societa

Mons. Viola: riprendiamo a incontrarci

Francesco Ognibene Andrea Cova
Pubblicato il 16-06-2020

Raggiungere i fedeli attraverso i vari mezzi di comunicazione è stato molto prezioso

Nella transizione dalla quarantena al recupero di una certa ordinarietà nelle parrocchie c'è molto da tener caro e altrettanto da scoprire, un viaggio nel quale sono impegnate tutte le comunità italiane. Cosa occorra è tema sul quale sta riflettendo anche il vescovo di Tortona Vittorio Francesco Viola.

Molti vescovi hanno sospeso le Messe festive in diretta tv e streaming - lei tra questi -, altri proseguono. Che esperienza è stata?
In questi mesi nei quali non abbiamo potuto radunarci in assemblea la possibilità di raggiungere i fedeli attraverso i vari mezzi di comunicazione è stata molto preziosa. Ci ha permesso di sentirci uniti nell' ascolto della Parola, nella preghiera comune. Abbiamo sperimentato nei momenti più difficili la consolazione del non essere e del non sentirci soli. Ogni giorno abbiamo garantito la trasmissione della Messa e di un momento di preghiera o catechesi: in molti hanno manifestato apprezzamento e gratitudine.

Perché ha scelto di non celebrare più in diretta?
Dal momento in cui abbiamo avuto la possibilità di radunarci attorno all' altare del Signore ho sospeso la trasmissione della celebrazione eucaristica, mantenendo l' appuntamento settimanale della catechesi del mercoledì. Posso comprendere, tuttavia, la scelta di continuare con le dirette a motivo della gradualità della ripresa delle celebrazioni, soprattutto nei territori più colpiti dall' epidemia. Ho sospeso la trasmissione volendo sottolineare la differenza tra la partecipazione all' assemblea liturgica e l' assistere alla sua video- trasmissione. Il celebrare coinvolge la dimensione del corpo, del tempo e dello spazio.

La dinamica della corporeità implica una cosciente presenza fisica nel qui e ora della celebrazione e una compartecipazione che si esprime nel mangiare e nel bere insieme allo stesso banchetto eucaristico. L' assenza fisica dall' assemblea eucaristica permette solo di osservare lo svolgimento rituale da spettatore, limitando la comunicazione al linguaggio visivo e acustico. Oltre che per una significativa riduzione dei linguaggi, è facile intuire che esiste una differenza qualitativa tra lo stare dentro l' evento sacramentale e l' assistere dal di fuori, anche se intenzionalmente, attraverso una mediazione che inevitabilmente ne riduce la realtà. Non ho alcun dubbio che la partecipazione all' assemblea debba essere sempre preferita. Il rischio di accontentarci di qualcos' altro è da evitare.

Cosa va salvato di ciò che le parrocchie hanno sperimentato durante la quarantena?
Anzitutto penso che debba essere custodito il sincero desiderio di fare comunità a partire dalla celebrazione: l' impossibilità di vivere questa dimensione ci ha fatto riscoprire la sua bellezza e la sua importanza, che una certa abitudine non ci permetteva di apprezzare. Ho rilevato, poi, una bella creatività in tante iniziative di annuncio, di preghiera, di carità, di prossimità. Questa esperienza deve essere certamente incrementata.

Che cosa invece va dismesso?
Tutto ciò che non ha saputo custodire il bene assoluto dell' unità: si sono acuite molte divisioni che rivelano non solo le nostre fragilità, ma anche il nostro poco desiderio di unità, dall' insofferenza autoreferenziale per semplici norme di comportamento alla critica non costruttiva e superficiale di tutto e di tutti.

Cosa deve fare una parrocchia per attraversare questo inedito e complicato periodo dopo il lockdown?
Non mi sembra così complicato, sempre che non lo si voglia complicare sbagliando direzione. Basta tornare a incontrarci. Tra le espressioni più infelici di questi giorni c' è quella del "distanziamento sociale". Intendiamoci: manteniamo tutte le distanze di sicurezza con senso di responsabilità. Ma la nostra società ha bisogno di crescere nella verità di relazioni umane che siano espressione di vicinanza all' altro, che non è un nemico ma un fratello.
Siamo mascherati, ma possiamo tornare a guardarci negli occhi. La parrocchia dovrebbe essere il luogo privilegiato dell' incontro con Cristo e con i fratelli.

Cosa ci ha detto il tempo della pandemia, anche a lei come vescovo?
Una cosa è certa: non dobbiamo aver fretta di archiviare questa esperienza. Abbiamo molto da imparare. Accenno a qualche aspetto. Saper dare tempo all' essenziale; riscoprire la priorità della mia relazione con Dio; lasciare che la domanda della sofferenza e della morte interpelli seriamente la mia fede; verificare l' opportunità e l' efficacia delle parole e dei gesti con i quali annuncio la sua Pasqua. E molto altro ancora. (Avvenire)

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