Vogliamo crederci ancora!
Avventura senza ritorno della guerra
Sono più i segnali di disperazione che quelli di speranza. Le testimonianze drammatiche che arrivano dalle città ucraine aumentano, lasciano attoniti e sconfortati. I tanti autorevoli appelli per fermare l’inizio della guerra in Ucraina e ogni successivo tentativo di negoziato sembrano caduti nel vuoto. La storia si ripete e conferma solo che l’arroganza umana non ha limiti.
Nel 1991 Giovanni Paolo II scrisse un'accorata lettera ai capi delle nazioni coinvolte nella guerra del Golfo prima dell’inizio del conflitto: “Nessun problema internazionale può essere adeguatamente e degnamente risolto col ricorso alle armi, e l'esperienza insegna a tutta l'umanità che la guerra, oltre a causare molte vittime, crea situazioni di grave ingiustizia che, a loro volta, costituiscono una forte tentazione di ulteriore ricorso alla violenza”. Profezia inascoltata.
Al “mai più la guerra, avventura senza ritorno”, fa oggi eco papa Francesco con parole ancora più chiare, lapidarie e accorate: “La guerra è una pazzia! In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!”. Quando nel 2014 coniò l’espressione che era in corso una “terza guerra mondiale a pezzi” pochi in Occidente avevano capito, forse perché in Europa non si avvertivano i rumori di carri armati e di bombe. Nel Vecchio Continente la tensione era già nell’aria da tempo, da anni assistevamo a morte e devastazione in Siria ed Etiopia, mentre era appena iniziato il conflitto nello Yemen. Guerre progressive e al momento inarrestabili.
Fermare le guerre adesso è la priorità, assistere i profughi un’urgenza, continuare a pregare la cosa necessaria per il cambiamento dei cuori.
Ma come costruire la pace? Mi sono chiesto: che cosa ci direbbe san Francesco oggi?
Abbiamo il suo esempio: deporre le armi che non servono a risolvere i conflitti e instaurare sempre la via del dialogo con l’altro che tutti relegano come nemico. Per Francesco d’Assisi queste scelte non sono opportunistiche strategie per tenere lontana la guerra, meglio se il più lontano possibile da casa nostra. I calcoli politici, determinati da compromessi, portano a tregue più o meno stabili.
Il Santo di Assisi cercava la pace perché consapevole che l’altro è mio fratello. La pace “vera” deriva da un corrispondente “reale” cammino, una conversione interiore all’altro quando scopro che è mio fratello. È questa la pace durevole che nasce dall’incontro con il Padre nostro, di tutti noi, che il Figlio Gesù ci ha fatto conoscere e che rende tutti noi fratelli. Francesco non si lascerebbe scoraggiare di fronte alla cattiveria umana, ma ci ripeterebbe “cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!” (FF500).
Ripartiamo, quindi, da noi! Ritrovo lo stesso monito in un recente messaggio di papa Francesco: “Per i cristiani ricostruire la casa comune vuol dire farsi artigiani di comunione, tessitori di unità a ogni livello: non per strategia, ma per Vangelo. In altre parole occorre ripartire dal cuore stesso del Vangelo: Gesù Cristo e il suo amore che salva”. A questo io voglio credere ancora!
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