Qual è il mio dovere di prete? A colloquio con Maurizio Patriciello
La telefonata di Papa Francesco
Don Maurizio, qualche settimana fa ti è arrivata una telefonata speciale e inaspettata…
Quel giorno è arrivata una telefonata da un numero sconosciuto. Stavamo per metterci a tavola, ed ero tentato di non rispondere. Come ho detto “pronto” il mio interlocutore si è presentato: “Sono Papa Francesco”. È qualcosa che ti toglie il fiato. Non so nemmeno bene cosa ho risposto, se ho detto “Santo Padre” o “Papa Francesco!”. Parlando ha usato la parola “mafia”, e non “camorra”, mostrando di conoscere la mia situazione, il momento particolare che sto vivendo, nel quale sono costretto a vivere sotto scorta. Mi ha detto di non mollare, di andare avanti, di non temere, assicurandomi che lui prega per me e chiedendomi di pregare per lui. La telefonata è durata pochi minuti, ma ti assicuro che ti lascia intontito. Non capita tutti i giorni, né a tutti, che un Papa ti chiami a casa!
Cosa ha significato per te, in questa occasione, sentirti con Papa Francesco?
Per me vuol dire molto; è la dimostrazione che il Papa è informato di ciò che succede nel mondo e in Italia. Con Francesco ci siamo incontrati diverse volte, e abbiamo parlato del problema ambientale.
Come nasce la tua vocazione sacerdotale?
La vita ci riserva sempre grandi sorprese, la mia vita è cambiata tante volte. Io sono entrato in seminario a trent’anni, prima ero capo reparto in ospedale; avevo studiato cinque anni per diventare quello che ero, avevo vinto il concorso al mio paese, e lavoravo in un ospedale a pochi passi da casa mia… . Poi un bel giorno mi sono fermato a dare un passaggio ad un giovane che faceva autostop a Napoli. Era un frate, si chiamava fra Riccardo. Da questo incontro è scaturito tutto quello che è successo, un cambiamento totale! Sono passato da dirigere un reparto in ospedale, un ruolo di grande responsabilità, dove le persone soffrono e muoiono, al seminario, dove…come è normale, dovevo chiedere il permesso anche per andare al negozio davanti per comprare il dentifricio! Ma non mi è pesato per nulla, né le regole né la disciplina, che ritenevo più che giuste; l’unico desiderio era arrivare alla mèta, ad essere un prete.
Sei un prete conosciuto per il tuo impegno sociale, soprattutto per la salvaguardia dell’ambiente e contro le mafie. Non c’è il rischio che prevalga più l’operare per le cause sociali, pur nobilissime, rispetto al ministero della tua vita sacerdotale?
Non puoi immaginare quanto ti sono grato per questa domanda che mi fai! Sono diventato prete da grande, perché sono entrato in seminario a trent’anni. Per anni ho fatto di tutto per “difendermi” da tutto quello che avesse il sapore, anche solo leggermente, di un impegno sociale. Ragionavo così: “io sono un prete e faccio il prete, tu sei il sindaco e fai il sindaco, tu sei carabiniere e fai il carabiniere!” Avevo sposato lo slogan di un mio vecchio vescovo che, parlando dei delinquenti, diceva: “il carabiniere li deve arrestare, il giudice li deve giudicare, il prete li deve convertire”. Infatti, in tutte le lotte mi sono presentato sempre con il clergyman e il mio tau, segno dell’origine francescana della mia vocazione. Una cosa importante: non sono un ambientalista, sono un prete! Alla domanda: “perché fai questo?” La risposta è sempre stata: “per il comandamento che il Signore ci ha dato: amare lui, e il prossimo come noi stessi! Io cerco di amarlo, la mia preghiera non viene mai meno”. Celebro Messa quotidiana con tutto l’amore che posso, a cui unisco quello per il mio prossimo. Se il mio prossimo viene rapinato persino dell’aria, l'elemento più semplice e fondamentale, posso stare in chiesa facendo finta di nulla? Sarebbe un peccato di omissione gravissimo. Possiamo stare anche giorni senza mangiare e senza bere, ma non più di qualche minuto senza respirare! Così è cominciato tutto.
Com’è iniziata la tua avventura qua a Caivano?
