societa

Insegna al cuore a vedere

Elisabetta Reguitti
Pubblicato il 28-03-2022

Daniele Cassiole non si nasconde dietro la realtà: "non esiste nessun motivo per accettare la cecità"

Ecco a cosa mira questo libro: sviluppare il nostro senso più potente, la vista interiore, quella che ci fa vedere le cose in tempo e può renderci capaci di leggere e gestire tutte quelle emozioni che ci mettono in difficoltà, che ci rendono veramente ciechi”. 

Con questa parole Daniele Cassioli – cieco dalla nascita, per 25 volte campione del mondo di sci nautico, laureato in fisioterapia, oggi formatore – sintetizza il suo “Insegna al cuore a vedere” scritto con Salvatore Vitellino per DeAgostini Sottotitolo: “Il bello è oltre la superficie delle cose”. 

Precisazione iniziale: l’autore non si prende sul serio; un pericolo sempre dietro l’angolo nel tempo che viviamo dove presunti “guru” spuntano a ogni click di tastiera. “Intendiamoci io non sono un fenomeno men che meno un illuminato – spiega subito Cassioli –, allo stesso tempo voglio condividere i tre ingredienti della mia vita: l’esperienza della cecità, la grammatica della formazione e le lezioni che mi arrivano dallo sport”. 

 

Niente approccio da maestro a allievo quindi: perché noi tutti siamo maestri e allievi di noi stessi “se siamo disposti a guardarci dentro e a non smettere mai di imparare”. Tutti chiamati in causa: incapaci di guardare in faccia le nostre paure che in fondo sono la nostra vera cecità. “Perchè se è vero che nel cuore siamo a volte un po’ ciechi, la cosa più importante, utile e bella, che dovremmo imparare nella vita, tutti, indistintamente, è come si insegna al cuore a vedere”. Il vedersi dentro è un senso universale e per certi versi democratico. Per Daniele la vera contrapposizione non è fra vista e cecità ma “fra chiarezza interiore e cecità interiore. Lì si gioca la partita fra noi e la vita”. 

 

Lo scrittore è affetto da retinite pigmentosa; la frase che riassume ciò che si è sentito ripetere fin da piccolo: “Avrei visto per sempre solo la differenza fra luce e buio, nel buio dei miei occhi”. Poi passa oltre, velocemente dando una chiave di lettura a dir poco convenzionale. “Noi non siamo come oggetti che, se rotti, vanno riparati. Ci sono tanti genitori che confondono il loro amore con il dovere di aggiustare difetti o problemi di un figlio, perché solo così si può essere felici. Ma chi l’ha detto che cancellando la disabilità o gli ostacoli con un colpo di spugna di chirurgia si diventa davvero migliori?”. 

 

Il pensiero di Daniele punta più che altro a: “Accettarlo e farlo vivere al meglio questo figlio”. Il suo è un pensiero esteso verso l’accettazione del proprio corpo e del proprio modo di essere che si rivolge a tutti: anche coloro che soffrono di disturbi alimentari. “Possiamo non essere responsabili del nostro problema, ma siamo sicuramente responsabili della sua soluzione” esorta aggiungendo come per lui sia stato fondamentale passare dai “perché” ai “come”. E ancora colpisce con una frase: “Correggere l’infatuazione smisurata per le nostre idee. Meglio essere arbitri rigorosi che tifosi delle nostre convinzioni”. E aggiunge: “Spesso il disagio causato da un problema dentro di noi finisce per essere decisamente più grande del problema stesso”. 

 

Daniele Cassioli è ironico anche quando spiega il suo “ingresso” nel mondo dello sport iniziato – male – con il calcio e proseguito – decisamente meglio – con lo sci nautico. “Mi dissero che c’era un gruppo che si stava allenando; uno senza mani, uno in carrozzina e uno senza una gamba, manca il cieco e sono al completo”. Era un tempo ancora libero dall’attuale retorica del politicamente corretto. Anche nella definizione oggi impensabile: Federazione italiana sport handicappati; oggi Comitato italiano paralimpico. Daniele descrive perfettamente come è uscito dalla “comfort zone” del vittimismo. “L’atteggiamento viene prima del pensiero è una specie di istinto che orienta l’intenzione, che ti fa vedere i problemi o le soluzioni. E che determina le tue azioni”. Usa molte immagini nel suo libro. Una su tutte: 

 

“Guardate un bambino quando sorride fiducioso al mondo, anche se ha gli occhi chiusi e capirete che spesso sono le scelte degli adulti ad allontanarci dalla felicità”. 

Non si nasconde dietro la realtà assicurando come non esista nessun motivo ragionevole che faccia accettare a un bambino di essere cieco. “Se vuoi trovi sempre un motivo per essere arrabbiato con la vita, per rinfacciare alla vita che non ci ha dato qualcosa che consideriamo fondamentale. Accettarsi non vuol dire rassegnarsi ma saper vedere in fondo al cuore chi siamo davvero, mostrandoci a noi stessi e agli altri con coraggio”.

 

La rabbia che ha conosciuto molto bene nelle diverse fasi della vita ha acquisito un nuovo senso. “Accettandomi profondamente ho imparato a ringraziare per la mia condizione perché se non avessi provato tutta quella rabbia probabilmente non mi sarebbe venuto in mente neppure di scrivere questo loro tanto meno di mettere il mio animo a nudo per vederci dentro assieme a voi – poi prosegue –: Non so come sarebbe stata la vita se avessi potuto vedere. Quel che è certo è che avrei fatto pochissime delle cose che mi trovo a fare da cieco”. 

 

Daniele Cassioli ringrazia anche la sua cecità: tradotto in francescanesimo: sorella cecità.

 

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