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La monumentale semplicità di San Francesco nel presepe di Ferrigno

Domenico Marcella Ferrigno
Pubblicato il 23-11-2017

La mattina dopo la clamorosa débâcle della Nazionale di Gian Piero Ventura, Marco Ferrigno stava già modellando l’argilla per dar forma a un Gianluigi Buffon in lacrime. Nella sua bottega – al civico 8 di San Gregorio Armeno, la famigerata via dell’arte presepiale napoletana – le rappresentazioni in scala dei personaggi noti convivono armoniosi con gli straordinari manufatti che rievocano i fasti dorati del settecento partenopeo. Come in una scena di piazza affollata da figure di valore antropopaico, da fanti e da santi, scorgendo lo sguardo tra le scenografie create da Ferrigno e dal suo team, oltre alle legittime incursioni di San Gennaro, patrono della città, può capitare di incontrare la statuina semplice e umile di Francesco d’Assisi.

Non è una scelta insolita vero, Marco?
Non lo è affatto. Quando si parla di presepe non si può non citare San Francesco d’Assisi che, nella notte del 24 dicembre del 1223, mise in scena a Greccio, nella valle di Rieti – che tanto gli ricordava Betlemme – una stupefacente rappresentazione della nascita di Cristo.

Sembra proprio che a importare il presepe a Napoli siano stati i frati dell’Ordine francescano.
Esatto. L’evento di Greccio ebbe una grandissima risonanza. Oltre a fondare diversi conventi, i francescani a Napoli emularono l’intuito creativo del santo più rivoluzionario d’Italia, rappresentando la nascita del Redentore con piccole figure.

E Carlo III di Borbone?
Al re che fece di Napoli una grandissima capitale europea, il merito di aver contribuito alla diffusione del presepe durante il Regno delle Due Sicilie. Molti cortigiani – fra i quali Giuseppe Sanmartino, scultore del Cristo Velato – per compiacere il sovrano costruirono scenari cittadini fedeli allo spirito del tempo e all’opulenza di quell’irripetibile momento storico.

Fedele allo spirito del tempo è anche la bottega Ferrigno, presente a San Gregorio Armeno dal 1836.
Operiamo fra tradizione e innovazione, impiegando da 150 anni gli stessi materiali – la terracotta, il legno, il sughero e le rinomate sete di S. Leucio – e guardando ai personaggi del piccolo o del grande schermo, della politica e della musica. Il vero artefice di questa operazione è stato però mio padre Giuseppe, che nel periodo di Mani Pulite, nei primissimi anni Novanta, posò nel presepe la statuina di Antonio Di Pietro. Nacque così il rito del personaggio famoso – che oggi non ha più cadenza annuale ma settimanale – come un pretesto divertente per attirare l’attenzione mediatica e l’interesse dei visitatori.

Il presepe napoletano è la visione onirica di Benino, il pastore dormiente. Cosa ti piacerebbe trasferire dal sogno alla realtà?
La generosità dei personaggi che trovandosi davanti a una famiglia in difficoltà portano in dono qualcosa. Il presepe napoletano ha consegnato alla storia figure molto belle. Il Meravigliato, per esempio, non avendo nulla da offrire, porta alla Madonna la meraviglia. Il mondo sarà meraviglioso fino a quando ci saranno persone ingenue e semplici come lui in grado di meravigliarsi. Un’altro personaggio degno di nota è Stefania, una giovane vergine alla quale era stato impedito dagli angeli – poiché non sposata – di far visita alla Madonna. La fanciulla prese una pietra, l'avvolse in fasce, si finse madre e, ingannando le creature celesti riuscì ad arrivare al cospetto di Maria, aiutandola a superare le fatiche del parto. Il giorno successivo, sulla via del ritorno, la pietra di Stefania starnutì e divenne bambino. Si compì per intercessione della madre di Dio un miracoloso prodigio. Il bambino si chiamò Stefano. Da qui la ricorrenza del 26 dicembre.

Il presepe napoletano è anche custode di storie, leggende, simbologie. Qual è il suo messaggio universale?
Ogni anno ci si riunisce intorno a un tavolo per costruire e allestire il presepe. In questa antichissima tradizione vi è tutta la bellezza dell’affiatamento e dell’unità familiare. Domenico Marcella - Twitter: @dodoclock

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