

Assalito dai briganti è poi gettato nella neve, poi si applica a servire i lebbrosi

[346] Vestito di panni cenciosi colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, mentre se ne andava per una selva cantando le lodi di Dio in francese, a un tratto, alcuni manigoldi si precipitarono su di lui, domandandogli brutalmente chi fosse. L’uomo di Dio rispose impavido e sicuro: «Sono l’araldo del gran Re; che vi importa?». Quelli lo percossero e lo gettarono in una fossa piena di neve, dicendo: «Stattene lì, zotico araldo di Dio!». Ma egli, guardandosi attorno e scossasi di dosso la neve, appena i briganti si furono allontanati, balzò fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprese a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose.

[347] Finalmente arrivò a un monastero di monaci, dove rimase parecchi giorni vestito di un solo povero camiciotto a far da sguattero nella cucina, e per cibarsi era ridotto a desiderare almeno un po’ di brodo; ma non trovando pietà e non riuscendo a trovare neppure qualche vecchio abito, ripartì, non per sdegno, ma per necessità, e si portò nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico ricevette in dono una povera tonaca. Qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama dell’uomo di Dio, il priore di quel monastero, ripensando al trattamento usatogli, andò a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e i suoi confratelli.

[348] Poi, come vero amante dell’umiltà perfetta, il santo si recò tra i lebbrosi e viveva con essi, per servirli in tutto per amor di Dio. Lavava le parti putrefatte e tergeva anche il sangue corrotto delle piaghe ulcerose, come egli stesso dice nel suo Testamento: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. La vista dei lebbrosi infatti, come egli diceva, gli era prima così insopportabile che, al tempo della sua vita vana, non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e potenza dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre era ancora mondano, un giorno incontrò un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.

[349] Quand'era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava degli altri poveri, li soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di compassione per tutti gli afflitti. Una volta, dopo aver respinto malamente contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un povero che gli aveva chiesto l’elemosina, pentitosi, subito cominciò a dire fra sé che sarebbe stata una grande e vergognosa villania non esaudire le richieste fatte in nome di un Re così grande. Prese allora la risoluzione di non negare mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se stesso, mettendo in pratica, anche prima di predicarlo, il consiglio evangelico: Da’ a chi ti domanda qualcosa e non voltare le spalle a chi ti chiede un prestito.

Restaurata la chiesa di San Damiano. Forma di vita delle religiose che vi dimorano

[350] La prima opera cui Francesco pose mano, appena libero dal giogo del padre terreno, fu di riedificare un tempio a Dio. Non pensava di costruirne uno nuovo, ma restaurò una chiesa antica e malridotta; non ne scalzò le fondamenta, ma edificò su di esse, lasciandone così, senza saperlo, il primato a Cristo. Nessuno infatti potrebbe creare un altro fondamento all'infuori di quello che già è stato posto: Gesù Cristo. Tornato perciò nel luogo in cui, come si è detto, era stata costruita anticamente la chiesa di San Damiano, con la grazia dell’Altissimo in poco tempo la riparò con ogni diligenza.

[351] È questo il luogo beato e santo nel quale ebbe felice origine, per opera di Francesco stesso, la gloriosa religione e l’Ordine nobilissimo delle «povere signore» e sante vergini, a quasi sei anni dalla sua conversione. È là che madonna Chiara, pure nativa di Assisi, pietra preziosissima e fortissima, divenne quella basilare per tutte le altre pietre sovrappostevi. Questa infatti, conquistata a Dio dai moniti incoraggianti del santo, dopo l’inizio dell’Ordine dei frati minori, divenne causa di progresso spirituale ed esempio per innumerevoli anime. Nobile di nascita, più nobile per grazia; vergine nel corpo, purissima di spirito; giovane di età, matura per saggezza; costante nel proposito, ardente di entusiasmo nell'amore a Dio; piena di sapienza e di singolare umiltà; Chiara di nome, più chiara per vita, chiarissima per virtù.

[352] Su di lei sorse il nobile edificio di preziosissime perle, la cui lode non può essere fatta da uomini, ma solo da Dio, perché non basterebbero il povero pensiero e il linguaggio umano a concepirla ed esprimerla.
Infatti domina tra loro, sopra ogni altra cosa, la virtù di una continua e mutua carità, che unisce così profondamente le loro volontà che, perfino tra quaranta o cinquanta persone, come sono in qualche luogo, l’identità del volere e del non volere fa di tante un’anima sola.
In secondo luogo, brilla in ognuna la perla dell’umiltà, la quale, conservando i doni e i benefici celesti, fa sì che esse meritino il dono di tutte le altre virtù.
In terzo luogo, il giglio della verginità e della castità effonde su tutte loro il suo meraviglioso profumo, tanto che, dimentiche dei pensieri terreni, desiderano soltanto meditare le realtà celesti. Questa fragranza fa sorgere nei loro cuori tanto amore per il loro Sposo eterno che l’integrità del loro amore esclude ogni attaccamento alla vita di un tempo.
In quarto luogo, esse sono così fedeli al «titolo» della santissima povertà che a stento accondiscendono alle necessità più urgenti del vitto e delle vesti.
In quinto luogo, hanno ottenuto la grazia particolare della mortificazione e del silenzio a tal punto che non fanno praticamente alcuna fatica a dominare i sensi e a frenare la lingua. Alcune di loro si sono così disabituate a parlare che, quando ne sono costrette per necessità, dimenticano quasi il modo corretto di pronunciare le parole.
In sesto luogo, fra tutti questi pregi sono adorne di una pazienza così meravigliosa che nessuna tribolazione o molestia può spezzarne o mutarne l’animo.
In settimo luogo, infine, hanno meritato di elevarsi alle altezze della contemplazione, ed è in questa che esse imparano ciò che devono fare ed evitare, e sanno felicemente di stare nell'intimità con Dio, passando il giorno e la notte nelle lodi divine e nelle preghiere. L’eterno Iddio si degni di coronare con la sua santa grazia un inizio così santo con una meta ancora più santa.


[353] E bastino ora queste poche parole sulle vergini consacrate a Dio e devotissime ancelle di Cristo. La loro mirabile vita e il loro glorioso ordinamento ricevuto da papa Gregorio, allora vescovo di Ostia, richiedono un libro distinto e un tempo disponibile per scriverlo.

Smesso l'abito secolare ripara la chiesa di Santa Maria della Porziuncola; poi sentendo leggere un brano evangelico lascia ogni cosa e inventa l'abito dei suoi frati

[354] Smesso l’abito secolare e restaurata la predetta chiesa, il servo di Dio si portò in un altro luogo vicino alla città di Assisi e si mise a riparare una seconda chiesa in rovina, quasi distrutta, senza interrompere la buona opera iniziata prima di averla condotta completamente a termine.

[355] Poi si trasferì nella località chiamata la Porziuncola, dove c’era un’antica chiesa costruita in onore della Beata Vergine Madre di Dio, ormai abbandonata e non curata da nessuno. Vedendola il santo di Dio in quel misero stato, mosso a compassione, anche perché aveva grande devozione per la Madre di ogni bontà, vi stabilì la sua dimora e terminò di ripararla: era il terzo anno della sua conversione.
L’abito che egli portava in quel tempo era simile a quello degli eremiti, con una cintura di cuoio, un bastone in mano e sandali ai piedi.

[356] Ma un giorno, in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli apostoli di predicare, il santo, che era presente e ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la messa pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il regno di Dio e la penitenza, subito, esultante di divino fervore, esclamò: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!».
Si affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie immediatamente dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una cordicella. Da quell’istante confeziona per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tener lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi e peccati, e talmente povera e grossolana che il mondo non avrebbe mai potuto desiderarla.

[357] Con somma cura e devozione si impegnava a compiere gli altri insegnamenti uditi. Egli infatti non era stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando a un’encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di eseguirlo alla lettera.

Francesco predica il Vangelo e annuncia la pace. Conversione dei primi sei frati

[358] Da allora, con grande fervore ed esultanza, egli cominciò a predicare a tutti la penitenza, edificando i suoi uditori con la semplicità della sua parola e la magnificenza del suo cuore. La sua parola era come fuoco bruciante, penetrava nell'intimo dei cuori, riempiendo tutti di ammirazione. Sembrava totalmente diverso da come era prima: tutto intento al cielo, disdegnava di guardare la terra. E, cosa davvero mirabile, iniziò la sua predicazione proprio dove, fanciullo, aveva imparato a leggere, e dove poi ebbe la prima gloriosa sepoltura, così che un felice inizio fu coronato da una fine ancor più lieta. Insegnò dove aveva imparato e terminò felicemente dove aveva incominciato.

[359] In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo radunato, augurava la pace dicendo: «Il Signore vi dia la pace!». Questa pace egli annunciava sempre sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In questo modo molti che odiavano insieme la pace e la propria salvezza, con l’aiuto del Signore abbracciavano la pace con tutto il cuore, diventando essi stessi figli di questa pace e desiderosi della salvezza eterna.

[360] Il primo tra quelli che seguirono l’uomo di Dio fu un abitante di Assisi, devoto e semplice di spirito. Dopo di lui frate Bernardo, raccogliendo questo messaggio di pace, corse celermente al seguito del santo di Dio per guadagnarsi il regno dei cieli. Egli, che aveva già più volte ospitato il beato padre nella sua casa e ne aveva osservato e sperimentato la vita e i costumi, rimanendo attratto dall'ardore della sua santità, suscitò in sé un religioso timore e decise di abbracciare la via della salvezza. Lo vedeva passare le notti in preghiera, dormire pochissimo e lodare il Signore e la gloriosa Vergine Madre sua e, pieno di ammirazione, pensava: «Veramente quest’uomo è un uomo di Dio!». Si affrettò perciò a vendere tutti i suoi beni, distribuendo il ricavato ai poveri, non ai parenti, e, trattenendo per sé solo il titolo di una perfezione maggiore, mise in pratica il consiglio evangelico: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi! Fatto questo, vestì l’abito di san Francesco condividendo la sua vita, e stette sempre con lui fino a quando, cresciuti di numero, con l’obbedienza del pio padre, fu inviato in altre regioni.

[361] La sua conversione a Dio servì di modello per tutti quelli che vennero dopo di lui: dovevano vendere i loro beni e distribuire il ricavato ai poveri. La venuta e la conversione di un uomo così pio riempirono Francesco di una gioia straordinaria: gli parve che il Signore avesse cura di lui, donandogli un compagno di cui aveva bisogno e un amico fedele.

