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Lorenzetti dipinge l'Ingresso di Gesù a Gerusalemme di Elvio Lunghi

Elvio Lunghi
Pubblicato il 07-04-2017

Affresco della Basilica Inferiore di San Francesco d'Assisi

È automatico collegare il nome di Giotto agli affreschi di Assisi, però le scene più belle in basilica sono quelle dipinte da Simone Martini alle pareti della cappella di San Martino, e più belli ancora sono gli affreschi con le storie della Passione di Pietro Lorenzetti nel transetto meridionale della chiesa inferiore. Questi ultimi dipinti sono davvero bellissimi, addirittura straordinari. Le storie dell'infanzia di Cristo che Giotto affrescò sulla volta del transetto settentrionale sono caratterizzate dalla ricerca di una bellezza naturale, da ritmi lenti, da architetture perfette nelle loro costruzioni prospettiche.

Vi troviamo figure dotate di una bellezza classica,  più vere della stessa perfezione raggiunta dalla natura, come scriverà su Giotto Boccaccio nel Decameron. Nella crociera sopra l'altare Giotto dipinse le vele con le Virtù francescane e vi ambientò le sue bellissime figure nel mondo del sogno, popolato da simboli e da architetture fiabesche. Il clima, il ritmo, le espressioni, gli stessi toni cromatici: salvo le cornici divisorie che sono le stesse, Pietro Lorenzetti cambiò l'intero repertorio giottesco come prese a dipingere le storie della Passione nel transetto meridionale. Era accaduto che un banale incidente, conseguenza di un acquazzone estivo, aveva costretto Giotto a lasciare Assisi nel luglio 1311.

Dopo qualche tempo il cardinale Napoleone Orsini approfittò dell'attività di Pietro Lorenzetti nella cappella di San Giovanni e lo incaricò di terminare l'opera lasciata interrotta da Giotto. Lorenzetti lo ripagò dando inizio ad Assisi alla pittura moderna, che non nacque dalla competizione tra Cimabue e Giotto, come sostiene Dante nella Commedia, ma tra Giotto e Pietro Lorenzetti. Cimabue e Giotto furono entrambi classici, ma l'uno è "greco" e l'altro "latino". Pietro Lorenzetti è invece del tutto "gotico". È moderno, ha ritmo, è insieme realistico e fantastico: una vera forza della natura.



  Prendiamo l'Ingresso di Gesù a Gerusalemme, prima storia del ciclo. Il racconto è nel Vangelo di Luca. Gesù sale con i suoi discepoli alla città di Gerusalemme. Si fa precedere da due discepoli con l'incarico di trovare un asino. Come lo trovano "lo condussero a Gesù. E rivestito l’asinello con i loro mantelli, vi fecero salire Gesù. Mentre passava, stendevano i loro mantelli per strada. Si avvicinavano all’ascesa del monte degli Ulivi, quando tutta la moltitudine dei discepoli cominciò gioiosa a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi ammirati, gridando: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore! Pace in cielo e gloria nell’empireo!». Alcuni farisei gli dissero dalla calca: «Maestro, riprendi i tuoi discepoli». Ma Egli rispose: «Io vi dico che se essi taceranno, grideranno le pietre!»." (Luca, 19, 28-44).



  Nel dipinto c'è tutto: Gesù a cavallo di un asino, seguito dagli apostoli in doppia fila, accolto da una folla festosa che canta a squarciagola. Giovani e adulti si arrampicano sugli olivi e ne strappano ramoscelli. Innumerevoli fanciulli si spogliano dei mantelli e li stendono a terra. Le pietre delle mura sono decorate da antichi rilievi che si agitano al ritmo del jazz. Ci sono persino gli uccelli che sbattono le ali sopra ogni merlo della porta di Gerusalemme, per manifestare anch'essi la gioia che ha afferrato ogni creatura alla presenza del Dio vivente. Non solo gli uomini, non solo gli animali. Persino le pietre gridano il nome di Dio.

Persino Francesco si commuoveva quando "trovava qualche scritto, di argomento divino o pure anche umano, per via o in casa, a terra, lo raccoglieva con grande riverenza, e lo riponeva in un luogo sacro o almeno decoroso, per riguardo che non vi si trovasse il nome del Signore o altra cosa che lo riguardasse. E una volta a un frate, il quale gli aveva domandato perché mai raccogliesse con tanta diligenza anche gli scritti dei pagani e quelli in cui non era il nome di Dio, rispose: “Figlio mio, perché ivi sono le lettere delle quali si compone il Nome gloriosissimo del Signore Iddio. Del resto quanto vi può essere di bene, non va riferito ai pagani, né agli altri uomini, ma a Dio solo, di cui è ogni bene!” (Vita I, XIX). Naturalmente si trattava di pietre, perché solo nelle lapidi antiche Francesco poteva vedere le scritte dei pagani, per terra o per strada. È il lavoro dell'uomo che viene a completare il cantico delle creature nelle lodi al creatore. 

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