Tamaro: servono chiese belle per nutrire la fede
L'incertezza del futuro ci avvilisce paralizzando la nostra vitale
I media popolati di aruspici che lanciano i loro vaticini contrastanti senza alcuna sensibilità né rispetto per il sentire comune, le maledizioni crescenti - durerà 18 mesi, i vaccini non funzioneranno, ci sarà sicuramente la terza ondata - la povertà che si allarga a macchia d'olio, l'incertezza del futuro ci avviliscono, paralizzando la nostra già scarsa energia vitale. Siamo tutti sempre più sfiduciati e tristi e la tristezza del cuore, perché non dirlo, è la via maestra per spalancare la porta ad ogni tipo di malattia.
Siamo schiacciati dal nostro destino, non riusciamo a vedere nessuna luce di speranza all' orizzonte. In fondo non siamo molto diversi da Atlante costretto a portare sulle spalle il Cosmo. Mentre lui guardava a terra noi, nella stessa posizione, scrutiamo ossessivamente i nostri apparecchi elettronici cercando una qualche forma di sollievo all' invisibile peso che ci curva la schiena.
Qual è il peso che opprime con sempre più sottile potenza la nostra vita di Sapiens moderni? È la mancanza di una dimensione trascendente. Siamo figli del Caso e schiavi del Tempo, e questa condizione ci costringe ad assumere sulle nostre spalle tutto il peso del mondo. Siamo noi responsabili di ogni cosa, tutto è nelle nostre mani, e non potrebbe essere diversamente dato che la nostra esistenza, così come la vediamo, non è altro che un susseguirsi di casuali colpi di fortuna.
Dicendo questo, mi viene in mente un episodio della vita di Edith Stein che, da brillantissima filosofa atea, entrò per caso in una piccola chiesa e venne folgorata dalla visione di un' anziana donna che pregava in solitudine con le borse della spesa accanto. Lì intravide un' invisibile confine: il confine del Fanum , del Luogo Sacro, un luogo sospeso nel tempo, dove era possibile raccogliersi in un qualsiasi giorno feriale ed entrare in un intimo dialogo con l' eterno.
Fu l'inizio della sua conversione. In questi anni ho viaggiato molto per l'Italia e molte volte, nell' imbattermi nella pletora di orribili chiese moderne edificate nel dopoguerra, mi è capitato di domandarmi: sarebbe mai possibile che qualcuno si convertisse qui dentro o, per lo meno, che venisse sfiorato dall' idea che, dietro il mondo materiale, ne esista un altro la cui concretezza si manifesta nel mistero della bellezza? Chi ha deciso, progettato e finanziato questi abomini architettonici si è mai domandato se avesse voluto sposarsi, assistere a un battesimo o celebrare il funerale di una persona cara in un luogo del genere? L'orrore che provo non è però un orrore intellettuale, ma un orrore che ferisce direttamente il cuore perché il brutto, il disarmonico e lo sgradevole sono la negazione stessa del trascendente.
Per questo ho letto, con gioia e sollievo Disegnare il sacro , un piccolo ma importante libro di Christiano Sacha Fornaciari, edizioni Lindau. L' autore è specializzato in architettura e arte per la liturgia, ma non è un libro per specialisti quanto piuttosto un conforto per le anime profondamente turbate, come me, dal proliferare incontrollato di tanta architettonica sciatteria.
Una decina di anni fa, tormentata da questo rovello, ho chiesto a un importante cardinale con il quale mi trovavo a cena quali fossero le ragioni di questa abominevole deriva che, in un Paese come il nostro, fa particolarmente male data l' enorme quantità - dalle pievi, alle cappelle, alle cattedrali - di meravigliose chiese edificate nel corso della storia. Si è trattato, mi spiegò, di una tendenza nata negli anni Sessanta con il boom economico, con l' edificazione di nuovi quartieri. Si era pensato che, dato che l' uomo moderno passava il suo tempo tra fabbriche, garage e brutti edifici tirati su in fretta e furia, bisognava creare delle chiese che fossero simili al mondo che li circondava, in modo che si potessero sentire a casa, senza considerare che questi luoghi non avrebbero potuto suscitare altro che un progressivo allontanamento dalle realtà che si presentavano complementari all' orizzontalità del mondo.
Se si vive circondati dalla bruttezza ovunque, per quale ragione si deve trovare il brutto nel luogo che, per antonomasia, dovrebbe parlarci della bellezza? «La chiesa - scrive Fornaciari - non dovrebbe forse testimoniare la convinzione che l' invisibile esiste e che la liturgia sia una finestra aperta sull' invisibile?... Come Dio ha ordinato il Caos dal Cosmo, creando per prima cosa la Luce, allo stesso modo, per progettare il microcosmo della chiesa, l' architetto dovrà assumere come stella polare il governo della luce, l' energia epifanica che svela l' invisibile; lo spazio liturgico cristiano deve parlare senza esitazione del trionfo della luce sull' oscurità»... (Corriere della Sera)
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