[362] Presto venne alla sua sequela un altro cittadino di Assisi, degno di ogni elogio per la sua vita, che chiuse poco dopo ancor più santamente di come l’aveva incominciata.
Non molto tempo dopo, sopraggiunse frate Egidio, uomo semplice, retto e timorato di Dio, che, in tutta la sua lunga vita, praticò la santità, la giustizia, la pietà, lasciandoci esempi di obbedienza perfetta: lavoro manuale, amore al raccoglimento e alla contemplazione religiosa.
Dopo di lui arrivò un altro, e finalmente diventarono sette di numero con frate Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con la pietra della purificazione, così che parlava di Dio con infinita dolcezza. Comprendeva e interpretava anche la Sacra Scrittura, senza aver studiato nelle scuole, diventando simile a coloro che i principi dei giudei disprezzavano come ignoranti e illetterati.

Spirito di profezia e predizioni di San Francesco

[363] Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno più della consolazione e grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e sollecitudine i suoi nuovi figli, insegnando loro, con princìpi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povertà e della beata semplicità.
Ora un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderando che il Signore gli indicasse che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati, si ritirò, come spessissimo faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: «O Dio, sii propizio a me peccatore!». A poco a poco si sentì inondare nell'intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò allora come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell'animo per timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi fu rapito fuori di sé e, assorto in una illuminazione divina, che dilatava lo spazio della sua mente, poté contemplare chiaramente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza si dileguarono, egli aveva uno spirito nuovo e pareva ormai mutato in un altro uomo.

[364] E così, ritornato pieno di gioia, disse ai suoi frati: «Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore; non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; certo, sarebbe più opportuno tacere, se la carità non mi costringesse a parlare. Ho visto una grande quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l’abito della santa vita comune e secondo la Regola della beata Religione. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue». Ascoltando queste parole, un santo gaudio si impadronì dei frati, sia per la grazia che Iddio concedeva al suo santo, sia perché, assetati come erano del bene del prossimo, desideravano che aumentassero per trovarvi insieme salvezza.

[365] E il santo riprese il suo discorso: «Per ringraziare con fedeltà e devozione il Signore Dio nostro per tutti i suoi doni, o fratelli, e perché conosciate come dobbiamo vivere ora e in seguito, ascoltate la verità sugli avvenimenti futuri. All'inizio della vita comune troveremo frutti dolci e deliziosi a mangiarsi, poi ne avremo altri meno gustosi; infine ne raccoglieremo di quelli pieni di amarezza, di cui non potremo cibarci, perché, quantunque siano estremamente belli e profumati, a motivo della loro asprezza nessuno potrà assaporarli. Effettivamente, come vi dissi, il Signore ci farà crescere fino a diventare un popolo assai numeroso; poi avverrà come di un pescatore che, gettando le reti nel mare o in qualche lago, prende grande quantità di pesci, ma dopo averli messi tutti nella sua navicella e non potendoli portare per la loro quantità, sceglie i migliori e i più grossi da riporre nei vasi e portarli via, e abbandona gli altri».
Di quanta verità e chiarezza rifulgano queste predizioni del santo è manifesto a chiunque le consideri in spirito di verità. Ecco come lo spirito di profezia riposava su san Francesco!

Francesco manda i frati a due a due nel mondo; poco tempo dopo si ritrovano insieme

[366] Nello stesso tempo entrò nella comunità religiosa un altro uomo pieno di bontà, così il loro numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno, e disse loro: «Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno».

[367] Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano supplici davanti a san Francesco, che abbracciandoli con tenerezza e devozione diceva ad ognuno: «Riponi la tua fiducia nel Signore ed egli avrà cura di te». Era la frase che ripeteva ogni volta che mandava qualche frate a eseguire l’obbedienza.

[368] Allora frate Bernardo con frate Egidio si incamminò verso il santuario di San Giacomo; san Francesco invece con un altro compagno scelse un’altra località; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre due direzioni.

[369] Ma passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d’Israele, affinché si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. E così avvenne che in poco tempo, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritrovarono insieme e resero grazie a Dio. In questo loro ritrovarsi manifestano la gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero.
Raccontano poi i benefici ricevuti dal misericordioso Signore e chiedono e ottengono umilmente la correzione e la penitenza dal padre santo per le eventuali colpe di negligenza o di ingratitudine.

[370] Così, infatti, solevano fare sempre quando si recavano da lui; non gli nascondevano neppure il minimo pensiero e i moti involontari dell’anima, e dopo aver compiuto tutto ciò che era stato loro comandato, si ritenevano ancora servi inutili. E veramente lo spirito di purezza riempiva a tal punto quel primo gruppo di discepoli del beato Francesco che, sapendo compiere opere giuste, sante e utili, non sapeva mai trarne un vano compiacimento. Allora il beato padre, accogliendo i suoi figli con grande carità, cominciò a manifestare loro i suoi propositi e ciò che il Signore gli aveva rivelato.

[371] Durante questo tempo altri quattro uomini degni e virtuosi si aggregarono a loro e si fecero discepoli del santo di Dio. Perciò se ne fece un gran parlare tra il popolo e la fama dell’uomo di Dio incominciò a diffondersi sempre più.
E veramente in quel tempo Francesco e i suoi compagni provavano un’immensa allegrezza e una gioia singolare quando qualche fedele, chiunque e di qualunque condizione fosse – ricco, povero, nobile, popolano, spregevole, onorato, prudente, semplice, chierico, indotto, laico –, guidato dallo spirito di Dio, veniva a prender l’abito della loro santa Religione. Riscuotevano tutti molta ammirazione negli uomini del mondo, e l’esempio della loro umiltà era per essi una provocazione a vivere meglio e a far penitenza dei propri peccati.
Né l’umiltà della condizione, né i disagi della povertà potevano impedire che fossero incorporati nella costruzione di Dio quelli che egli voleva inserirvi, poiché Dio trova la sua compiacenza nello stare con i semplici e con quelli che il mondo disprezza.

Quando ebbe undici frati, scrisse la prima regola, approvata da Innocenzo III. La visione dell'albero

[372] Vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci, il beato Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una norma di vita o Regola, composta soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui perfezione continuamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre cose indispensabili per una santa vita in comune.

[373] Poi, con tutti i suddetti frati, si recò a Roma, desiderando grandemente che il signor papa Innocenzo III confermasse quanto aveva scritto.
In quel tempo si trovava a Roma il venerando vescovo di Assisi, Guido, che aveva particolare affetto e stima per Francesco e per tutti i suoi frati. Quando li vide, non sapendo il motivo della loro venuta, si turbò molto, perché temeva che volessero lasciare la loro patria, nella quale il Signore per mezzo di quei suoi servi operava già grandissimo bene. Era infatti profondamente lieto di avere nella propria diocesi tanti uomini di quel genere, perché dalla loro vita santa si attendeva grandi frutti. Come ebbe però udito il motivo del viaggio e il loro proposito, si rallegrò assai nel Signore e si offrì di consigliarli e aiutarli.

[374] San Francesco si presentò anche al vescovo di Sabina, Giovanni di San Paolo, che tra i principi e i prelati della Curia romana aveva fama di disprezzare le cose terrene e amare le celesti. Egli lo accolse benevolmente e con carità, lodando moltissimo il suo disegno.
Nondimeno, da uomo prudente e riflessivo, lo interrogava su molti punti e cercava di convincerlo a scegliere la vita monastica o l’eremitica. Ma san Francesco ricusava con quanta più umiltà poteva quegli argomenti, non perché li disprezzasse, ma perché si sentiva trasportato da più alto desiderio, seguendo con amore un altro ideale. Il vescovo ammirava il suo zelo, tuttavia, temendo che non potesse perseverare in un ideale così alto, gli additava vie più piane. Infine, vinto dalla sua costanza, accondiscese alle sue preghiere e si impegnò a promuovere la causa di lui davanti al papa.

[375] Era allora preposto alla Chiesa di Dio il signor papa Innocenzo III, uomo che si era coperto di gloria, dotto, famoso per eloquenza, ardente di zelo per la giustizia in tutto ciò che lo richiedesse il culto della fede cristiana. Questi, conosciuto il desiderio di quegli uomini di Dio, dopo matura riflessione diede il suo assenso alla loro richiesta, e lo completò dandogli effetto; li incoraggiò con molti consigli e li benedisse, dicendo: «Andate con il Signore, fratelli, e come egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il Signore onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete con gioia a dirmelo, e io vi concederò altri favori e vi affiderò con più sicurezza incarichi più importanti».

[376] Veramente il Signore era con san Francesco ovunque andasse, allietandolo con rivelazioni e animandolo con i suoi benefici. Una notte, mentre era assopito, ebbe questa visione: sul ciglio della strada che stava percorrendo c’era un albero maestoso, robusto e bello, assai grosso e molto alto. Mentre si avvicinava e se ne stava di sotto per osservarne la bellezza e l’altezza, egli stesso all'improvviso crebbe tanto da poterne toccare la cima. Lo prese e con una sola mano lo piegò agevolmente fino a terra. Così era avvenuto veramente: papa Innocenzo, che è come l’albero più alto e sublime del mondo, si era inchinato così benevolmente alla sua richiesta e alla sua volontà.

Ritorno del Santo da Roma nella valle spoletana e sua sosta nel viaggio

[377] Francesco con i compagni, pieno d’esultanza per il dono di un così grande padre e signore, ringraziò Iddio onnipotente, che innalza gli umili e conforta gli afflitti; fece subito visita alla basilica del beato Pietro e, finita la sua preghiera, lasciata la città, riprese con i fratelli il cammino verso la valle di Spoleto. Cammin facendo, andavano ripensando agli innumerevoli e grandi benefici ricevuti da Dio clementissimo; con quale benevolenza erano stati accolti dal vicario di Cristo, signore e padre di tutta la cristianità; come ricercare insieme il modo migliore di adempiere i suoi consigli e comandi, come osservare e custodire con sincerità e fedeltà la Regola che avevano accettato; come dovevano camminare per la via della santità davanti all’Altissimo; infine come la loro vita e i loro costumi, mediante la crescita nelle sante virtù, avrebbero potuto essere di esempio al prossimo.

[378] I nuovi discepoli di Cristo avevano già a lungo parlato di questi santi argomenti in questa scuola di umiltà, e il giorno volgeva al tramonto. Intanto erano giunti in un luogo deserto, molto stanchi e affamati, e non potevano trovare nulla da mangiare, poiché quel luogo era molto lontano dall'abitato. Ma all'improvviso, per divina provvidenza, venne loro incontro un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò. Essi, non conoscendolo, rimasero meravigliati e si esortarono devotamente l’un l’altro a confidare sempre di più nella divina misericordia. Dopo essersi ristorati con quel cibo, proseguirono fino a un luogo vicino a Orte, e qui si fermarono per circa quindici giorni. Alcuni di loro si recavano in città a cercare il vitto necessario e riportavano agli altri quel poco che erano riusciti a racimolare chiedendo l’elemosina di porta in porta, e lo mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore. Se avanzava qualcosa, quando non potevano donarla ai poveri, la riponevano in un sepolcro, che un tempo aveva custodito corpi di morti, per cibarsene successivamente. Quel luogo era deserto e non vi passava quasi nessuno.

