societa

L'autismo raccontato da chi lo vive

Redazione online interris.it
Pubblicato il 23-02-2017

“La prova più difficile era la parola. Potevo sentire, ma non parlare. La parola era ansia. Preferivo chiudermi e non sentire”. In un mondo in cui le parole si sprecano, nel magico mondo di Pier Carlo pesano. Ognuna di essa viene scelta accuratamente, descrive un’emozione, il viaggio interiore che faticosamente ogni giorno porta a galla perché “cupola di vetro sopra laguna ghiacciata è l’autismo chiuso dentro se stesso”. Pier Carlo Morello, 35 enne di Volpago del Montello, in provincia di Treviso, è un “autistico severo”, cosciente di esserlo, che ha deciso di rompere il suo silenzio. “Quando ero piccolo, credevo di non esistere, pensavo di essere la coda della mamma“.

Domare la paura di muoversi, di prendere in mano un giocattolo, delle cose che cambiano di posto, di esistere, era difficile. Ma si ritrova con due genitori tosti, che non mollano di fronte alle difficoltà. Viaggi, mostre, ogni occasione è buona per stimolare l’interesse del figlio. A Pier Carlo qualche volta veniva voglia di gridare: “Lasciatemi in pace“, mentre invece tutti gli chiedevano di parlare. A quattro anni, abbagliato da quella palla rotonda in cielo, dice: “Luna”, collegando per la prima volta una parola a una cosa. A cinque comunica con qualcuno grazie alla determinazione del papà che, racconta, “mi voleva aiutare parlandomi continuamente. Mi diceva: ‘A me gli occhi’ per farmi stare attento. Il gioco mi piaceva e riuscivo a capire le parole”.

All’inizio non sa leggere un libro. Impara tutto a memoria, dalla copertina al prezzo, compreso il codice a barre. Ma sullo schermo scopre che riesce a leggere meglio che su carta: “Cervello autistico nativo digitale è”. E attraverso il digitale libera la sua comunicazione in un modo del tutto particolare, utilizzando la “comunicazione facilitata”. Lui, un computer, e i suoi angeli custodi: Lisa, Emanuela e Laura, tre psicologhe del Centro sperimentale di Padova per i disturbi della comunicazione, diretto dalla neuropsichiatra Vittoria Cristoferi Realdon, che lo rassicurano e lo aiutano a comporre testi. Ma anche suo papà Luciano acquisisce le competenze dei facilitatori.

A questa grande scoperta che gli apre un mondo arriva a 14 anni, in terza media. Prima di allora l’inclusione a scuola è un viaggio in salita. “Sacco di malattia mi portavo in spalla e mi nominavano handicappato. Contavo solo fuori della classe”. La mancanza della parole era un muro difficile da superare. “Gola con lacci impedisce uscita parola richiesta per riuscita scolastica”. Pier Carlo è uscito dalla sua clandestinità, livelli impensabili ha raggiunto. La notizia della sua laurea nel 2014 in Scienze umane e pedagogiche all’Università di Padova, ha fatto il giro d’Italia. Ma ancor di più ha suscitato stupore l’uscita del suo libro: Macchia, autobiografia di un autistico, Salani editore, in cui racconta l’autismo dall’interno, il suo, per aiutare a leggerlo da una prospettiva diversa. Il linguaggio è poesia che diventa canto. Pennellate di immagini impressioniste seducono il lettore. “Forzo il mio scrivere per sfasciare la sicurezza antica dell’autismo. Canto la difficoltà della persona autistica nel comunicare”.

Il suo cammino rimane un percorso ad ostacoli, ma cammina e cerca di farlo bene. Il lavoro sociale che svolge in mezzo ai bambini alla scuola d’infanzia di Venegazzù è per lui difficile ma sente che migliora la sua vita. “Mangio calore nel riso dei bambini” e per loro “sono il maestro del silenzio: non uso parole”. Ho varcato la soglia della sua casa e mi ha fatto entrare nel suo mondo fatto di sguardi fuggevoli. Un caffè e un dolcetto insieme al papà, giusto per conoscerci un po’. Il suo dolce sorriso mi mette subito a mio agio. Le mie domande si perdono nel silenzio ritmato dal lento ticchettio della tastiera. “Il tempo è breve, la scrittura autistica no”. Lettera dopo lettera il suo pensiero prende forma. Macchia esiste...
Intervista completa di Nicoletta Pasqualini su INTERRIS.IT  ...

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