Da prete, non ho mai chiesto niente, e non ho nemmeno chiesto di venire in questa parrocchia, così particolare, un quartiere molto difficile, definito “una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa”. Sono stato mandato e sono venuto. Non ho chiesto di venire qua, anche perché i miei gusti letterari vanno in tutt’altra direzione! Mi piace leggere Dostoevskij, Tolstoj, Maritain, amo leggere Peguy! L'immondizia non mi era mai assolutamente interessata! Alla mia prima messa non c’era nessuno, solo qualche amico che mi aveva accompagnato e qualche familiare. Nessun altro. La cosa non mi ha turbato, perché vado dove il Signore mi vuole! Non ho mai scelto nulla, Lui voleva che venissi a fare il parroco in questo quartiere popolare molto povero, dove lo spaccio di droga rende i delinquenti molto ricchi… un peso, una zavorra per questo luogo. Gran parte di questi delinquenti prende anche il reddito di cittadinanza! Non hanno spese, nemmeno la spazzatura, e vivono in case popolari che dentro però sono delle vere regge.
Il reddito di cittadinanza. Cosa ne pensi?
Scrivo per tanti giornali, come Avvenire, ma ho quasi paura di scrivere sul reddito di cittadinanza: per molti è l’unico strumento per mangiare, ma molti ci sguazzano, senza averne diritto. Un tema complesso.
Da dove nasce il tuo interessamento per i problemi ambientali della “terra dei fuochi”?
Dall’abitare qua. Dove da anni c’erano roghi di giorno e di notte, e ormai non si poteva più respirare. La sera non riuscivo a celebrare messa, il fumo invadeva la chiesa. E poi i morti! Ricordo quando è morto Luciano, 16 anni, una leucemia distruttiva, e poi Antonio, morto a 10 anni, e tanti altri. Allora mi sono chiesto: “ma il mio dovere di prete è solo quello di benedire la salma a casa, celebrare il funerale in chiesa, fare l’omelia, consolare i genitori? Il mio dovere finisce là?” Ho cominciato a non credere più che questo bastasse.
Quindi sei passato a dar voce al problema.
Sì, come un qualunque cittadino, ho cominciato a chiedere alle legittime autorità che cosa stesse succedendo nel nostro territorio. E mi son reso conto con meraviglia che stavamo all’anno zero. Io Non ho tanti meriti, ma se ne ho uno è quello di aver intercettato il malessere della gente, dei molti comitati che già esistevano sul territorio, di piccoli gruppi, e di metterli insieme. Così è nato questo coordinamento. Alla prima protesta nel nostro quartiere, con mia grande meraviglia, eravamo cinquantamila persone! Non era per niente facile metterli assieme! La seconda l’abbiamo fatta a Napoli, un sabato pomeriggio, era il 16 novembre, era uggioso, piovigginava, faceva freddo, e nonostante questo sono arrivate centomila persone!
Hai sposato la causa della tua gente, sei diventato un volto autorevole della denuncia e della lotta di un problema grave e importante…
Ho scoperto che l’Italia non aveva una legge sui reati ambientali grazie a un PM amico, calabrese, Federico Bisceglia, morto a 41 anni. Un giorno mi disse: “Padre Maurizio, tu stai facendo una cosa bellissima ma è tutto inutile!” “Perché mi scoraggi?” chiesi. “Perché noi non abbiamo gli strumenti per punire questi delinquenti E loro lo sanno; anche se li arresti in flagranza, al massimo gli puoi fare una multa”. “E cosa ci vuole?” “Dobbiamo chiedere una legge sui reati ambientali”. Mica facile! Con grande vergogna, lo dico col cuore che mi sanguina, ci siamo accorti che in Parlamento giaceva una proposta di legge da 21 anni, un disegno di legge sui reati ambientali, che non veniva mai approvato, perché Confindustria e altri non lo volevano. E’ stata allora rispolverata questa proposta, che poi è stata votata alla Camera.
La Chiesa ti ha da subito sostenuto?
Qui apparteniamo alla diocesi di Aversa, quella di Don Peppino Diana, ma siamo in provincia di Napoli, dove allora c’era il Cardinale Sepe. Dopo essermi rivolto al mio vescovo, una santa persona, monsignor Angelo Spinillo, sono andato da Sepe, che tra l’altro è originario di Carinaro, in questa diocesi. Ho dato la mia disponibilità a stare a capo di questa lotta: “io non ho paura di niente e di nessuno, ma alle spalle ci dovete stare voi, la Chiesa! Io non voglio fare Don Chisciotte o Masaniello!”