[379] Erano felicissimi di non vedere e di non possedere alcuna cosa vana o dilettevole ai sensi. Cominciarono così a stringere un patto d’alleanza con la santa povertà e, nella grande consolazione di essere privi di tutto ciò che il mondo ama, si proponevano di vivere poveri per sempre e ovunque, come in quel momento. E poiché, liberi da ogni preoccupazione terrena, trovavano piacere solo nelle consolazioni divine, deliberano irrevocabilmente di non sciogliersi mai, per nessuna tribolazione o tentazione, dall'abbraccio della povertà.

[380] Ma, sebbene non ci fosse per loro pericolo di sorta nella amenità di quel luogo, che pure può affievolire il vigore dello spirito, tuttavia, perché una lunga dimora non creasse una parvenza di possesso, lasciarono quella località e, seguendo il beato padre, che era pieno di felicità, entrarono nella valle Spoletana.

[381] Discorrevano tra di loro, veri cultori della giustizia, se dovevano svolgere la loro vita tra gli uomini o ritirarsi in luoghi solitari. Ma san Francesco che, non fidandosi mai di se stesso, premetteva a ogni decisione la preghiera a Dio, scelse di vivere non soltanto per sé, ma per Colui che è morto per tutti, ben consapevole di essere stato inviato per guadagnare a Dio le anime, che il diavolo tentava di rapire.

Fama del beato Francesco. Conversione di molti a Dio. Come l'ordine fu chiamato «dei frati minori». Come Francesco formava coloro che vi entravano

[382] Il valorosissimo soldato di Cristo, Francesco, passava per città e villaggi annunciando il regno dei cieli, predicando la pace, insegnando la via della salvezza e la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito. Poiché ne aveva ricevuto l’autorizzazione dalla Sede apostolica, operava molto fiducioso e sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe ingannatrici. Non sapeva blandire i vizi di alcuno, ma li sferzava con fermezza, né approvava la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva indotto prima di tutto se stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d’esser trovato incoerente, predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi, illustri per fama e dignità, accoglievano ammirati i suoi discorsi, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore.

[383] Accorrevano uomini e donne, si affrettavano chierici e religiosi per vedere e sentire il santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata dal cielo in terra a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso quasi tutta la regione, così che a mala pena c’era chi sapesse scorgere dove rivolgersi. Infatti li aveva quasi tutti sopraffatti una così profonda dimenticanza del Signore e una tale pigra indifferenza dei suoi comandamenti, che appena erano capaci di smuoversi un poco dai loro vizi antichi e inveterati.

[384] Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l’aspetto dell’intera regione si cambiò e, perdendo l’indegnità di un tempo, divenne dovunque più ridente. Era finita l’aridità di prima, e nel campo già squallido cresceva rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta cominciava a dare il germe del buono odore di Dio, a coprirsi di fiori profumati e a portare a maturazione frutti soavi di bontà e di bene. Ovunque risonavano azioni di grazie e inni di lode, così che non pochi, lasciate le preoccupazioni mondane, seguendo l’esempio e l’insegnamento del beato padre Francesco, impararono a conoscere se stessi e ad amare e rispettare il loro Creatore.
Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui sotto la sua guida e il suo insegnamento. E a tutti il santo di Dio, come ricchissima sorgente di grazia celeste, irrigandoli con le acque dei carismi, faceva sbocciare i fiori delle virtù nel giardino del loro cuore. Singolare maestro di vita evangelica, veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti.

[385] A tutti dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione.

[386] È ora il momento di concentrare l’attenzione soprattutto sull'Ordine che Francesco suscitò e vivificò con il suo amore e la sua professione. Proprio lui infatti fondò l’Ordine dei frati minori, ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: «Siano minori», appena l’ebbe udite esclamò: «Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori». E realmente erano «minori», perché «sottomessi a tutti», e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù.

[387] E davvero su questa solida base sorse la nobile costruzione della carità. E come pietre vive, raccolte, per così dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio dello Spirito Santo. Com’era ardente l’amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l’amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui; modesto il sorriso, lieto l’aspetto, l’occhio semplice, l’animo umile, il parlare cortese, gentili le risposte, identico l’ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio.
Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, dal momento che riversavano tutto l’affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l’impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; era invece penosa per tutti la separazione, amaro il distacco, doloroso il momento dell’addio. Questi docilissimi soldati non osavano anteporre nulla ai comandi della santa obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo e si precipitavano ad eseguire, senza discutere e rimosso ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata.

[388] Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non erano attaccati a nessuna cosa, e perciò niente temevano di perdere. Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori: essa non aveva alcuna eleganza, ma appariva spregevole e povera, così che per il mondo sembravano con quella veste dei veri crocifissi. Cinti ai fianchi di una corda, portavano rozzi calzoni. Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere niente di più. Erano perciò sempre sereni, non trattenuti da alcun timore, né distratti da alcuna preoccupazione, attendevano senza ansietà il futuro; trovandosi sovente in grande difficoltà, non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte; spesso, infatti, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o se ne stavano miseramente riparati in qualche grotta o spelonca.

[389] Di giorno, quelli che ne erano capaci, si impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi, o in altri luoghi dignitosi, servendo tutti con umiltà e devozione. Non volevano esercitare nessun lavoro che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si occupavano di cose sante e giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a tutti coloro con i quali si trovavano.

[390] Amavano talmente la pazienza che preferivano stare dove c’era da soffrire persecuzioni materiali piuttosto che dove, essendo nota e anche lodata la loro santità, potevano godere i favori del mondo. Spesso ingiuriati, vilipesi, spogliati, percossi, legati, incarcerati, senza cercare alcuna difesa, sopportavano tutto così virilmente che dalle loro labbra non usciva se non un cantico di lode e di ringraziamento.

[391] Non cessavano quasi mai di pregare e lodare il Signore; esaminando di continuo ogni loro azione, ringraziavano Dio per il bene fatto e piangevano amaramente per le colpe e negligenze commesse. Quando poi nella preghiera non avvertivano l’usuale dolcezza, si credevano abbandonati da Dio. E per non lasciarsi sorprendere dal sonno durante la loro preghiera, adoperavano diversi espedienti: alcuni si aggrappavano a delle funi, altri si servivano di strumenti di penitenza di ferro, altri di legno. Se talvolta pareva loro di essere stati meno sobri del solito, per aver preso cibo e bevanda a sufficienza, oppure di aver oltrepassato sia pure dir poco la misura della stretta necessità per la stanchezza del viaggio, si punivano aspramente con un’astinenza di parecchi giorni. Si studiavano infine di domare gli istinti della carne con tale rigore da non esitare spesso a denudarsi sulla neve ghiacciata e a martoriare tutto il corpo tra i rovi acuminati, rigandolo di sangue.

[392] Avevano tanto disprezzo per i beni terreni che a stento sopportavano di accettare le cose più necessarie per vivere e, disabituati ormai da lungo tempo a qualsiasi comodità corporale, affrontavano senza paura alcuna le più dure privazioni.

[393] In ogni cosa avevano di mira con tutti la pace e la mitezza; e attendevano solo a opere oneste e di edificazione, evitando con grande cura ogni motivo di mal esempio. Parlavano, infatti, solamente quando era necessario, né mai dicevano parole scorrette o vane. In tutta la loro vita e attività non si poteva trovare nulla che non fosse onesto e retto. I loro gesti erano composti, l’incedere modesto, e mortificavano talmente i propri sensi che non sopportavano di vedere e udire se non quello che fosse richiesto dalle loro intenzioni: rivolto a terra lo sguardo, avevano la mente fissa al cielo. Gelosia, malizia, rancore, diverbi, sospetto e amarezza non trovavano posto in loro, ma soltanto grande concordia, costante serenità, azioni di ringraziamento e di lode.
Ecco i principi con i quali il pio padre educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con le opere e nella verità.

Dimora a Rivotorto e osservanza della povertà

[394] Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto, dove vi era un tugurio abbandonato, in cui quegli arditi dispregiatori delle grandi e belle case vivevano e trovavano riparo nelle bufere, perché, al dire di un santo, c’è maggior speranza di salire più presto in cielo da un tugurio che da un palazzo. Se ne stavano là con il beato padre i figli e fratelli, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di sole rape che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. Quel luogo poi era tanto angusto che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra, tuttavia «non si udiva mormorazione né lamento; con la tranquillità nel cuore ognuno conservava pieno di gioia la pazienza»

[395] San Francesco ogni giorno, anzi di continuo, vigilava diligentemente su se stesso e sopra i suoi, non tollerando che restasse in loro nulla di mondano e scacciando da loro qualsiasi negligenza. Con se stesso era sempre rigoroso e sempre vigilante e se, come è naturale, lo assaliva qualche tentazione della carne, d’inverno si immergeva in una fossa piena di ghiaccio, finché il pericolo spirituale fosse scomparso. Gli altri, naturalmente, imitavano fervidamente questo suo mirabile esempio di penitenza.

[396] Insegnava loro non solo a combattere i vizi e a mortificare gli stimoli della carne, ma anche a conservare puri i sensi esterni, per i quali la morte entra nell'anima.
Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone, che si recava a ricevere «la corona dell’impero terreno», il santissimo padre, che con gli altri si trovava nel predetto tugurio, situato vicino alla via di transito, non volle neppure uscire fuori per vederlo, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che ben poco ancora sarebbe durata la sua gloria. Siccome il glorioso santo aveva la sua dimora abituale nell’intimo del cuore, dove preparava una degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non poteva mai distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento. Si sentiva investito dall’autorità apostolica e perciò ricusava fermamente di adulare re e principi.

[397] Cercava costantemente la santa semplicità, né lasciava che l’angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scriveva perciò i nomi dei frati sui travicelli del tugurio, perché ognuno potesse riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non turbasse il raccoglimento dell’animo.

[398] Mentre erano là, capitò un giorno che vi giungesse un tale con il suo asinello e, temendo di essere mandato via, spinse l’asino dentro, incitandolo con queste parole: «Entra, che faremo un buon servizio a questo luogo!». San Francesco nell’udire quelle parole si rattristò, indovinando il pensiero di quell’uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e ingrandire quel luogo unendo casa a casa. E subito san Francesco, abbandonato il tugurio per le parole del campagnolo, si recò in un altro posto non distante, chiamato Porziuncola, dove, come si disse, molto tempo prima egli stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria. Non voleva possedere nulla di proprio, per poter possedere più pienamente tutto nel Signore.

