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San Francesco di Sales: ciò che si dice e si scrive deve essere coerente a ciò che si vive

Francesco Occhetta
Pubblicato il 24-01-2018

La Chiesa fa memoria di Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli scrittori cattolici, per ricordarci che ciò che si dice e si scrive deve essere coerente a ciò che si vive. L’Enciclopedia Garzanti lo definisce così: “Elegante predicatore e prosatore alieno dai toni aspri, abile nell’intrecciare immagini e idee”. La gente lo amava perché si sentiva amata da lui.

La vita di Francesco di Sales è stata intensa e breve, vive solo 55 anni (1567-1622), ma c’è un dettaglio da sottolineare: è allievo dei gesuiti a Parigi da cui impara l’arte del discernimento. Vive un passaggio d’epoca come lo stiamo vivendo noi. È un “uomo ponte” che ha testimoniato la sua fede in un contesto ostile. Davanti ai problemi nuovi che sfidavano la Chiesa e il mondo non ha dato risposte vecchie. Per lui la controriforma cattolica inizia dal recuperare la propria interiorità per “sentire interiormente”. Non ha paura. Scrive (si calcola più di 30.000 lettere), predica (in un contesto calvinista) e parla delle cose di Dio nei colloqui personali.

I contenuti della fede che comunicherà attraverso i “nuovi media” di allora hanno nella la sua crisi di fede del 1587 un momento generativo: è la sua notte oscura in cui per sei settimane non mangia, non dorme, piange, si ammala. Ne esce affidandosi a Dio: “io vi amerò, Signore”.

La sua forza è stata la capacità di accogliere la sua debolezza. Come prete inizia a vivere una serie di sconfitte. Dal pulpito non è ascoltato così decide di pubblicare dei foglietti volanti, simili a dei super tweets del tempo! Li faceva scivolare sotto gli usci delle case o li affiggeva ai muri.

Ai giornalisti lascia il suo testamento: “Vi garantisco che ogni volta che sono ricorso a repliche pungenti, ho dovuto pentirmene. Gli uomini fanno di più per amore e carità che per severità e rigore”

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