Una lotta che ti ha cambiato la vita e ti ha reso conosciuto al grande pubblico.
Mi sono ritrovato ad essere giornalista, scrittore. Ho cominciato a scrivere libri, articoli per Avvenire, ad andare in televisione, a fare i commenti al Vangelo su Rai Uno, a fare lo spot per l’Otto per mille. In questo ci ho visto la volontà di Dio! Davo conforto alle tante mamme che hanno perso un figlio per cancro. Le ho messe insieme e portato la loro testimonianza in giro per l’Italia!
All’inizio di questa storia, però, c’è stato un fatto “poco simpatico”, che ha indignato l’opinione pubblica italiana e non solo. Vissuto nella Prefettura di Napoli. Come ricordi quel momento?
Fu un incidente molto antipatico, perché il Prefetto di Napoli con me fu molto maleducato, umiliandomi. Umiliazione che però ci valse una ricompensa altissima. Evidentemente non voleva si parlasse di certe cose ed ha provato a fermare il mio discorso bruscamente, accusandomi di aver offeso la signora prefetto di Caserta Carmela Pagano. Dietro di me, Lucia, una nostra collaboratrice, a mia insaputa stava riprendendo la scena con il telefonino… (Patriciello presenta la situazione delle terre flagellate da roghi tossici al prefetto di Napoli De Martino e a quello di Caserta, Carmela Pagano, chiamandola semplicemente “signora”, cosa che fa “infuriare” De Martino. N.d.R.)
Fu un momento poco piacevole per te…
Devo essere sincero: c’erano là i sindaci, i rappresentanti della Regione, i carabinieri, la polizia, la finanza: nessuno ha avuto il coraggio di difendermi. Scendendo la scala della Prefettura, mortificato per l’accaduto, dissi a Mauro: non so come, ma questo incidente, questa mortificazione, servirà per la causa per la quale stiamo soffrendo. Poi nel pomeriggio scopro per caso che il video stava su You Tube. Dico: mamma mia, adesso lo vedranno tutti, tutti vedranno questa figuraccia! In serata succede invece il finimondo: tanti giornalisti, anche grandi, come Maurizio Costanzo, Roberto Saviano, Gramellini, che mi chiamano e lo commentano. Il video è stato addirittura tradotto in inglese, e visto anche in America.
Ma poi, con il Prefetto, vi siete più sentiti, c’è stato qualche chiarimento?
Sì, poi ci siamo incontrati. Voleva venire qua in parrocchia a chiedermi scusa, e me lo fece sapere al telefono, una domenica sera, attraverso il suo Capo di Gabinetto. Risposi che non era necessario: “state tranquilli, per me non è successo niente!” provai a minimizzare. “Non è successo niente? Siamo sui giornali di tutto il mondo!” mi ha risposto il mio interlocutore. Gli ho detto che volentieri l’avrei incontrato, ma che non avrei mai permesso che il Prefetto mi venisse a chiedere scusa in parrocchia: sarei andato io in Prefettura, come infatti feci. Non potevo mortificarlo oltre!
Napoli è di fatto la tua città di riferimento. Che periodo attraversa questa splendida e problematica città?
Napoli è bella, è stata la capitale di un grande regno, ha delle bellezze uniche. Napoli è Napoli, ci mancherebbe! Prendo sempre un po’ le distanze, sia da chi descrive Napoli come la città più bella del mondo, sia da chi ne mette in evidenza solo problemi Ma se accendiamo i riflettori solo sulle bellezze di Napoli, sulle sue opere d’arte, sulla sua storia, non siamo onesti, così come pure se, al contrario, evidenziamo solo i problemi di Napoli, del quartiere della Sanità, dei quartieri Spagnoli, della microcriminalità, della camorra che da Cutolo in poi ha fatto tanti morti, non siamo onesti! Napoli, lo dico sempre, ha bisogno di fare pace con se stessa! Se insisto solo sulla parte negativa di Napoli non faccio un bel servizio alla città. Napoli è una città bella e tormentata. È bella perché è bella, c’è poco da fare! Ci si affaccia e si vede il paradiso, il mare, il Vesuvio, le isole sullo sfondo. Ben diverso da Caivano, dove quando mi affaccio al parco Verde vedo solo l’immondezza.
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