Il beato Francesco insegna ai frati a pregare. La loro obbedienza e purezza

[399] In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l’ufficio liturgico. Ed egli rispose: «Quando pregate, dite: Padre nostro! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo». E questo gli stessi frati, discepoli del pio maestro, si impegnavano a osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non solo i fraterni consigli e i paterni comandi del padre Francesco, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli.

[400] Infatti il beato padre insegnava loro che la vera obbedienza non doveva essere solo espressa a parole, ma pensata, non solo comandata, ma desiderata. E cioé: «Se un frate suddito, prima ancora di udire le parole del superiore, ne indovina l’intenzione, subito deve disporsi all’obbedienza e compiere ciò che al minimo segno capirà che egli desideri»

[401] Fedeli all'esortazione di Francesco, essi, ogni volta che passavano vicino a una chiesa oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni verso terra con il corpo e con lo spirito, adoravano l’Onnipotente, dicendo: «Ti adoriamo, o Cristo, qui e in tutte le chiese»: così li aveva ammaestrati il padre santo. E, cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, su una parete, tra gli alberi, nelle siepi lungo la via.

[402] Erano così pieni di santa semplicità, di innocenza di vita e di purezza di cuore da ignorare completamente ogni doppiezza. Come unica era la loro fede, così uno lo spirito, la stessa volontà e la medesima carità, la continua coesione degli intenti e la concordia dei costumi, la pratica delle virtù, l’armonia dei pensieri e la pietà delle azioni.

[403] Infatti, si confessavano spesso a un sacerdote secolare che si era meritato il disprezzo di tutti per le sue enormi colpe, ma essi, che da molti avevano saputo della sua depravata condotta, non vollero credervi e continuarono a confessargli i propri peccati, prestandogli la debita riverenza. Anzi, avvenne un giorno che quel sacerdote, o forse un altro, dicesse a uno di loro: «Bada, fratello, di non essere ipocrita»; quel frate subito, a quelle parole, si reputo` davvero ipocrita e, per il profondo dolore che ne sentiva, non sapeva più darsi pace, giorno e notte. Agli altri che gli chiedevano il perché di tanto insolito lamento e mestizia, rispondeva: «Un sacerdote mi ha detto questo, e io ne sono così afflitto da non poter pensare ad altro!». Lo esortavano, per consolarlo, a non prestar fede a quelle parole; ma egli replicava: «Che dite mai, fratelli? È un sacerdote che mi ha detto così: può forse dire il falso un sacerdote? E dal momento che un sacerdote non può mentire, bisogna credere che quanto mi ha detto è vero». E perseverò a lungo in tale semplicità, finché lo stesso beatissimo padre lo assicurò, spiegandogli le parole del sacerdote e scusandone con sapiente intuito l’intenzione. Non c’era turbamento, per grande che fosse, nell’animo dei frati che alla sua parola di fuoco non svanisse e tornasse il sereno!

Il carro di fuoco e come il beato Francesco, anche assente, vedeva i suoi frati

[404] Poiché camminavano con semplicità e confidenza dinanzi a Dio e agli uomini, i frati in quel tempo meritarono di essere allietati da una divina rivelazione. Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il Pater noster su una melodia spirituale non solo nei momenti prescritti, ma a ogni ora, perché non erano preoccupati dalle cure materiali, quando una notte il beatissimo padre Francesco si assentò da essi con il corpo.

[405] Ed ecco, verso mezzanotte, mentre alcuni dormivano e altri pregavano fervorosamente in silenzio, entrare per la porticina della casa un carro di fuoco luminosissimo che fece due o tre giri in qua e in là per la stanza; su di esso poggiava un grande globo, che a guisa di sole rischiarò le tenebre notturne. Rimasero stupiti quelli che erano svegli, si destarono atterriti coloro che dormivano, sentendosi tutti quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel fenomeno; ma ecco, per la virtù e la grazia di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella coscienza dell’altro. Allora compresero e furono certi che si trattava dell’anima del beato padre, raggiante di così grande splendore, che essa si era meritato da Dio quel dono straordinario di benedizione e di grazia, soprattutto a motivo della sua purezza e per la sua sollecitudine affettuosa verso i suoi figli.

[406] Spessissimo avevano avuto chiari indizi, e ne avevano fatto esperienza, che il loro beatissimo padre poteva leggere i segreti della loro anima. Quante volte infatti, senza che alcuno gliene riferisse, ma per rivelazione dello Spirito Santo, conobbe le vicende dei fratelli lontani, penetrò i segreti dei cuori e lesse nelle coscienze! Quanti avvertì in sogno di quello che dovevano fare o evitare! A quanti, che sembravano retti esteriormente, predisse il pericolo della perdizione, mentre ad altri, conoscendo il termine delle loro opere malvagie, predisse la grazia futura della salvezza! Qualcuno anzi, particolarmente puro e semplice, ebbe il dono e il conforto speciale della sua apparizione in maniera dagli altri non provata.

[407] Tra tanti fatti del genere, eccone uno appreso da testimoni degni di fede. Frate Giovanni da Firenze, eletto da san Francesco ministro dei minori in Provenza, aveva raccolto i suoi frati a capitolo. Il Signore Iddio gli concesse, nella sua bontà, la grazia di parlare con tanto zelo da conquistare tutti a un ascolto benevolo e attento. Era presente tra loro un frate sacerdote, di nome Monaldo, illustre per fama e più per la vita virtuosa fondata sull’umiltà, corroborata dalla preghiera frequente e difesa dallo scudo della pazienza; e anche frate Antonio, al quale Iddio diede l’intelligenza delle sacre Scritture e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele. Ora, mentre Antonio predicava ai frati con fervore e devozione grandissima sul tema: «Gesù Nazareno, re dei giudei», il detto frate Monaldo, guardando verso la porta della sala dove erano tutti radunati, vide il beato Francesco sollevato in alto, con le braccia distese a forma di croce, in atto di benedire i fratelli. E tutti i presenti sembravano essi stessi investiti dalla consolazione dello Spirito Santo, e ripieni di gaudio salutare trovarono assai credibile il racconto dell’apparizione e della presenza del gloriosissimo padre.

[408] Quanto alla conoscenza che egli aveva dei segreti dei cuori, tra le tante prove che molti conobbero, ne riferirò una indubitabile sotto ogni aspetto. Un frate di nome Riccerio, nobile di famiglia e più ancora di costumi, vero amante di Dio e disprezzatore di se stesso, aveva il pio desiderio e la fortissima volontà di assicurarsi la piena benevolenza del padre Francesco; ma d’altra parte temeva che il santo lo detestasse segretamente privandolo così della grazia del suo affetto. Era convinto, quel frate assai timorato, che chiunque fosse amato di particolare amore da san Francesco sarebbe stato anche degno di meritarsi la grazia divina, e che viceversa sarebbe incorso nella condanna del Giudice divino se non fosse stato accolto da lui con benevolenza e amicizia. Questo egli andava rimuginando di continuo nella sua mente, di questo spesso egli parlava in silenzio con se stesso, non rivelava a nessuno il suo arcano pensiero.
Un giorno però, mentre il beato padre pregava nella piccola cella e quel frate, angosciato dal solito dubbio, stava avvicinandosi a quel «luogo», il santo di Dio ne avvertì l’arrivo e il turbamento che aveva nell’animo. Subito lo fece chiamare e gli disse: «Non lasciarti turbare da nessuna tentazione, figliolo; nessun pensiero ti tormenti, perché tu mi sei carissimo e tra quelli a me più cari; e sappi che tu sei ben degno del mio affetto e della mia amicizia. Vieni da me liberamente quando vuoi e parlami come a un amico». Restò attonito il frate e, da allora in poi, pieno di più grande venerazione, quanto più vedeva crescere l’amore di san Francesco per lui, tanto più dilatava la sua fiducia nella divina misericordia.

[409] Quanto penosa dev’essere, padre santo, la tua assenza per quelli che disperano di trovare sulla terra un altro simile a te! Aiuta con la tua intercessione, te ne preghiamo, coloro che vedi avvolti nella micidiale macchia del peccato, tu che, sebbene fossi già ripieno dello spirito di tutti i giusti, prevedendo l’avvenire e conoscendo le realtà presenti, malgrado ciò, per mettere in fuga ogni forma di ostentazione, mostravi sempre l’immagine della santa semplicità. Ma ritorniamo indietro, riprendendo l’ordine della narrazione.

La vigilanza sui suoi frati. Il disprezzo di se stesso. La vera umiltà

[410] Il beatissimo Francesco ritornò corporalmente tra i suoi frati, dai quali, come si disse, non si allontanava mai con lo spirito. Santamente curioso di conoscere l’animo dei suoi figli, sottoponeva a diligente esame la condotta di ognuno, non lasciando impunita nessuna colpa, se vi scopriva qualcosa, anche minima, di meno che retto. Badava prima ai difetti dell’animo, poi a quelli esterni, infine rimuoveva tutte le occasioni che di solito conducono al peccato.

[411] Custodiva con grande cura e sollecitudine la santa e signora povertà, e non tollerava di conservare in casa neppure un vasetto di cui si potesse fare a meno, temendo che vi si introducesse l’abitudine di confondere il necessario con il superfluo. Era solito dire che è impossibile sovvenire alla necessità senza servire al piacere. Raramente acconsentiva di cibarsi di vivande cotte, oppure, acconsentendo, o le cospargeva di cenere o le rendeva insipide con acqua fredda! Quante volte, mentre era pellegrino nel mondo a predicare il Vangelo, invitato a pranzo da grandi signori che lo veneravano con grande affetto, mangiava appena un po’ di carne in ossequio alla parola evangelica di Cristo, poi, fingendo di mangiare, faceva scivolare il resto nel grembo, pur portando la mano alla bocca perché nessuno si accorgesse di quello che faceva! Che dire poi del vino, se rifiutava persino di bere l’acqua a sufficienza quand’era assetato!

[412] Ovunque fosse ospitato di notte, non voleva pagliericci o coperte sul suo giaciglio, ma la nuda terra accoglieva le sue membra nude avvolte solo nella tonaca. Quando poi concedeva un po’ di sonno al suo corpo fragile, spesso dormiva seduto e non disteso, servendosi per guanciale di un legno o di una pietra. E quando lo prendeva il desiderio di mangiare qualche cosa, come suole accadere a tutti, a stento si concedeva poi di mangiarla.

[413] Accadde un giorno che, avendo mangiato un po’ di pollo, perche´ infermo, riacquistate alquanto le energie, si reco` ad Assisi. Giunto alla porta della città, pregò un frate che era con lui di legargli una fune attorno al collo e di trascinarlo per tutte le vie della città come un ladro, gridando: «Ecco, guardate questo ghiottone, che a vostra insaputa si è rimpinzato di carne di gallina!». Accorrevano molti a uno spettacolo così singolare, e tra lacrime e sospiri esclamavano: «Guai a noi miserabili che viviamo tutta la vita per la carne, nutrendo il cuore e il corpo di lussuria e di crapule!». E così tutti, compunti, erano guidati a miglior condotta da quell’esempio straordinario.

