La felicità come dimensione della cura
Il libro intervista di Otto Kernberg con Manfred Lütz
Un libro-intervista, che non ha nulla di tecnico, e di elitario, e che consente di conoscere cosa sia la psicoterapia, e cosa pensa, cosa immagina, come vive, un grande psicoterapeuta, di matrice kleiniana, Otto Kernberg, in dialogo con uno psicoterapeuta e teologo tedesco, Manfred Lütz. Non posso non dire di avere letto il libro Dottor Kernberg, a cosa serve la psicoterapia? (Raffaello Cortina) non solo con bruciante interesse, ma con passione, che vorrei condividere con lettrici, e lettori, augurandomi di riuscire a farne riemergere gli aspetti tematici di una psicoterapia, che non solo ogni psichiatra, ma anche ogni medico, dovrebbe conoscere. In uno dei primi capitoli Kernberg si chiede cosa sia la psiche, e ne illustra i modi di essere in alcune emblematiche condizioni cliniche. Il suo linguaggio è chiaro, e rigoroso, ci fa conoscere quelle che sono le possibilità, e quelli che sono i limiti, della psicoterapia, dilatandone nondimeno i confini, e giungendo a contestare la forma di vita di politici, come Donald Trump, senza nondimeno formulare una diagnosi, che non si potrebbe fare se non esaminandolo di persona. In un capitolo, dedicato ai rischi della psicoterapia, Kernberg non esita a parlare degli abusi sessuali di sacerdoti, e di psicoterapeuti, e, in questi ultimi, egli dice che il più alto fattore di rischio è causato dalla presenza di disturbi narcisistici di personalità.
Un altro capitolo è dedicato alla terapia farmacologica in psichiatria, e in particolare alla importanza che essa ha nel contesto di esperienze psicotiche, come sono le depressioni bipolari e le schizofrenie, ma non nel contesto di esperienze umane, intessute di tristezza e di malinconia, di male di vivere e di nostalgia ferita, che fanno parte della vita normale. Sì, ancora oggi, quante volte la vita ridesta in noi malinconia, tristezza e talora disperazione, che non nascerebbero solo se il nostro cuore fosse di pietra, e che non hanno bisogno di cura con farmaci antidepressivi, e, semmai, nei casi di particolare sofferenza, di una psicoterapia, illustrata da Kernberg nelle sue articolazioni tematiche, nei suoi orizzonti di senso, e nei suoi limiti. Un intreccio di temi si snoda in un capitolo che il sottotitolo ( L' ateismo, gli scotomi della neurobiologia e una disputa su Dio ) chiarisce nella sua complessità, e che si confronta con la fede religiosa cattolica, molto viva, di Manfred Lütz, e con quella ebraica e inquieta di Otto Kernberg.
Un tema, certo, estraneo a quello della psicoterapia, ma non alla conoscenza della storia della vita di Kernberg, che dedica molte pagine a questo tema, ma che non mi è possibile riassumere. La cosa, che non ha a che fare solo con la teologia, ma con la vita psichica, è invece quella che riguarda le tesi della neurobiologia. Ne stralcio alcune riflessioni: «Dal punto di vista neurobiologico, per esempio, so che da qualche parte c' è una concentrazione di qualche centinaia di migliaia di neuroni che vanno tanto d' accordo e sono così ben organizzati da comunicare attraverso una certa frequenza (che noi possiamo rilevare), realizzando in tal modo la possibilità di avvertire qualcosa. Ma che significato posso dare al fatto che questo sviluppo fisico e biologico dia origine alla vita psichica?» Una questione, alla quale, questo è il pensiero di Kernberg, non è possibile dare una risposta.
A questo capitolo ne segue un altro, struggente, dedicato alla sua infanzia ebraica a Vienna, negli anni della invasione nazionalsocialista, che portò alla annessione dell' Austria alla Germania. Aveva nove anni, quando i tedeschi entravano a Vienna, e undici quando con i suoi genitori emigrava in Cile, e il ricordo di quegli anni rinasce nostalgicamente dalla intervista, nella quale Kernberg parla anche della sua anoressia infantile, e della sua degenza in clinica, che hanno lasciato indelebili tracce nella sua memoria. Da un altro capitolo rinasce il tema di indicibile straziante angoscia dell' Olocausto che ha influenzata la sua visione del mondo. «Mi ha fatto capire che nell' essere umano è insita la capacità di darsi alla distruzione per il puro piacere di distruggere e che è dovere della buona politica evitare che vengano a galla simili forze aggressive; per questo i regimi autoritari, che stimolano questa aggressività sociale, sono pericolosi». Le ideologie, come quella nazionalsocialista, impongono con inaudita violenza la loro visione del mondo, la loro Weltanschauung , distruggendo tutto quello che non si adegua a questa visione. Nell' avviarmi alla conclusione di queste mie riflessioni vorrei dire che dalla intervista riemergono la saggezza, la umanità e la fragilità, la sensibilità e le intuizioni, la tenerezza e la gentilezza, la coscienza etica e il rigore, di questo grande psicoterapeuta, e lo rendono radicalmente estraneo alla freddezza aristocratica e alla distanza emozionale, che contrassegnano altri modi di interpretare e di realizzare una psicoterapia psicoanalitica.
Le ultime pagine della intervista sono dedicate al tema della felicità, che si raggiunge, egli dice, solo quando una relazione, che è la dimensione essenziale della cura, e anzi della vita, si fonda sulla profondità e sulla incandescenza delle emozioni, sulla tenerezza, sulle libere scelte interiori, e sulla concordanza dei paradigmi etici dei valori. Questo, egli dice ancora, è l' amore felice, e questa è una grazia, che ha in sé un elemento religioso: parole che mi sembrano quasi sconfinare in aree mistiche di discorso. Un libro, che (tutti) dovremmo leggere, se vogliamo conoscere cosa sia una psicoterapia delicata e umana, rigorosa e aperta alla relazione, e come in essa confluiscano le esperienze e le conoscenze teoriche, ma anche le ragioni del cuore, di uno psicoterapeuta che, nella sua prima adolescenza, ha conosciuta la solitudine, e la sofferenza, e che non ha dimenticata la importanza delle parole, della scelta delle parole (ci sono parole che curano, e ci sono parole che fanno del male), nello svolgimento di una psicoterapia.
Il libro si confronta anche con gli aspetti teorici e pratici del grande discorso scientifico di Kernberg, e in particolare con l' arcipelago sconfinato dei disturbi di personalità, ai quali nella intervista non è ovviamente data la emblematica evidenza che riemerge dai suoi molti testi che ne hanno testimoniata la celebrità. Ne parla in ogni caso con competenza e passione Vittorio Lingiardi nella bellissima postfazione al libro, consentendoci in particolare di conoscere nella loro originalità e profondità gli studi di Otto Kernberg sulle complesse articolazioni sintomatologiche e diagnostiche dei disturbi di personalità, e sulla loro psicoterapia. (Corriere della Sera)
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