societa

Giuseppe Verdi, l’ateo che scriveva di Dio

Antonio Tarallo Ansa - Daniel Dal Zennaro
Pubblicato il 26-01-2022

Il 27 gennaio 1901 moriva il grande compositore italiano

Famoso nel mondo per la sua trilogia: “Rigoletto”; “Il Trovatore” e “La Traviata”, Verdi rappresenta il melodramma italiano, la voce - o meglio la musica - simbolo dell’Italia stessa. Ha varcato le alpi e le piramidi (per usare un’espressione manzoniana), portando la sua musica oltre il confine che poteva immaginare. Verdi e il suo percorso artistico, sempre in continua ricerca, in evoluzione: riesce a passare da un linguaggio ottocentesco come quello del “Nabucco” a un nuovo modo di esprimere la musica, meno legato agli schemi compositivi del cosiddetto “pezzo chiuso” (aria e cabaletta), che lo porterà a comporre opere come “Otello” e “Falstaff” in cui la melodia sembra scorrere in continuum straordinario. La personalità di Giuseppe Verdi è complessa e difficile da catalogare, bisogna dirlo. I grandi non amano le catalogazioni, sicuramente.

E, in questo percorso così affascinante, c’è anche spazio a un Verdi sacro: il compositore pur non avendo una grande inclinazione alle “cose di Dio”, ci ha lasciato - comunque - dei brani di musica sacra che sembrano, davvero, oltrepassare il tempo in cui sono stati scritti. Un ateo che scrive di Dio? Un “mangiapreti” (così era chiamato scherzosamente) che compone melodie, note, che hanno tutto il sapore del Paradiso? Possibile? Eppure chiunque - che abbia fede o no - si accinga all’ascolto di uno solo dei brani di musica sacra non può non sentirsi trasportato in una dimensione che non ha nulla a che fare con l’orizzonte terreno. Miracoli di Dio, solo così si potrebbero definire.

I primi stimoli musicali di Verdi maturarono all’interno dell’ambito sacro: infatti, le prime nozioni di musica le riceve presso la chiesa di San Michele alle Roncole, a pochi passi da casa, a partire dal 1821. E poi c’è il servizio musicale, nella veste di maestro di cappella e organista in quella stessa chiesa, ruolo che mantenne regolarmente fino ai diciotto anni di età. Anche il Santuario della Madonna dei Prati, una chiesa poco distante dalla casa paterna, separata solo da una lunga passeggiata tra giunchi e pioppi nelle campagne della bassa, divenne meta del servizio musicale di Verdi fanciullo. La chiesa ne conserva ancora oggi l’harmonium da lui suonato.

Prime note suonate a Dio, dunque. E non saranno le sole. Verdi, infatti, nella sua vita scriverà: quattro inni dedicati all’Eucarestia dal titolo “Tantum Ergo”, dal famoso inno di San Tommaso; un “Libera me, Domine”, composto per il progettato Requiem per Rossini, ma ripreso e modificato per il Requiem del 1874 (1869); la famosa Messa da requiem (1874) scritta per la morte di Manzoni; un “Pater noster” (1880); l’ “Ave Maria”, volgarizzata da Dante (1880); e, infine, i “Quattro pezzi sacri”. Non poche, quindi, le composizione rivolte a Dio, senza contare le preghiere presenti nelle sue opere: una fra tutte il famoso “Va pensiero” del Nabucco; o ancora “La Vergine degli angeli” de “La forza del destino”.

Giuseppina Strepponi, grande cantante e sua compagna, in una lettera del 1872 scriveva a un amico: “Verdi è una perla d'onest'uomo, capisce e sente ogni delicato ed elevato sentimento, ma con tutto ciò questo brigante si permette d'essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed una calma da bastonarlo. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, ecc. Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: - siete matti !- e sfortunatamente lo dice in buona fede”. Una lettera che ci fa comprendere l’animo di Verdi rispetto alle “cose sacre”.

Eppure quell’animo ha cantato Dio nella sua bellezza. Basterebbe ascoltare una sola nota delle composizioni elencate. Non è un caso, allora, che il suo “Requiem” venne definito “un vero trattato teologico”. Verdi, in questa magnifica composizione, riflette profondamente sul senso della morte e della fede, così come farà - più tardi - nello “Stabat Mater", composto nel 1897, quattro anni prima della morte. Verdi si lasciò attrarre dall’antica sequenza latina scritta da Jacopone da Todi e sul dolore della Madre di Gesù, piangente ai piedi della Croce. La linearità dello “Stabat Mater” trova riscontro in una ricchezza emozionale, ma soprattutto spirituale, che pone idealmente questo lavoro, uno dei più sublimi di Verdi, come il punto di arrivo dell’arte verdiana capace di trasformare le emozioni umane in musica.

Il suo “Te Deum”, è un inno sacro monumentale, caratterizzato da un susseguirsi di situazioni, come Verdi stesso scrisse, di esultanza, contemplazione del Cristo incarnato, invocazione della sua misericordia. In tale capolavoro, nel quale molti intravedono il suo addio alla vita, Verdi sembra quasi voler trattenere quel desiderio di ringraziare Dio per la vita che ci ha dato a cui in ogni momento il testo si riferisce.

Avviene così che in quel suo “In te, Domine, speravi”, affidato a una sola voce di soprano, alla quale si unisce poi tutto il coro in un crescendo, non può che intravedersi “una richiesta dello stesso Verdi di avere speranza e luce nell'ultimo tratto della sua vita” come affermato da Benedetto XVI. Giuseppe Verdi, testimonianza che Dio parla a tutti, anche a chi magari non ha grande confidenza con Lui. Al Signore non interessa, forse, così tanto: Dio cerca il cuore degli uomini, di tutti gli uomini.

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