[414] E tante altre cose simili a queste egli compiva per disprezzare nel modo più perfetto possibile se stesso e attirare però gli altri verso un amore imperituro. Era divenuto come un vaso derelitto e, libero da ogni timore e sollecitudine per il corpo, lo esponeva con prontezza alle ingiurie per non essere costretto per suo amore a desiderare alcuna cosa materiale. Da vero spregiatore di sé, egli con parole e con fatti ammaestrava utilmente gli altri a disprezzarsi. Che fare? Era magnificato da tutti e tutti ne cantavano le lodi; solo lui si riteneva vilissimo e si disprezzava cordialmente.

[415] Spesso, quand’era da tutti esaltato, si sentiva ferito come da un acerbo dolore, per scacciare via l’onore degli uomini si faceva in compenso rimproverare da qualcuno. Chiamava qualche frate e gli diceva: «Ti obbligo per obbedienza di coprirmi di ingiurie senza alcun riguardo e di dir la verità contro la falsità di costoro che mi elogiano». E quando quel fratello, ci si immagini quanto volentieri, lo chiamava villano, mercenario, buono a nulla, egli sorridendo e approvando diceva: «Ti benedica il Signore, perché dici cose verissime che conviene ascolti il figlio di Pietro di Bernardone». Con queste parole intendeva rammentare l’umiltà delle sue origini.

[416] Per mostrarsi veramente degno di disprezzo e per dare agli altri esempio di una confessione sincera, se per caso commetteva qualche mancanza, non arrossiva a confessarla pubblicamente mentre predicava a tutto il popolo. Anzi, se gli capitava di pensar male di qualcuno, o gli sfuggiva qualche parola molto forte, subito manifestava con tutta umiltà il suo peccato a colui di cui aveva pensato male o che aveva rimproverato, chiedendogli perdono. Data la vigilanza che con ogni cura esercitava su di sé, la sua coscienza – testimone della sua piena innocenza – non gli permetteva di stare tranquillo finché non avesse sanato con rimedio, accarezzandola, la ferita dell’anima. Bramava far progressi in qualsiasi specie di virtù, ma non voleva essere notato, fuggendo in tutti i modi l’ammirazione per non cadere nella vanagloria. Miseri noi, che ti abbiamo perduto, padre santo, esemplare di ogni bene e di umiltà! Per giusta condanna ti abbiamo perduto, perché trascurammo di conoscerti quando ti avevamo tra noi!

Desideroso del martirio, Francesco prima cerca di andare missionario nella Spagna e poi in Siria. Per suo merito Dio moltiplica i viveri e scampa i naviganti dal naufragio

[417] Animato da ardente amore di Dio, il beatissimo padre Francesco desiderava sempre metter mano a grandi imprese e, percorrendo con cuore generoso la via dei comandamenti del Signore, anelava raggiungere la vetta della santità.

[418] Nel sesto anno dalla sua conversione, ardendo del desiderio del sacro martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli. Salì su una nave per quella regione, ma, per il soffiare dei venti contrari, si trovò con gli altri naviganti nelle parti della Schiavonia. Allora, deluso nel suo ardente desiderio, poco tempo dopo, poiché non vi era per quell’anno nessun’altra nave in partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sull’imbarcazione con il suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Provvidenza, un tale, sconosciuto a tutti, che consegnò a uno dell’equipaggio che era timorato di Dio delle vivande, dicendogli: «Prendi queste cose e dalle fedelmente a quei poveretti che sono nascosti nella nave, ogni volta che ne avranno bisogno». E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; rimasero solo quelli del poverello Francesco; i quali si moltiplicarono talmente, con la grazia e la potenza operativa di Dio, che, essendovi ancora molti giorni di navigazione, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona. Allora i naviganti compresero che erano stati scampati dai pericoli del mare per merito del servo di Dio Francesco, e ringraziarono Iddio onnipotente che sempre si mostra mirabile e misericordioso nei suoi servi.

[419] Lasciato il mare, il servo dell’Altissimo, Francesco, si mise a percorrere la terra, e solcandola con il vomere della parola di Dio vi seminava il seme di vita che produce frutti benedetti. E subito molti uomini, buoni e idonei, chierici e laici, fuggendo il mondo e sconfiggendo virilmente le insidie del demonio, toccati dalla volontà e grazia divina, lo seguirono nella vita e nel programma.

[420] Ma sebbene, a similitudine dell’albero evangelico, producesse abbondanti e squisiti frutti, tuttavia non si raffreddava in lui il sublime proposito e l’anelito ardente del martirio. E così, poco tempo dopo, intraprese un viaggio verso il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la buona novella. Era talmente vivo il suo desiderio, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio, affrettandosi nell’ebbrezza dello spirito a eseguire il suo proposito. Ma il buon Dio, che si compiacque per la sua sola benignità di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, affrontandolo direttamente mentre era giunto in Spagna per non farlo proseguire più oltre, sopraggiunta una malattia, lo richiamò dal viaggio che aveva intrapreso.

[421] Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobilissimo d’animo e assai discreto, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva. E davvero, poiché era dotato di squisito discernimento, teneva conto prudentemente della condizione di ciascuno.

[422] Ma non riusciva ancora a darsi pace finché non potesse attuare ancora più fervidamente il bruciante desiderio del suo animo. E nel tredicesimo anno dalla sua conversione partì per la Siria, e mentre si combattevano ogni giorno aspre e dure battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del sultano dei saraceni. Chi potrebbe descrivere con quale coraggio gli stava davanti, la fermezza con cui gli parlava, l’eloquenza e la decisione con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al sultano, i suoi sicari l’afferrarono, lo insultarono, lo sferzarono, ed egli non si atterrì: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall’animo ostile e da sentimenti di odio di molti, eccolo accolto dal sultano con grande onore! Questi lo circondava di favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava assai volentieri.

[423] Ma in tutte queste circostanze il Signore non compì il desiderio del santo, riservandogli il privilegio di una grazia singolare.

Francesco predica agli uccelli e tutte le creature gli obbediscono

[424] Mentre, come si è detto, il numero dei frati andava aumentando, padre Francesco percorreva la valle Spoletana. Giunto presso Bevagna, vide raccolti insieme moltissimi uccelli d’ogni specie, colombe, cornacchie e «monachine». Il beatissimo servo di Dio, Francesco, che era uomo pieno di ardente amore e nutriva grande pietà e tenero amore anche per le creature inferiori e irrazionali, corse da loro in fretta, lasciando sulla strada i compagni. Fattosi vicino, vedendo che lo attendevano, li salutò secondo la sua abitudine. Ma notando con grande stupore che non volevano volare via, come erano soliti fare, pieno di intensa gioia li esortò dolcemente a voler ascoltare la parola di Dio. E tra l’altro disse loro: «Fratelli miei uccelli, dovete lodare molto il vostro Creatore e amarlo sempre, perché vi diede piume per vestirvi, ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di spaziare nell’aria limpida: voi non seminate e non mietete, eppure egli vi soccorre e guida, dispensandovi da ogni preoccupazione». A queste parole, come raccontava lui stesso e i frati che erano stati presenti, gli uccelli manifestarono il loro gaudio secondo la propria natura, con segni vari, allungando il collo, spiegando le ali, aprendo il beccuccio e guardandolo. Egli poi andava e veniva liberamente in mezzo a loro, sfiorando le testine e i corpi con la sua tonaca. Infine li benedisse con il segno di croce dando loro licenza di riprendere il volo. Poi anch’egli assieme ai suoi compagni riprese il cammino, pieno di gioia e ringraziando il Signore, che è venerato da tutte le creature con sì devota confessione.

[425] Siccome poi era uomo semplice, non per natura ma per grazia divina, cominciò ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato prima di allora agli uccelli, dato che questi ascoltavano così devotamente la parola di Dio; e da quel giorno cominciò a invitare tutti i volatili, tutti gli animali, tutti i rettili e anche le creature inanimate a lodare e amare il Creatore, poiché ogni giorno, invocando il nome del Signore, si accorgeva per esperienza personale quanto gli fossero obbedienti.

[426] Infatti un giorno, recatosi ad Alviano a predicare, salito su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte rondini, che nidificavano in quel luogo, garrivano con grande strepito. Non riuscendo il beato Francesco a farsi sentire dal popolo per quel rumore, rivolto agli uccelli, disse: «Sorelle mie rondini, ora tocca a me a parlare, perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di Dio zitte e quiete, finché il discorso sia finito». Ed ecco subito tacquero, tra lo stupore di tutti, e non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti davanti a questo segno, presero a dire: «Veramente quest’uomo e` un santo e un amico dell’Altissimo!». E facevano a gara per toccargli le vesti con devozione, lodando e benedicendo Iddio. Era davvero cosa meravigliosa, poiché perfino le creature prive di ragione sapevano intendere l’affetto fraterno e il grande amore che Francesco nutriva per esse!

[427] Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un confratello un leprotto preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse: «Fratello leprotto, vieni da me; perché ti sei fatto catturare?». Subito la bestiola, lasciata libera dal frate, si rifugiò spontaneamente nel grembo del santo, come a un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un poco in quella posizione, il padre santo, accarezzandolo con affetto materno, lo lasciò andare perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo a terra più volte, rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare dai frati nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio, animale difficilmente addomesticabile, nell’isola del lago di Perugia.

[428] Altrettanto tenero affetto egli portava ai pesci che, appena gli era possibile, rimetteva nell’acqua ancor vivi, raccomandando loro di non farsi pescare di nuovo. Un giorno, mentre egli se ne stava in una barchetta nel porto del lago reatino, un pescatore gli offrì con riverenza una tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel pesce chiamandolo fratello, poi lo ripose nell’acqua fuori della barca e cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po’ di tempo, mentre egli pregava, il pesce, giocando giulivo nell’acqua presso la barca, non si allontanò dal luogo in cui l’aveva posto, finché il santo, finita la preghiera, non gli diede il permesso di partirsene.

[429] Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la via dell’obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina, ebbe da Dio il grande onore di farsi obbedire dalle creature! Perfino l’acqua, infatti, si muto` in vino per lui, quando una volta giaceva gravemente infermo nell’eremo di Sant’Urbano. Appena ne bevve, guarì, e tutti capirono che si trattava davvero di un miracolo.
E veramente non può essere che un santo colui al quale le creature obbediscono in questo modo e se a un suo cenno cambiano natura gli stessi elementi!

