La solidarietà si propaga
Intervista a Claudia Conte
Com’è possibile aiutare dei bambini che hanno visto con i propri occhi per due anni l’orrore della guerra? È la domanda che si pone quotidianamente Claudia Conte, giornalista impegnata per i diritti umani e delle donne. Spinta dal dovere di aiutare concretamente, recentemente ha realizzato un progetto di accoglienza in Italia dei bambini orfani di Kharkiv in collaborazione con l’Associazione La Memoria Viva. L’obiettivo è quello di mostrare a questi bambini che è possibile ricominciare, che il mondo non è fatto solo di crudeltà. C’è tanta bellezza che gli adulti dovrebbero ritrovare grazie alla purezza dei bambini: “la solidarietà c’è, esiste, è forte, è contagiosa e si propaga”.
Claudia, qual è stata la principale motivazione che ti ha spinto ad aprire le porte agli orfani della guerra in Ucraina?
Io sono andata in Ucraina due volte in missione umanitaria con un’associazione che si chiama la Memoria Viva e che ha compiuto quarantacinque missioni dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Portano sostegno ai civili per quanto riguarda beni di prima necessità, medicinali, coperte. È vero che c’è una guerra, ma nessuno parla delle conseguenze devastanti, soprattutto sui bambini. Queste vanno anche oltre i danni evidenti: ci sono le ferite fisiche ma anche i danni psicologici. E soprattutto ci sono i bambini orfani - quelli che sono andata a trovare a dicembre - che sono gli orfani di Mariupol. Abbiamo l’obbligo di non dimenticarli mai. Così abbiamo realizzato un progetto che ha coinvolto i bambini italiani, i quali hanno preparato dei messaggi di solidarietà da consegnare agli orfani di Mariupol: video, letterine, doni. Io sono stata una sorta di “messaggero” portando questo materiale ai bambini, li abbiamo fatti comunicare a distanza. Perché poi è da loro che dovremmo imparare: sono accoglienti, inclusivi, non hanno sentimenti negativi e non sono guidati da interessi economici e di potere. Sono puri, innocenti, e noi dovremmo imparare a guardare il mondo con i loro occhi per imparare a costruire la pace.
Allora è venuta l’idea di portare loro in Italia perché sono bambini che hanno visto l’orrore della guerra, che hanno visto la vendetta, l’odio, la morte, la distruzione. Come possono crescere bambini che hanno visto tutto questo? Noi abbiamo il dovere e la responsabilità di aiutarli a superare questo trauma, di aiutarli a fargli capire che la vita non è solo il male ma c’è un’alternativa, che esiste la bellezza, l’amore, la solidarietà. Quindi il viaggio degli orfani di guerra ucraini in Italia ha questo speciale significato, cioè quello di ridargli la speranza di continuare a vivere e insegnargli che è possibile tornare a vedere il mondo a colori. Così li abbiamo portati al carnevale di Ivrea, accolti dal Presidente Cirio. Pensa che alcuni di questi bambini, under 13, sono disabili, alcuni con sindrome di down e alcuni traumatizzati. Alcuni di loro hanno una maschera fredda, senza sorriso, e questo è molto triste: portarli al carnevale ha risvegliato anche in quelli più difficili un po’ di reazione, di curiosità. Secondo me ci siamo riusciti, già con questo primo evento i bambini si sono divertiti, per un attimo non hanno pensato a tutto quello che di male hanno vissuto, e questo è già un grande risultato. Comunque noi continuiamo, perché non si tratta soltanto di andare al carnevale, si tratta di un viaggio, sia di raccolta fondi - perché tutte le amministrazioni comunali hanno avviato delle raccolte fondi per i bambini - sia per conoscere meglio il nostro paese, ed eventualmente cercare anche delle famiglie che vogliano prenderli in affido. Questa è una possibilità fino a che non terminerà il conflitto.
