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Santo coraggio, sorella astuzia: la resistenza delle suore

CORRIERE DELLA SERA Pixabay
Pubblicato il 16-05-2020

In Veneto le Dorotee salvarono ebrei, partigiani,fuggiaschi.

Un libro di memoria, coraggioso, ardente. Si intitola Le suore della libertà, l’ha scritto Albarosa Ines Bassani, una suora colta, autrice di studi di storia contemporanea, tra le prime due donne nominate dal Papa come Consultore per le cause dei santi. Nel 2017 scrisse, anche allora per l’editore Gaspari di Udine, un drammatico libro, L’altra Caporetto, quel che accadde, un tormento, durante la Grande guerra di là dal Piave. Il nuovo ne è un po’ il seguito: Tra guerra e Resistenza (1940-1945) recita il sottotitolo.

L’autrice ha consultato e raccolto con somma cura un’infinità di lettere, diari inediti, cronache, relazioni, messaggi che le sue consorelle, le Dorotee di Vicenza, inviavano in quegli anni alla Madre generale. Narrano, come racconta la suora nel suo corposo e documentato scritto, storie di bombardamenti su case, scuole, ospedali, ospizi, collegi; danno notizia dell’avanzata degli Alleati, delle atrocità dei nazisti e dei fascisti; raccontano la guerra vissuta e sofferta dalle suore con gli ammalati, i vecchi, i bambini, negli orfanotrofi, nelle carceri, negli asili, nelle scuole.
Le Dorotee, rischiando la vita, nascosero nei loro conventi ebrei, soldati sbandati, prigionieri inglesi fuggiaschi. Le staffette partigiane dall’ampia gonna nera non fecero mancare l’aiuto ai soldati tedeschi e fascisti, malati, feriti: vedevano in loro solo «l’uomo da salvare». Le suore della libertà è soprattutto un libro contro la guerra, la sua ferocia, la sua stupidità. Una lettera dolorante di una giovanissima suora, Anna Celeste Dalla Costa, inviata il 9 maggio 1944 alla Superiora Generale, com’era uso, ne è un po’ il simbolo: «Quanta pena, quanti lutti, quante rovine, quante miserie ha portato questa terribile guerra!... Vedesse, Madre (...) quante scene pietose si presentano dinanzi a noi; quanta fame, quante lacrime vediamo spargersi ogni giorno! (...) È una gran pena l’aumentarsi precipitoso di gente affamata che viene a bussare tutti i momenti alla nostra porta e non poterla sovvenire!...».

Il libro è ricco di fatti, di personaggi generosi e anche perfidi e feroci, di storie che non sembrano vere, specchio spesso appassionato della piccola Italia, la più generosa. «Era come entrare in un film accanto ai protagonisti — racconta l’autrice —, trovarsi in luoghi del passato insieme a persone sconosciute o dimenticate. Ricevere insieme a loro le ansie (...) le paure e le angosce sofferte giorno dopo giorno in quei drammatici lunghi anni di guerra. Le vicende belliche (...) nei racconti delle suore diventavano esperienze reali, vive appassionanti, che coinvolgevano fino alla commozione». Albarosa Ines Bassani non ha letto soltanto lettere, diari, documenti, è riuscita a parlare con le poche testimoni rimaste in vita: suor Casimira e suor Adelina che per mesi nascosero due ebrei scampati alla retata romana del 16 ottobre 1943 e tre donne ebree con i loro bambini.

Cita Nuto Revelli che nel suo La strada del Davai si domanda se abbia senso ritornare su tante brutture, su tante sofferenze. Suor Albarosa si chiede anche lei se sia utile ripercorrere le vite di quelle suore, «fragili e spaventate come gli altri, che diventano protagoniste silenziose di salvataggi di fortuna e si fanno coraggiose e intraprendenti di fronte all’urgenza di salvare persone più deboli di loro». È convinta di sì: a contare è soltanto la memoria scritta che non si smarrisce e può far «capire alle giovani generazioni quale sia il prezzo della libertà e del progresso, il valore della dignità dell’uomo al di sopra delle differenze, l’importanza dei beni che spesso ci capita di sprecare con tanta superficialità». La Casa madre delle suore Dorotee era ed è a Vicenza ma tutto il Veneto è il luogo sanguinante di quegli anni. A Dolo, sede della Casa di Ricovero, suor Urbanina collaboròalungo con la Resistenza. Fu lei, sul finire della guerra, a mandare due sorelle infermiere dove gli Alleati erano arrivati per portar loro una radio ricetrasmittente nascosta sotto garze e siringhe. Fermate dai nazisti si salvarono dicendo che andavano a soccorrere un malato grave. Suor Urbanina ospitò 5 soldati sudafricani, dell’esercito inglese, protestanti, fuggiti da un campo di concentramento. Due di loro restarono nascosti dalle suore per 18 mesi: il 29 aprile 1945 presero parte all’ultima battaglia, dentro il Ricovero, «in mezzo alle suore e agli anziani terrorizzati». Suor Demetria, l’«angelo di San Biagio», come la chiamavano i detenuti delle carceri di Vicenza, faceva la staffetta tra il Comitato di liberazione nazionale e i prigionieri politici. Di cella in cella. Salvò Luisa Arlotti, canossiana, reclusa per aver nascosto e curato dei partigiani feriti, salvò dalla fucilazione un giovane di Asiago e tre studenti universitari in possesso di una radio trasmittente e di lettere compromettenti. Vicenza subì una decina di bombardamenti aerei, Treviso fu martoriata.
Le suore si arrabattano, tra infinite difficoltà, si prodigano con naturale coraggio. Assistono i ragazzi partigiani — una notte erano 7 — davanti ai plotoni di esecuzione nazifascisti, aiutano i poveri abbandonati, muoiono con loro tra le macerie, subiscono continue perquisizioni dei nazisti informati da qualche spia. Una notte — un capo partigiano era nascosto in soffitta — le suore, con le SS che buttano tutto all’aria, si comportano con consumata astuzia — sgranano intanto il rosario — e riescono a salvare sé stesse e il capo partigiano. Ospitano tre ebree, una è una musicista, danno loro in dotazione i vestiti da suora. Cosa non facile indossarli in pochi minuti nel caso di perquisizioni notturne. Li tengono ripiegati su una seggiola: «L’ampia camicia di canapa con le lunghe maniche e la scollatura larghissima che doveva adattarsi al collo con una fettuccia, il fazzolettone triangolare da incrociare, appuntato sopra la scollatura, la cuffietta bianca da notte». Le tre donne si erano tolte con dispiacere la fede matrimoniale sostituendola con l’anello d’argento delle suore. Poi, finalmente, la guerra finisce. La Liberazione, tanto sospirata e sofferta, sembra un sogno. Albarosa Ines Bassani termina il suo libro con queste parole: «Quando si è trattato di scegliere da che parte stare, correndo anche ilrischio della vita, queste suore, sparse in tante parti d’Italia, senza comunicare tra di loro, come guidate da un sesto senso, scelsero di aiutare gli ebrei, i soldati fuggiaschi, i partigiani. La loro, dunque, fu istintivamente una scelta di libertà».

CORRADO STAJANO - Corriere della Sera

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