Francesco predica in Ascoli e, per mezzo di oggetti toccati da lui, nella sua assenza gli ammalati guariscono

[430] Nel tempo in cui, come si è detto, predicò agli uccelli, il venerabile padre Francesco, percorrendo città e villaggi e spargendo ovunque la semente della benedizione, arrivò anche ad Ascoli. In questa città, annunciando la parola di Dio secondo il solito con grande fervore, quasi tutto il popolo fu pieno di tanta grazia e di devozione, per opera del Signore, che tutti si accalcavano l’un l’altro, desiderosi di vederlo e ascoltarlo. Infatti ben trenta, tra chierici e laici, ricevettero dalle sue stesse mani l’abito religioso. Ed era così grande la fede e l’ammirazione di uomini e donne per il santo di Dio, che si considerava fortunato chiunque avesse potuto toccargli la veste.

[431] Quand’egli entrava in una città, si allietava il clero, si suonavano le campane, esultavano gli uomini, godevano le donne, i fanciulli applaudivano, e spesso gli andavano incontro cantando con ramoscelli in mano. Restava confusa la perversità dell’eresia, trionfava la fede della Chiesa; e mentre i fedeli erano ripieni di giubilo, gli eretici si rendevano latitanti. I segni della sua santità erano così evidenti che nessuno osava disputare con lui, mentre tutta la folla si occupava soltanto di lui.

[432] Egli riteneva di dover osservare, venerare e seguire in tutto e sopra ogni cosa gli insegnamenti della santa Chiesa romana, nella quale soltanto si trova la salvezza. Rispettava i sacerdoti e nutriva grandissimo amore per l’intera gerarchia ecclesiastica.

[433] I fedeli gli portavano pani da benedire e li conservavano a lungo perché, cibandosene, guarivano da diverse malattie. Sovente, spinti dalla grande fede, gli tagliuzzavano perfino la tonaca, così che a volte il santo uomo restava quasi nudo. E, cosa più mirabile, qualche oggetto toccato dalla mano del santo padre risanava alcuni infermi.

[434] Così una donna incinta, abitante in un piccolo villaggio dalle parti di Arezzo, venuto il tempo del parto rimase in travaglio per molti giorni, in preda a spasimi tremendi, sospesa tra la vita e la morte. I vicini e i parenti, avendo saputo che sarebbe passato di lì il beato Francesco per recarsi in un eremo, lo attendevano con ansia; ma mentre essi l’aspettavano, accadde che egli si era incamminato su un’altra strada a cavallo, perché era debole e ammalato. Giunto pero` alla meta, da un frate, di nome Pietro, fece ricondurre il cavallo a chi glielo aveva imprestato per carità; e frate Pietro, riconducendo il cavallo, passò proprio per la via dov’era la casa della donna sofferente. Gli uomini della contrada, appena lo videro, gli corsero incontro, credendolo il beato Francesco. Quando s’accorsero che non era lui, rimasero molto rattristati; ma poi presero a domandarsi a vicenda se si poteva trovare qualche oggetto che il santo avesse toccato. Indugiando in questa ricerca, alla fine trovarono le redini che egli aveva tenuto in mano cavalcando. Estrassero allora il morso dalla bocca del cavallo, sul quale il santo si era seduto, posero le redini sul corpo della donna, la quale, scomparso d’incanto ogni pericolo, partorì felicemente.

[435] Gualfreduccio, cittadino di Città della Pieve, uomo pio e timorato di Dio, che onorava con tutta la sua famiglia, era in possesso di una corda, di cui una volta si era servito san Francesco per cingersi i fianchi. Capitò che parecchi abitanti di quella contrada, uomini e donne, fossero colpiti da varie infermità e febbri, ed egli andava nelle loro case e dava da bere agli ammalati dell’acqua in cui aveva immerso quella corda, o qualche sfilacciatura di essa, e tutti recuperavano la salute nel nome di Cristo.
Questi sono un saggio dei miracoli che accadevano in assenza del beato padre; ma ne avvenivano assai più numerosi, tanto che non basterebbe neppure un lungo discorso a narrarli tutti. Di quelli poi che il Signore nostro Dio operò con la sua presenza ne riferiremo brevemente alcuni in questa parte dell’opera.

[435] Gualfreduccio, cittadino di Città della Pieve, uomo pio e timorato di Dio, che onorava con tutta la sua famiglia, era in possesso di una corda, di cui una volta si era servito san Francesco per cingersi i fianchi. Capitò che parecchi abitanti di quella contrada, uomini e donne, fossero colpiti da varie infermità e febbri, ed egli andava nelle loro case e dava da bere agli ammalati dell’acqua in cui aveva immerso quella corda, o qualche sfilacciatura di essa, e tutti recuperavano la salute nel nome di Cristo.
Questi sono un saggio dei miracoli che accadevano in assenza del beato padre; ma ne avvenivano assai più numerosi, tanto che non basterebbe neppure un lungo discorso a narrarli tutti. Di quelli poi che il Signore nostro Dio operò con la sua presenza ne riferiremo brevemente alcuni in questa parte dell’opera.

Francesco guarisce uno zoppo a Toscanella e un paralitico a Narni

[436] Pellegrinando per diverse e vaste regioni ad annunciare il regno di Dio, il santo di Dio, Francesco, giunse un giorno nella citta` di Toscanella. Mentre qui, secondo il solito, spargeva il seme di vita, un cavaliere del luogo gli offrı` ospitalita` nella sua casa. Il figlioletto di lui, l’unico che aveva, era zoppo e tanto gracile da dover restare ancora nella culla, pur avendo oltrepassato l’eta` dell’allattamento. Vedendo quell’uomo di Dio così ripieno di santità, il cavaliere gli si gettò umilmente ai piedi e gli chiese che glielo guarisse. Il santo si riteneva del tutto indegno e incapace di una simile efficacia e grazia e a lungo si rifiutò; ma poi, vinto dalle insistenti implorazioni, acconsentì. Dopo aver pregato, stese le mani sul fanciullo, lo benedisse e lo invitò a levarsi; quello immediatamente, tra la gioia dei presenti, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, balzò risanato e cominciò a camminare di qua e di là per la stanza.

[437] Un giorno l’uomo di Dio, Francesco, si era recato a Narni dove rimase vari giorni. Un cittadino, di nome Pietro, giaceva a letto paralitico: da cinque mesi era rimasto così privo dell’uso di tutte le membra, da non potersi in nessun modo alzare o muovere: i piedi, le mani e la testa non gli davano più alcun aiuto, riusciva soltanto a muovere la lingua e ad aprire gli occhi. Avendo saputo che san Francesco era giunto a Narni, supplicò il vescovo della città che in nome della misericordia divina si degnasse di mandargli il servo di Dio altissimo, convinto com’era che, alla sola vista del santo, sarebbe guarito. E così avvenne. Appena il beato Francesco gli fu vicino e tracciò su di lui dal capo ai piedi un segno di croce, il paralitico ricuperò la primitiva salute.

Francesco rende la vista a una cieca e a Gubbio risana un'altra rattrappita

[438] Una donna, pure abitante di Narni, colpita da cecità, riacquistò il dono, ardentemente desiderato, della vista mediante il segno di croce che il beato Francesco le tracciò sugli occhi.

[439] A Gubbio vi era una donna che aveva le mani rattrappite e non poteva far nulla. Quando seppe che il santo era arrivato in città, gli corse incontro, gli mostrò affranta le mani contorte, supplicandolo che gliele toccasse. Egli, impietositosi, fece quanto gli si chiedeva e la povera donna guarì. Questa, tutta lieta, tornò a casa, impastò con le proprie mani una focaccia di farina con formaggio e l’offrì a Francesco, che per renderla felice ne gradì un poco, dicendo alla donna di mangiare il resto con la sua famiglia.

Francesco libera un frate dall'epilessia e a Sangemini guarisce un'indemoniata

[440] Un frate soffriva frequentemente di una gravissima malattia, orrenda a vedersi, che non so come qualificare: alcuni l’attribuivano alla presenza di un diavolo maligno. Spesso era tutto preso da convulsioni e, guardando con aspetto sinistro in modo orribile, si ravvoltolava con la schiuma alla bocca; le sue membra ora si contraevano, ora si distendevano, ora piegate e contorte, ora divenivano rigide e dure. Altre volte, tutto teso e irrigidito con i piedi che gli toccavano la testa, si levava in alto, quanto la statura di un uomo, e subito ricadeva a terra. Il santo padre Francesco ebbe compassione di quel malore, si recò da lui e, dopo aver pregato, lo benedisse e il malato, subito risanato, non ebbe più a soffrire in seguito il minimo fastidio per quella infermità.

[441] Un giorno il beatissimo padre Francesco, attraversando la diocesi di Narni, arrivò a Sangemini per predicare la parola di Dio e fu ospitato con tre fratelli da un uomo pio e timorato di Dio, che era molto stimato da quelle parti. Ma la moglie era indemoniata, e tutti gli abitanti di quel territorio lo sapevano. L’uomo pregò per lei il beato Francesco, confidando che ella poteva essere guarita per i suoi meriti. Ma egli, poiché nella sua semplicità preferiva più essere vilipeso che venire osannato dai favori del mondo per l’ostentazione della sua santità, oppose un netto rifiuto; ma poi, vedendo che si trattava della gloria di Dio, dietro le insistenze di molti, finì per acconsentire. Chiamati i tre frati che erano con lui, li fece mettere ognuno in un angolo della stanza e disse: «Preghiamo il Signore per questa donna, affinché Dio, a lode e gloria sua, la liberi dal giogo del demonio. Stiamo uno per ogni angolo, perché il maligno, cercandovi scampo, non riesca a sfuggirci e a ingannarci».
Dopo aver pregato, il beato Francesco, in virtù dello Spirito Santo, si accostò all’ossessa, che si contorceva in modo compassionevole e urlava orrendamente, e disse: «Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, per obbedienza ti ordino, o demonio, di lasciare questa creatura e di non osare più tormentarla!». Aveva appena pronunciato quelle parole, che il diavolo se ne andò rapidissimamente con grande fracasso e furore, tanto che il padre, per l’improvvisa guarigione della donna e la pronta obbedienza di Satana, credette di essere stato beffato, e si affretto` ad allontanarsene con rossore, ciò operando la divina Provvidenza, perché non fosse tentato di cadere in un effimero orgoglio.
Per questo accadde che, passando un’altra volta il beato Francesco per il medesimo luogo in compagnia di frate Elia, quella donna, saputolo, si alzò e, correndo per la piazza, lo supplicava che si degnasse di parlarle. Ma egli rifiutava tale richiesta, ben sapendo che era quella donna dalla quale per virtù divina aveva scacciato il demonio. Ma lei baciava le orme dei suoi piedi, ringraziando Dio e san Francesco, suo servo, che l’aveva liberata dal potere della morte. Infine, per le preghiere di frate Elia, il santo si persuase a parlarle, e da molti fu assicurato sia della suddetta infermità sia della guarigione.