E ancora, li abbiamo portati alla fabbrica dell’Olivetti, al Museo Egizio di Torino, a breve li porteremo a Coverciano con la FIGC ad assistere all’allenamento della nazionale femminile, li porteremo dal Cardinale Zuppi per consegnargli la colomba della pace disegnata dagli stessi bambini - e lui ci insegna che cosa significa sostenere i bambini, ha fatto tanto con la sua missione di pace come delegato di papa Francesco. Sarà un incontro molto significativo, un momento davvero speciale. Poi andremo a Palazzo Vecchio a Firenze.
Ti va di raccontarci un momento significativo che ti ha toccata particolarmente accaduto durante l’esperienza di accoglienza di questi bambini?
Il bello è che alcuni sono molto affettuosi, poi ognuno è un mondo e ha risposto al dolore in maniera differente. In particolare, c’è una bambina che, durante una conferenza stampa in cui i vigili del fuoco mi hanno dato un riconoscimento, si è seduta in braccio a me ed è stata con me per tutto l’evento nonostante gli altri mi dicessero di farla alzare. È stato bellissimo, mi ha dato ancora più forza e convinzione nel comunicare quello che volevo. Ovviamente lei non capiva la lingua, però in quello starmi accanto mi ha aiutato a comunicare con più forza i messaggi per la pace e di sostegno ai bambini che volevo lanciare, perché noi parliamo di questo.
E poi la mano, insomma, il contatto fisico: cercano molto di stare vicino. Si vede che hanno vissuto il trauma dell’abbandono. Anche quando sono andata via dal carnevale di Ivrea è stato un bel momento. La solidarietà è contagiosa: chiunque chiamiamo dice sì, e spesso non siamo stati noi a chiedere di andare, come nel caso di Gravina a Coverciano, è stato lui a dire “anche noi vogliamo esserci”. Stessa cosa con Dario Nardella e lo stesso Cardinale Zuppi che ha risposto subito positivamente al mio messaggio. Questo per dire che la solidarietà c’è, esiste, è forte, è contagiosa e si propaga.
È molto interessante questo aspetto del contatto fisico che comunque i bambini continuano a cercare. Uno si immagina tutt’altro tipo di conseguenza con il trauma che hanno vissuto.
Sì, anche se non con tutti, con alcuni di loro è così, altri sono quasi impenetrabili. Il fatto di non parlare la stessa lingua non aiuta, però ci sono le interpreti e le educatrici che sono sempre con noi. A dicembre sono stata in Ucraina, all’orfanotrofio dove si trovavano i bambini di Mariupol. Quelli che sono venuti in Italia, invece, sono gli orfani di Kharkiv. In quel caso ti potrei raccontare con ancora più forza il loro stato d’animo: i ragazzi apprezzano tutto. Poiché non hanno nulla, qualsiasi cosa ricevano sono estremamente grati, sono molto educati, nonostante non capiscano rimangono in silenzio e ascoltano. Hanno un modo di fare che lascia senza parole, con grande rispetto, educazione, gratitudine. Loro si rendono conto che li stiamo aiutando, questo anche perché sono ragazzi un po’ più grandi, hanno fino ai 15 anni, mentre per quelli che sono venuti in Italia parliamo di under 13. C’era questo cappellano militare che andava al fronte anche durante i bombardamenti e offriva bellissimi momenti di preghiera. Loro pregano sempre in questo orfanotrofio. E per preghiera non si intende solo la ripetizione delle preghiere, ma un momento di dialogo e di ascolto. Loro si mettono in cerchio, si tengono per mano, ripetono la preghiera nella loro lingua, e poi a turno ognuno di loro esprime il proprio stato d’animo e lo condivide con gli altri bambini e con il cappellano. Si crea così questo momento di dialogo, di condivisione delle proprie sofferenze e speranze. Questo dialogo è bello ed è quello che manca da noi: io credo che ai nostri bambini manchi proprio il dialogo nelle famiglie, nelle scuole. Questo è anche il ruolo della Chiesa: ora c’è sempre di più un allontanamento dalla Chiesa, ma le parrocchie un tempo erano centri educativi importanti, e questo deve tornare. Lo vediamo con esempi positivi come don Coluccia, suor Paola, don Patricello, che sono tanto vicini alle persone e ai giovani. Noi abbiamo bisogno di questo, di esempi di valori, di solidarietà, di altruismo.
