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L'Amazzonia insegna che non si separa l'uomo dalla natura

Redazione Nathalia Segato Unsplash
Pubblicato il 09-03-2021

Viaggiare cambia, perché 'non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo'

Leone viene convinto da sua cugina Nur a intraprendere un viaggio in Amazzonia che metterà in discussione tutte le sue certezze. Viaggiare ti cambia per sempre perché “non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo”, scriveva Anaïs Nin. È la trama di La nuova terra (Guanda, €19), l’ultimo romanzo di Sebastiano Mauri: artista, scrittore e regista di origini italo-argentine, nel 2018 ha vinto il premio Flaiano per il film Favola tratto dall’omonimo libro di Filippo Timi.  Il suo racconto richiama alla memoria i taccuini di Bruce Chatwin, l’altro come in Ryszard Kapuściński.

Accetto i riferimenti anche se non sono stati intenzionali”, racconta Mauri. “Non mi è capitato molte volte nella vita di compiere un viaggio che mi facesse fare un cambio di prospettiva. E’ successo nel 2014, nel momento in cui iniziai a scoprire il mondo della medicina sciamanica, ovvero incontrai le cosiddette ‘piante maestre’ chiamate così perché in grado di veicolare un insegnamento in chi le utilizza. In particolare l’ayahuasca, un decotto psicotropo utilizzato a scopi terapeutici, o il peyote. Nella cultura sciamanica la rivelazione avviene tramite un particolare cerimoniale controllato in cui si ricevono regali-verità da queste piante: basti pensare al curaro, un cocktail di piante utilizzato dalle comunità indigene per uccidere le prede rilassandole. Un altro veleno intossicherebbe chi mangia la carne dell’animale ucciso. Con il curaro invece la morte è per asfissia, l’animale rilassa tutti i muscoli, non c’è traccia di veleno: non è un caso che oggi il curaro venga usato nei nostri ospedali in caso di operazioni. La narrativa amazzonica prevede questo tipo di medicina e lo sciamano è l’unico che può assumere la sostanza: nello stato di trance capisce la malattia e la cura necessaria, e questa cura è sempre disponibile nella farmacia della selva”.

Qual era il nucleo narrativo che andava cercando?

Il romanzo si chiama La nuova terra per via del calendario azteco, il quale prevedeva che il mondo sarebbe finito nel 2019, e nel 2020 sarebbe iniziato un nuovo ciclo”, sorride Mauri. “E in effetti quando è iniziato il 2020 ce ne siamo accorti! In base a questa astrologia, il 2020 avrebbe decretato la fine del segno dei Pesci, il Cristianesimo arcaico ha come simbolo proprio il pesce. Adesso inizia l’era dell’Acquario, un cambio epocale che gli aztechi chiamavano ‘nuova terra’. Ciò che mi interessava, e che ho tentato di inserire nel libro, è il principio dello sciamanesimo, ovvero la necessità di curare se stessi, e continuare a farlo per tutta la vita: ognuno di noi può cadere vittima di dipendenze, di malattie, può intraprendere strade sbagliate: curare se stessi coincide con la cura della Terra”. 

Le immagini più toccanti dell’Amazzonia?

“Ricordo la dedizione, la pazienza degli indigeni nell’aiutare chi si presenta a loro: i regali che si portano indietro sono molto maggiori di quel che ci si possa aspettare. C’è però chi dice che abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno. In Amazzonia i venti creano ‘fiumi’ nel cielo, nuvole umide che rendono la foresta pluviale uno degli ecosistemi più incredibili del pianeta. Ma alcune aziende hanno piantato campi di soia, creato allevamenti intensivi di mucche che stanno distruggendo quel perfetto equilibrio. L’Amazzonia, adesso, non potrebbe essere messa peggio: nel 2020, con le guardie forestali a casa e nessun turista in giro, c’è stato un incremento della deforestazione, i loggers non si sono mai fermati. Un atteggiamento incentivato dal presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, il quale è stato eletto anche grazie a dichiarazioni come ‘Se diventerò presidente, non ci sarà un solo centimetro in più di terra indigena’. È importante sapere invece che le aree sul pianeta che godono ancora di buona salute sono in mano agli indigeni: ne parla anche Noam Chomsky, definito dal New York Times ‘il più importante intellettuale vivente’, in Minuti contati. Crisi climatica e Green New Deal Globale (Ponte alle Grazie)”.

Quali comportamenti dovremmo tenere per aiutare l’Amazzonia?

Ci sono scuole di pensiero diverse. Lo scrittore Joanthan Safran Foer, per esempio, punta tutto sul cambio di abitudini: diminuire il nostro impatto diventando vegetariani o vegani, dunque riducendo le quantità di metano (meno allevamenti intensivi), usando meno acqua, prendendo il tram o la bici. Amitav Ghosh invece suggerisce siano la politica e le comunità a guidare le scelte. Io credo sia tutto questo insieme. L’unico tema di cui parlare è risolvere la catastrofe che sta arrivando, che non è solo climatica, è anche sociale: non arriveranno più poche decine di profughi su gommoni improvvisati ma milioni di persone. Sta già accadendo a Jakarta, accadrà presto a Dacca, in Bangladesh, dove milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. Occorre capire che oggi giustizia sociale ed ecologica sono la stessa cosa. Lo vediamo in questi nuovi lockdown: sono aumentate le concentrazioni di denaro in mano a pochi, a fronte di un impoverimento generale; sono aumentate le community, i like, ma è aumentato l’isolamento. Viviamo nei nostri piccoli cubi di cemento, rischiamo l’alienazione sconnessi dal camminare a contatto con la natura e con gli altri. Forse dopo questa pandemia capiremo che la cura del mondo e la cura di se stessi sono la stessa cosa”.

Quale equilibrio va ricercato con le altre specie, e con se stessi?

Siamo tutti eco-dipendenti e inter-dipendenti. Lo sapevano i greci, lo sanno le religioni. Non puoi fare male alla terra senza fare male a te stesso. In occidente siamo abituati a pensare che la natura sia tutto ciò che è fuori da noi: in Amazzonia, invece, non esiste la natura separata dall’uomo: l’essere umano è parte della natura. Se siamo degli eletti è solo perché ne dovremmo essere custodi, è scritto anche nel Vangelo”. (Huffington Post)

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