Anche a Città di Castello Francesco scaccia un demonio

[442] C’era a Città di Castello una donna ossessa. Essendovi giunto il beatissimo padre Francesco, venne condotta a lui nella casa ove dimorava. Questa, stando fuori, incominciò a digrignare i denti e con lo sguardo bieco emetteva grida orribili, come usano fare gli spiriti immondi. Parecchi cittadini, uomini e donne, andarono a supplicare san Francesco per lei, perché da tanto tempo il maligno l’affliggeva torturandola, e lei spaventava tutti con le sue urla. Il padre santo volle constatare se era opera del demonio o imbroglio della donna e le mandò innanzi un frate che stava con lui. Quella, al vederlo, si mise a schernirlo sapendo che quegli non era san Francesco. Ma quando comparve il santo, che era rimasto nel frattempo dentro a pregare, la donna, non potendo resistere alla sua virtù, incominciò a tremare e a contorcersi per terra. San Francesco la chiamò a sé, dicendo: «Ti comando per obbedienza, spirito immondo, di uscire da costei!». E il diavolo, uscendo da lei molto indignato, l’abbandonò immediatamente, senza alcun male.

[443] Sia ringraziato Iddio onnipotente, che opera tutto in tutti! Tuttavia, siccome ci siamo proposti di narrare non tanto i miracoli, che dimostrano la santità senza costituirla, ma piuttosto l’eccellenza della sua vita e l’aspetto esemplare della sua condotta, riprendiamo il racconto delle opere che gli meritarono la salvezza eterna, tralasciando i miracoli troppo numerosi.

Purezza e costanza del suo spirito. Discorso davanti a papa Onorio III. Affida se stesso e i suoi alla protezione del cardinale Ugolino, vescovo di Ostia

[444] L’uomo di Dio Francesco sapeva ricercare non il proprio interesse, ma soprattutto quanto vedeva necessario alla salvezza del prossimo, e sopra ogni altra cosa desiderava di essere liberato dal corpo e stare con Cristo. Per questo il suo maggior impegno era di tenersi lontano dalle sollecitudini terrene, così che neppure per un istante, al contatto con la polvere mondana, fosse turbata la serenità della sua anima. Si rendeva insensibile a tutti i clamori esterni e, custodendo con tutto l’impegno i suoi sensi esteriori e dominando ogni movimento dell’anima, viveva assorto nel solo Signore. Come è detto della sposa nel Cantico dei cantici: Nelle fenditure della roccia aveva fatto il nido e nei nascondigli dei dirupi era la sua abitazione.

[445] Veramente con gioiosa devozione egli si aggirava tra le dimore celesti e, in completo annientamento di sé, dimorava a lungo come nascosto nelle piaghe del Salvatore. Perciò cercava di frequente luoghi solitari per poter rivolgere completamente la sua anima in Dio; tuttavia, quando lo riteneva opportuno, non esitava un istante a passare all’azione per dedicarsi volentieri alla salvezza del prossimo. Suo porto sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma prolungata per lungo tempo, piena di devozione e di serena umiltà. Se la iniziava la sera, a mala pena terminava la mattina. Era sempre intento alla preghiera, sia che camminasse, o sedesse, sia nel mangiare e nel bere. Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare; così, con la grazia del Signore, riusciva a trionfare di molti timori e di angustie spirituali.

[446] In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo con il demonio, che l’affrontava non solo con tentazioni interiori, ma anche lo atterriva esteriormente con strepiti e rovine. Ma da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo: «Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia in questi luoghi, più di quanto mi faresti se fossimo tra la gente».

[447] Era veramente perseverante, e a null’altro badava se non alle cose del Signore. E infatti, anche quando predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con un amico di famiglia. Ai suoi occhi un’immensa folla di popolo era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le moltitudini predicava a una sola persona. Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche senza prepararsi sapeva dire cose mirabili e mai udite prima.

[448] Quando invece premetteva una preparazione al discorso, gli poteva accadere dinanzi al popolo radunato che non ricordasse più una parola né altro poteva dire. Allora confessava a tutti senza alcun rossore che aveva preparato tante cose, ma le aveva tutte dimenticate. Ed ecco, all’improvviso parlava con tanta eloquenza da cambiare in ammirazione l’animo degli uditori. Altre volte gli capitava di non riuscire a parlare affatto; allora congedava l’uditorio con la benedizione, e questo solo valeva come la migliore delle prediche.

[449] Recatosi una volta a Roma, per problemi dell’Ordine, sentì grande desiderio di predicare davanti a papa Onorio e ai venerabili cardinali. Venuto a saperlo, Ugolino, il glorioso vescovo di Ostia che nutriva particolare affetto e ammirazione per il santo di Dio, ne provo` insieme gioia e timore, perché se ammirava il fervore di quel sant’uomo, ne conosceva però anche l’ingenua semplicità; ma, confidando nella bontà dell’Onnipotente, che paternamente non lascia mai mancare ai suoi fedeli quanto è necessario, lo condusse davanti al papa e ai reverendi cardinali. Ed egli, alla presenza di così grandi principi, avutane la licenza e ricevuta la benedizione, incominciò a parlare senza timore. E parlava con tanto fervore che, non potendo contenersi per la letizia, mentre proferiva le parole, muoveva i piedi quasi saltellando, non come chi scherzi, ma come chi arda del fuoco dell’amore di Dio, senza suscitare il riso, ma inducendo a un pianto di compunzione. Infatti molti di loro, ripieni di ammirazione per la grazia divina e per l’intrepido coraggio di quell’uomo, furono presi da sincero dolore. Il venerabile vescovo di Ostia però, dal canto suo, preoccupato pregava fervorosamente Iddio perché non permettesse che la semplicità di quell’anima santa venisse disprezzata, anche perché l’eventuale disdoro, come la gloria di Francesco, sarebbero caduti pure su di lui, che era stato eletto padre della sua famiglia.

[450] San Francesco infatti si era legato a lui come un figlio al padre, come il figlio unico alla madre, dormendo e riposando sicuro sul seno della sua clemenza. Si può veramente dire che egli faceva le veci di pastore e ne compiva l’ufficio, pur lasciandone il nome al santo. Il beato padre proponeva quanto era necessario, ma era quel signore che, felice, conduceva a buon fine le proposte. Quanti, soprattutto agli inizi, insidiavano la nuova pianticella dell’Ordine per rovinarla! Quanti cercavano di soffocare l’eletta nuova vigna che la mano del Signore, nella sua benignità, stava piantando nel mondo! Quanti tentavano di sottrarne e di annientarne le purissime primizie! Ma tutti costoro furono trafitti dalla spada di un così reverendo signore e padre e si ridussero a nulla. Egli era infatti un fiume di eloquenza, un baluardo della Chiesa, un assertore della verità e amante degli umili. Memorando e benedetto, quindi, il giorno in cui il servo di Dio si affidò a un così venerabile pastore!

[451] Mentre quel signore si trovava in Toscana, come legato pontificio, un incarico che gli veniva affidato spesso, il beato Francesco, che aveva ancora pochi compagni, passò per Firenze, dove allora soggiornava quel vescovo, con l’intento di recarsi in Francia. Non erano ancora in quel tempo legati da una profonda amicizia, ma la sola fama della loro santità era bastata a unirli in un vincolo reciproco di affetto e di benevolenza.

[452] D’altra parte era costume del beato Francesco, quando arrivava in qualche città o territorio, di presentarsi al vescovo o ai sacerdoti del luogo; così, venuto a sapere che là si trovava un sì importante prelato, si presentò con grande riverenza alla sua benignità. Il signor vescovo, come usava fare sempre con i religiosi, soprattutto con quelli che professavano la beata povertà e la santa semplicità, lo accolse con umiltà e devozione. E poiché era sempre sollecito a venire incontro all’indigenza dei poveri e interessarsi in modo particolare delle loro difficoltà, lo interrogò accuratamente sul motivo della sua venuta, accogliendo con grande bontà il suo proposito. Vedendolo così staccato da ogni cosa terrena, più di qualsiasi altro, e ripieno di quel fuoco divino che Gesù venne ad accendere sulla terra, sentì fin d’allora la propria anima fondersi con la sua, gli domandò la carità delle sue preghiere e gli offrì ben volentieri la sua protezione in tutto. Quindi lo dissuase dal continuare quel viaggio, raccomandandogli di attendere con sollecitudine a coloro che Iddio gli aveva affidato. Dal canto suo, san Francesco, vedendo che quel reverendo signore aveva l’animo così pio, così dolcemente affettuoso e dalla parola così efficace, fu ripieno di immenso gaudio, si prostrò ai suoi piedi e con sincera devozione gli affidò se stesso e i suoi frati.

Spirito di carità e affettuosa compassione verso i poveri. Episodio della pecora e degli agnellini

[453] Padre dei poveri e povero lui stesso, Francesco, facendosi povero con i poveri, non poteva sopportare senza dolore di vedere qualcuno più povero di lui, non per desiderio di vanagloria, ma per intima compassione, e sebbene si contentasse di una tonaca misera e rozza, spesso bramava spartirla con qualche bisognoso. Ma era un povero ricchissimo che, spinto dalla sua struggente compassione, per poter aiutare i poveri quando il tempo era gelido, ricorreva ai ricchi chiedendo a prestito un mantello o indumenti di pelle. Se questi glieli davano con maggior entusiasmo di quello con cui il beatissimo padre li domandava, dichiarava: «Accetto di riceverli, ma a condizione che non vi aspettiate mai più di riaverli». E tutto esultante e contento ne rivestiva il primo povero che gli capitasse di incontrare.

[454] Non poteva soffrire che qualcuno insultasse un povero e proferisse una parola offensiva verso qualche creatura. Or accadde che un frate facesse un’allusione maligna su un poveretto che chiedeva supplicante l’elemosina: «Bada, non vorrei che tu fossi ricco e ti fingessi bisognoso!». Come l’udì, il padre dei poveri, san Francesco, ne ebbe grande dolore e rimproverò molto duramente il frate che aveva pronunciato quelle parole, e gli ordinò di spogliarsi davanti al mendicante e di chiedergli perdono, baciandogli i piedi. Era solito dire: «Chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo, di cui quello porta la nobile divisa, e che per noi si fece povero in questo mondo». Spesso perciò, incontrando qualche povero con carichi di legna o altri pesi, per aiutare se li caricava sulle spalle, sebbene fosse assai debole.