All’inizio hai nominato l’Associazione Memoria Viva. Di cosa si occupa e com’è nata l’idea di coinvolgerli in questo progetto di accoglienza dei bambini orfani?
Occupandomi di diritti collaboro con tante associazioni. Quando riconosco che hanno questa grande umanità io mi prodigo, mi piace farlo, sento che ho il dovere di farlo. Così mi sono rivolta all’ambasciata ucraina, perché del loro paese non se ne parlava più, e mi hanno presentato l’Associazione Memoria Viva. È un'associazione piccola che è abituata a lavorare, a mandare volontari e aiutare le persone. Non sono abituati a fare comunicazione, non sono famosi. Qui abbiamo un grande tema: la solidarietà va pubblicizzata o si fa in silenzio? Io credo che le cose belle debbano farsi conoscere - non starei qui a parlarne - perché non si può parlare solo di aspetti negativi, di notizie brutte. Dobbiamo raccontare anche il volto bello dell’Italia, che è l’umanità, la solidarietà, il terzo settore. In Italia ci sono 330mila realtà di terzo settore, tantissimi volontari e donatori: perché non parlarne? Questo è bellissimo, ci rende ancora più orgogliosi di essere italiani. Capisco che fa meno notizia, ma va raccontato anche il lato bello. Tanti colleghi giornalisti preferiscono parlare di notizie che fanno più eco, e invece no, diamo valore a chi si impegna, come in questo caso la Memoria Viva, che lavora in silenzio, fuori dai riflettori. Lo fanno per spirito umanitario, di aiuto concreto. Io ho visto questo in Roberto: lui parte di notte con i tir, passa il confine anche quando ci sono momenti difficili, con le sirene sempre nelle orecchie. Io so che cosa significa, perché ci sono stata. Quando vai in Ucraina c’è un’app che puoi installare e che suona quando ci sono i bombardamenti perché ci si possa nascondere nei bunker. Quando sono rientrata, per tanti giorni ho sentito nelle orecchie le sirene dei bombardamenti, e immagino come possa essere per Roberto e i suoi volontari che sono sempre lì. Sono persone veramente coraggiose, disinteressate e lo fanno soltanto per aiutare, perché non si può fare a meno di aiutare. Per me sono eroi che rischiano la vita.
Nel corso della tua attività a sostegno dei diritti umani ti sei occupata anche di tante altre realtà in ambiti diversi, come nel caso dei diritti delle donne. Ci puoi raccontare qualcuna di queste tue iniziative?
