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Scienza di oggi, storie di ieri

Claudio Magris Unsplash
Pubblicato il 03-11-2021

I romanzi non raccolgono la sfida tra umano e non umano

I tanti libri che, ogni giorno, arrivano nelle case di molti di noi sono soprattutto romanzi. Ma i testi spesso più sconcertanti, almeno per il lettore comune, riguardano ricerche, avventure e scoperte delle scienze - delle scienze dure, che stanno indagando realtà e immagini della realtà sino a ieri impensabili e che a molti di noi profani sembrano talora abolire la distinzione fra umano e non umano. Per esempio si legge che Refik Anadol ha trovato il modo, grazie ad un algoritmo, di «catturare le allucinazioni dell'intelligenza artificiale», si ha l'impressione, in un miscuglio di curiosità e di smarrimento, di venire sbalzati in un mondo radicalmente «altro» rispetto a quello in cui eravamo abituati a vivere e a pensare. Certo, le grandi scoperte scientifiche sono state sempre inquietanti, in quanto rivoluzionarie, e in un primo momento talora destabilizzanti. Che la Terra fosse sferica era noto a non pochi anche prima che divenisse una conoscenza generale e definitiva, ma per alcuni dev' essere stata conturbante e inaccettabile, se ancor oggi esiste una Società i cui membri si ostinano a sostenere che la terra sia piatta. Pure la legge di gravità ha cambiato e arricchito l'intelligenza del mondo e della vita, ma non ha sconvolto il rapporto dell'uomo con la natura e con sé stesso. Anche quel vescovo anglicano il quale aveva asserito che l'uomo non sarebbe mai riuscito a volare sarà stato certo sorpreso quando i fratelli Wright lo hanno smentito - e anche indispettito, visto che essi erano suoi figli - ma non turbato nella sua fede in Dio e nell'uomo creato da Dio, capace non solo di pregare e di peccare, ma anche di volare. 

Le allucinazioni dell'intelligenza artificiale che Refik Anadol afferma di aver catturato hanno - almeno per chi non ha profonde conoscenze scientifiche ossia per la maggioranza delle persone - una carica inquietante, perché inducono a non sapere più bene chi e cosa siamo; ci si scopre trasformati, quasi appartenenti ad un'altra specie, come quel personaggio nella Metamorfosi di Kafka che diviene un insetto ripugnante. Si tratta di una radicale, epocale rivoluzione dell'immagine dell'uomo e, come ogni rivelazione culturale, pure questa ha le sue Guardie Rosse estremiste che rischiano di esasperarla sino a farla collassare. È strano che i numerosi romanzi sembrino occuparsi generalmente poco di queste realtà, ricerche, scoperte, ipotesi e illazioni paradossali che stanno cambiando la nostra vita e il nostro senso della vita. In passato sono stati i grandi scrittori, in particolare i narratori, a esprimere e a far capire a cerchie più vaste le trasformazioni radicali del mondo, della società e dell'uomo, traducendole in un nuovo linguaggio. È forse per questo che Raffaele La Capria ha potuto dire che i capolavori narrativi del Novecento sono capolavori falliti ed è questa, come egli fa capire, la loro grandezza, perché si sono tuffati senza remore nel Maelstrom di quella nuova Storia che macinava tutto, dalla politica ai sentimenti al linguaggio e al rapporto con la realtà esterna e con se stessi, con la pluralità dell'Io indissociabile dalla molteplicità dei linguaggi necessari per esprimerla. La scrittura di Victor Hugo nei Miserabili non è diversa da quella dei suoi scritti etico-politici contro Napoleone III, mentre Kafka non avrebbe potuto usare lo stile della Metamorfosi in una testimonianza di solidarietà sociale con uno sciopero di operai. 

L'uomo del sottosuolo di Dostoevskij o l'uomo senza qualità come altri immortali figure della letteratura di ogni lingua e Paese, sono navi la cui verità è affondare, come il Titanic o il Pequod del capitano Achab. In questi anni di pandemia escono molti romanzi, mediocri o notevoli, ma che nella scrittura, nel ritmo, nei temi assomigliano alla narrativa tradizionale degli anni Trenta o Cinquanta, quella contro cui polemizzava il Gruppo '63, e si confrontano raramente con quel fuoco sotterraneo, con quel corto circuito fra l'umano e il non-umano con cui la scienza costringe, anche chi non la studia e non la conosce veramente, a fare i conti. A parte alcune forti eccezioni, oggi non è tanto il prolifico romanzo a vivere e a raccontare l'eruzione vulcanica che illumina e abbaglia il nostro sguardo, ma sono piuttosto altre forme espressive, performances di ogni genere. Dalle classifiche delle vendite di libri, ai premi, ai followers su Facebook, Twitter o Instagram, ciò che conta è il numero delle volte in cui un nome è citato. Quando mi si mostra qualcuno che scrive sullo smartphone ciò che ha mangiato per prima colazione, mi viene in mente, non so perché, una pagina di diario di molti molti anni fa in cui Benedetto Croce scriveva che in quel giorno era venuto a trovarlo «lo scrittore di romanzi Moravia». (Corriere della Sera)

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