La forza delle immagini di guerra
La foto del Cristo di Leopoli
Comunicare la guerra, narrare la guerra oggi, raccontarla nella sua crudeltà e insensatezza non è facile. Le parole che leggiamo, ogni giorno, hanno un peso nella coscienza di ognuno, nell’animo di chi - davanti a queste atroci sofferenze - si trova a decifrare una illogica logica che la guerra reca con sé. Telecamere e commenti ci stanno informando sulla situazione in Ucraina, cogliendo i “particolari” di un “disegno” enorme di morte e distruzione: un piano che sfida l’umanità.
E’ una guerra, questa, soprattutto di immagini. Analizzarle, in fondo, è una maniera per entrare - ancor meglio - in questi giorni di terrore. I media, con il loro peso in una società come questa alle prese con tik tok e facebook, con instagram e altro, ci stanno raccontando sentimenti e prove che il popolo ucraino sta fronteggiando e ciò che risulta più evidente in questo fiume di immagini è quanto i fotogrammi-simbolo siano importanti più di tante parole.
Certo, la comunicazione di guerra, anche in passato, ha viaggiato per immagini. Basterebbe pensare ai fotogrammi cinematografici del nostrano Istituto Luce che hanno descritto la ferocia della Seconda guerra mondiale; oppure, quelle a colori - forti e impressionanti - che le televisioni di tutto il mondo trasmettevano durante il conflitto in Kosovo o in Iraq con il bombardamento del 20 marzo 2003 di Baghdad, la capitale.
Oggi, il presente. Pochi giorni fa - fra le tante immagini che stanno narrando il fronte di guerra - sicuramente una in particolare (non più di tutte, visto che è difficile farne una cernita rappresentativa) non può che colpire il cuore di ogni cristiano e farlo riflettere non poco: la statua del Cristo Salvatore della cattedrale armena di Leopoli viene rimossa e portata al sicuro in un bunker di lamiera, arrangiato. Quattro uomini, con delle funi, si vedono. Incappucciati per il freddo, hanno in mano un uomo nudo: quell’uomo è il Figlio dell’Uomo, il Salvatore.
Siamo in Quaresima, la prima domenica di questo cammino è già passata e ancora quattro domeniche ci attendono. Questo scatto fotografico colto a Leopoli ci catapulta, invece, nel clou di questo tempo liturgico, in quei tre giorni in cui rivivremo le ultime ore di Cristo. In tempi passati, nei Primi Vespri della “Domenica di Passione” (quindi il sabato, vigilia della quinta domenica di Quaresima), le croci, le statue e le immagini in chiesa venivano coperte con un velo - di solito viola - per poi essere scoperte nel giorno della Resurrezione, fino al Gloria in Excelsis Deo della Messa della Vigilia Pasquale. Ora è rimasta solamente la tradizione di spogliare gli altari il Venerdì e il Sabato Santo. E’ il silenzio della morte che incombe in attesa della luce della Resurrezione.
Trovarsi di fronte a quello scatto è trovarsi di fronte alla Deposizione. Non ci sono i colori del Pontormo a delineare le figure, ma lo stato d’animo dei “personaggi” è uguale. Manca Maria, la Madre. Ma questo non è rilevante. Le madri in Ucraina sono impegnate con i propri bambini per metterli al riparo: loro hanno i propri figli e verrebbe da scrivere la parola con la “F” maiuscola.
Uomini che portano a riparo Cristo, lo depongono già nel sepolcro, prima del tempo liturgico. Attendono la luce, il terzo giorno in cui risuscitò.
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