[455] Ridondava di spirito di carità, assumendo viscere di misericordia non solo verso gli uomini provati dal bisogno, ma anche verso gli animali bruti senza favella, i rettili, gli uccelli e tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però, tra tutti gli animali, una particolare preferenza e una palese tenerezza per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo, per la sua umiltà, è paragonato spesso e a ragione all’agnello. Per lo stesso motivo amava più caramente e riguardava con più simpatia tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l’immagine del Figlio di Dio.

[456] Attraversando una volta la Marca d’Ancona, dopo aver predicato la parola del Signore nella stessa città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di frate Paolo, che aveva eletto ministro di tutti i frati di quella provincia, incontrò nella campagna un pastore, che pascolava il suo gregge di montoni e di capre. In mezzo al numeroso branco c’era una sola pecorella, che tutta quieta e umile brucava l’erba. Appena la vide, il beato Francesco si fermò e, addoloratosi in cuor suo, disse tra i lamenti al frate che lo accompagnava: «Vedi quella pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù Cristo, proprio così doveva camminare, mite e umile, circondato dai farisei e i principi dei sacerdoti. Per questo ti prego, figlio mio, per amore di lui, sii anche tu pieno di compassione per questa pecorella; compriamola e portiamola via da queste capre e da questi caproni».
Frate Paolo ammirando la sua pietà, cominciò a sentire commozione anche lui. Ma non possedendo altro che le due ruvide tonache di cui erano vestiti, non sapevano come effettuare l’acquisto; ed ecco sopraggiungere un mercante e offrir loro il prezzo desiderato. Ed essi, ringraziandone Dio, presa con sé la pecorella, proseguendo il viaggio giunsero a Osimo e si presentarono al vescovo della città, che li accolse con grande riverenza. Non seppe però celare la sua sorpresa nel vedersi davanti quella pecorella che l’uomo di Dio si tirava dietro con tanto affetto. Appena tuttavia il servo del Signore gli ebbe raccontato una lunga parabola circa la pecora, il vescovo, tutto compunto davanti alla purezza e semplicità di cuore del servo di Dio, ne ringraziò il Signore. Il giorno dopo, uscito dalla città, Francesco pensava che cosa fare della pecorella e, per suggerimento del frate che l’accompagnava, l’affidò alle cure delle ancelle di Cristo in un chiostro presso San Severino, che l’accolsero con grande gioia come un dono di Dio; ne ebbero amorosa cura per lungo tempo, e poi con la sua lana tesserono una tonaca che mandarono al beato padre Francesco mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. Il santo l’accolse con devozione e festosamente si stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi con lui.

[457] Un altro giorno, pellegrinando per la stessa Marca con il medesimo frate Paolo, che era ben felice di accompagnarlo, si imbatterono in un uomo che portava al mercato due agnelli da vendere, penzolanti e legati sulla spalla. All’udire quei belati, il beato Francesco, vivamente commosso, si accostò accarezzandoli come suol fare una madre con i figlioletti che piangono, mostrando la propria compassione. E disse al padrone: «Perché tormenti i miei fratelli agnellini, tenendoli così legati e penzolanti?». Rispose: «Li porto al mercato per venderli: ho bisogno di denaro». E Francesco: «Che ne avverrà?». E quello: «I compratori li uccideranno e li mangeranno». «Non sia mai! – esclamo` il santo –: prendi come compenso il mio mantello e dammi gli agnellini».
Quell’uomo fu ben felice di concederglieli e prendere il mantello perché valeva molto di più delle due bestiole: Francesco l’aveva ricevuto a prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo. Ma ricevuti gli agnellini, il santo di nuovo pensava tra sé che cosa farne e, per consiglio del frate che l’accompagnava, li restituì al padrone perché se ne prendesse cura, raccomandandogli di non venderli, di non recar loro danno alcuno, ma di mantenerli, nutrirli e custodirli con amore.

Il suo grande amore per le creature a motivo del Creatore. Suo ritratto fisico e morale

[458] Sarebbe troppo lungo, o addirittura impossibile, narrare tutto quello che il glorioso padre Francesco compì e insegnò mentre era in vita. Chi potrebbe descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio e con quanta dolcezza contemplava in esse la sapienza, la potenza e la bontà del Creatore? Proprio per questo motivo, quando mirava il sole, la luna e le stelle del firmamento, il suo animo si inondava di indicibile gaudio. O pietà semplice e semplicità pia! Perfino per i vermi sentiva grandissimo affetto, perché aveva letto che del Salvatore è stato detto: Io sono verme e non uomo; perciò si preoccupava di toglierli dalla strada nascondendoli in luogo sicuro, perché non fossero schiacciati dai passanti. E che dire delle altre creature inferiori, quando sappiamo che, durante l’inverno, si preoccupava addirittura di far preparare per le api miele e ottimo vino perché non morissero di freddo? Magnificava con tale lode a gloria di Dio la loro laboriosità ingegnosa e la finezza d’istinto, e trascorreva il più delle volte un giorno intero a lodare quelle e tutte le altre creature.

[459] Come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace ardente invitavano tutti gli elementi a lodare e glorificare il Creatore dell’universo, così quest’uomo, ripieno dello spirito di Dio, non si stancava mai di glorificare, lodare e benedire, in tutti gli elementi e in tutte le creature, il Creatore e Reggitore di tutte le cose.

[460] E quale estasi pensi gli procurasse la bellezza dei fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza? Subito rivolgeva l’occhio del pensiero alla bellezza di quell’altro Fiore il quale, spuntando luminoso nel tempo della fioritura dalla radice di Iesse, con il suo profumo richiamò alla vita migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori, si fermava a predicare loro e li invitava a lodare il Signore, come esseri dotati di ragione; allo stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento, con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare spontaneamente il Signore.

[461] E finalmente chiamava tutte le creature con il nome di fratello e sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro, perché aveva conquistato la libertà della gloria riservata ai figli di Dio. E ora in cielo, o buon Gesù, ti loda con gli angeli colui che sulla terra ti predicava degno di amore a tutte le creature.

[462] Si commuoveva, infatti, più di quanto si possa umanamente immaginare, quando proferiva il tuo nome, o Dio santo! Allora, tutto felice e pieno di purissima gioia, sembrava veramente un uomo nuovo e di un altro mondo. Per questo, ovunque trovava qualche scritto, di cose divine o umane, per strada, in casa o sul pavimento, lo raccoglieva con grande rispetto riponendolo in un luogo sacro o almeno decoroso, nel timore che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo riguardasse.

[463] Una volta un frate gli domandò perché raccogliesse con tanta premura perfino gli scritti dei pagani e quelli che certamente non contenevano il nome di Dio, egli rispose: «Figlio mio, perché vi sono le lettere con cui si può comporre il santissimo nome del Signore Iddio; d’altronde, ogni bene che vi si trova, non va riferito ai pagani o ad altri uomini, ma soltanto a Dio, fonte di qualsiasi bene!». Cosa ancor più sorprendente, quando faceva scrivere messaggi di saluto o di esortazione, non permetteva che si cancellasse alcuna parola o sillaba, anche se superflua o errata.

[464] Quanto era bello, splendido e glorioso nella sua innocenza di vita, nella semplicita` della sua parola, nella purezza di cuore, nell’amore di Dio, nella carita` fraterna, nella prontezza dell’obbedienza, nella condiscendenza cordiale, nel suo aspetto angelico! Di carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto nell’ammonire, fedelissimo nell’adempimento dei compiti affidatigli, accorto nel consigliare, efficace nell’operare, amabile in tutto. Di mente serena, dolce di animo, di spirito sobrio, assorto nelle contemplazioni, costante nell’orazione e in tutto pieno di fervore. Tenace nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se stesso. Veloce nel perdonare, lento all’ira, fervido di ingegno, di buona memoria, sottile nelle discussioni, prudente nelle decisioni e di grande semplicità. Severo con sé, indulgente con gli altri.

[465] Era uomo facondissimo, di volto gioviale, di aspetto benigno, mai indolente e mai altezzoso. Di statura mediocre piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, il viso un po’ ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e pieni di semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rada, collo sottile, spalle dritte, braccia corte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissima. Nella sua incomparabile umiltà mostrava tutta la mitezza possibile con tutti, adattandosi opportunamente ai costumi di ognuno. Più santo tra i santi, e tra i peccatori come uno di loro. O padre santissimo, amante dei peccatori, vieni dunque loro in aiuto e per i tuoi gloriosissimi meriti degnati, te ne preghiamo, di sollevare, tu che sei così compassionevole, coloro che vedi giacere miseramente nell’abiezione della colpa!

Della mangiatoia che preparò nel giorno della Natività del Signore

[466] La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di seguire fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e il fervore del cuore l’insegnamento del Signore nostro Gesù Cristo e di imitarne le orme.

[467] Meditava continuamente le sue parole e con acutissima attenzione non ne perdeva mai di vista le opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente voleva pensare ad altro.

[468] A questo proposito dobbiamo raccontare, richiamando devotamente alla memoria, quello che realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale di nostro Signore Gesù Cristo. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa quindici giorni prima della festa della Natività, il beato Francesco lo fece chiamare, come faceva spesso, e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio l’imminente festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, quell’uomo buono e fedele se ne andò sollecito e approntò, nel luogo designato, tutto secondo il disegno esposto dal santo.

[469] E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati frati da varie parti; uomini e donne del territorio preparano festanti, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per rischiarare quella notte, che illuminò con il suo astro scintillante tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine il santo di Dio e, trovando che tutto è stato predisposto, vede e se ne rallegra. Si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e deliziosa per gli uomini e per gli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al rinnovato mistero. La selva risuona di voci e le rupi echeggiano di cori festosi. Cantano i frati le debite lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile. Poi viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della messa e il sacerdote assapora una consolazione mai gustata prima.

[470] Francesco si veste da levita, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora è un invito per tutti a pensare alla suprema ricompensa. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva pronunciare Cristo con il nome di «Gesù», infervorato d’immenso amore, lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava come il belato di una pecora, riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola.
Vi si moltiplicano i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Vide nella mangiatoia giacere un fanciullino privo di vita, e Francesco avvicinarglisi e destarlo da quella specie di sonno profondo. Né questa visione discordava dai fatti perché, a opera della sua grazia che agiva per mezzo del suo santo servo Francesco, il fanciullo Gesù fu risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e fu impresso profondamente nella loro memoria amorosa. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

[471] Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia i giumenti e gli altri animali. E davvero è avvenuto che, nel territorio circostante, molti animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne, durante le doglie di un parto lungo e doloroso, ponendosi addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne sono stati guariti da molti mali.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra la mangiatoia è stato costruito un altare ed è stata dedicata una chiesa in onore del beatissimo padre Francesco, affinché là dove un tempo gli animali mangiarono il fieno, ora gli uomini possano mangiare, per la salute dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con infinito e ineffabile amore ha donato se stesso per noi; e ora con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.