Mi fa piacere raccontare il tema dei migranti. Recentemente sono stata nell’hotspot di Lampedusa insieme all’Unicef con il direttore generale a seguire quello che accade lì, perché non se ne può parlare senza vedere e senza conoscere. Questa è una cosa importante: tanti opinionisti televisivi e colleghi giornalisti parlano senza aver visto e toccato con mano quello che accade lì. Invece io credo che bisogna sempre cercare la verità. Così, andando nell’hotspot abbiamo visto la situazione - ancora ci sono tanti sbarchi - soprattutto per quanto riguarda i migranti minori non accompagnati. Questo è il tema principale: una tutela massima - che ovviamente è anche prevista dalla Convenzione Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che prevede un trattamento di massima tutela nei confronti dei tanti bambini che arrivano nel nostro paese dopo aver fatto un viaggio disperato, a volte vittime di trafficanti. La tratta degli esseri umani purtroppo è una piaga, papa Francesco lo chiama “il crimine più grave commesso nei confronti dell’umanità”. Ci sono queste ragazze che ho conosciuto anche personalmente e di cui sono diventata molto amica. Ad esempio, Joy, che è una ragazza che è stata vittima di tratta, ha subito violenze, aborti, è arrivata nel nostro paese e qui è stata costretta a prostituirsi. In questo caso è stata aiutata dalle suore, da casa Rut, una comunità gestita da suor Rita Giaretta, che aiuta queste ragazze vittime di tratta a livello psicologico per andare avanti. Ovviamente si può solo immaginare come siano devastate delle ragazze che hanno subito tutto questo. È quello che dicevamo prima per i bambini: pensare che la vita va avanti, che è possibile rinascere nonostante il male vissuto, è possibile un nuovo capitolo della propria vita senza dimenticare quello che è stato, però da quello trarre la forza per andare avanti. Joy adesso lavora, studia, ha trovato un fidanzato. Quindi esistono possibilità nuove per tutti, ed è importantissimo il sostegno di realtà del terzo settore. In questo caso anche suor Rita ha fatto un lavoro incredibile e lo fa quotidianamente, senza riflettori puntati.
Quindi mi sono occupata di questo tema e ancora adesso lo facciamo perché c’è ancora un’emergenza. Sono tantissimi i bambini orfani soli nel nostro paese. E anche qui, io ci tengo tanto alla possibilità di incentivare gli affidi familiari, perché i bambini sono anche delle risorse per le famiglie che non possono averne, tante coppie che vorrebbero dei bambini e non possono. Ci sono invece tanti bambini che vorrebbero una mamma e non ce l’hanno. Quindi far combaciare questi desideri può essere un arricchimento per tutti, ma anche per la società stessa perché l’integrazione avviene in maniera più veloce e anche più umana all’interno di un contesto familiare, dove hai la possibilità di avere un amore, un calore perduto. Questo degli affidi familiari secondo me è un tema che dovremmo promuovere di più, perché molti non lo sanno che c’è questa possibilità, non sanno come si fa.
Riguardo al futuro di queste iniziative umanitarie, quali sono le prospettive?
L’impegno è costante, continuo, ed è quasi quotidiano. Ovviamente non dimentichiamo nessuno, quindi cerchiamo di non lasciarli soli. Anche dopo questa missione in Italia continueremo a fare missioni in Ucraina. Parliamo anche di un problema economico che ha quel paese: c’è un’inflazione altissima, i costi dei beni, anche quelli alimentari, sono esorbitanti, non c’è lavoro perché gli uomini sono al fronte e le donne spesso sono con i bambini o con gli anziani. Per cui dobbiamo aiutarli ancora, finché non finisce questo conflitto, ma anche dopo.
Sicuramente adesso ci occuperemo molto anche del tema violenza sulle donne, perché ci sono episodi raccapriccianti ogni giorno. Va bene il decreto legge, il dl femminicidio è stato sicuramente positivo, perché ha rafforzato il codice rosso, è un passo in avanti, è una vicinanza delle istituzioni, però non basta. Io credo tanto nei centri, nelle case famiglia: sono questi che vanno rafforzati e che poi svolgono il ruolo principale, che è quello di accoglienza delle donne, spesso anche con bambini, di supporto psicologico. Quindi io credo tanto nel terzo settore, per me è l’Italia più bella e ognuno di noi può contribuire anche facendo delle donazioni, oppure facendo volontariato. Il volontariato fa bene anche a chi lo fa. A marzo uscirà un mio libro in cui parlo dell’importanza del volontariato per i giovani. Io credo che per i ragazzi, per uscire dal proprio disagio, una soluzione possa essere fare volontariato, quindi capire quelli che sono i veri drammi della vita. Quindi aiuta anche a capire che quelli che pensiamo siano grandissimi problemi in realtà sono nulla. Sviluppi una forma di resilienza. Aiutare gli altri fa bene anche a se stessi.
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