Francesco nella Maestà di Cimabue
Francesco più volte e in più modi insegnò ai suoi compagni a pregare. Lo fece nella prima Regola presentata a Onorio III e approvata senza bolla (1221): "Tutti i frati, sia chierici sia laici, recitino il divino ufficio, le lodi e le orazioni che devono. I chierici recitino l'ufficio e lo dicano per i vivi e per i morti secondo la consuetudine dei chierici. (...) I laici poi dicano il Credo in Dio e ventiquattro Pater noster con il Gloria al Padre per il mattutino ... ".
Lo fece nella Regola approvata con bolla dallo stesso pontefice (1223), che ripeteva le stesse prescrizioni: l'ufficio per i chierici, i Pater noster per i laici. Lo riferì Tommaso da Celano nella Vita prima (1229), con l'esortazione rivolta ai frati, che non conoscevano l'ufficio liturgico, a ripetere "Quando pregate, dite: Padre nostro! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il Mondo".
Nella Legenda Maior san Bonaventura raccontò come i primi compagni, per essere senza libri "leggevano ininterrottamente, sfogliandolo e risfogliandolo, il libro della croce di Cristo, giorno e notte, istruiti dall’esempio e dalla parola del Padre, che continuamente faceva loro il discorso della croce di Cristo". Come conciliare queste preghiere rivolte al simbolo della croce e all'immagine del Cristo crocifisso e la dedicazione alla Madonna degli Angeli delle chiese frequentate da Francesco? Una spinta decisiva fu presa nel capitolo generale dell'Ordine riunito nel 1269 ad Assisi sotto la direzione di Bonaventura da Bagnoregio: "Nell'anno del Signore 1269 si svolse in Assisi il capitolo generale, nel corso del quale fu presa la decisione di celebrare una messa solenne in onore della Vergine ogni sabato. I frati erano inoltre tenuti a predicare al popolo in onore di Maria, e di salutarla ogni qualvolta udivano il suono della campana di compieta" (Chronica XXIV Generalium).
È questa una delle prime notizie sull'Angelus, una preghiera profondamente radicata nella pietà popolare, ripetuta tre volte al giorno ai tocchi di una campana, all'alba, a mezzogiorno, al tramonto, in ricordo dell'annuncio di un angelo a Maria. In molte delle piccole cappelle rurali frequentate da Francesco e dai suoi primi compagni, oltre alle immagini della croce erano presenti altari dedicati alla Madonna che esponevano statue lignee della Vergine. La chiesa superiore di San Francesco in Assisi e il suo altare maggiore sono dedicati a Maria, ma non si ha notizia di un altare dedicato a Maria, o d'immagini sacre comunitarie in suo onore, nella cripta inferiore dedicata a San Francesco.
Quando, dieci anni più tardi, il capitolo generale tornò a riunirsi ad Assisi, per la Pentecoste 1279, le pareti della tribuna absidale occidentale della chiesa superiore erano state preventivamente decorate con episodi della vita della Vergine e si era dipinta l'immagine monumentale di una Madonna col Bambino, con accanto un ritratto di san Francesco, alle pareti del transetto settentrionale della chiesa inferiore: l'ante quem per i dipinti murali di Cimabue si ricava dagli stemmi Orsini presenti nella vela del San Marco, collegati alla carica di senatore di Roma rivendicata da Niccolò III nel settembre 1278.
La grande Maestà di Cimabue nella chiesa inferiore è posta al centro dei più tardi affreschi di Giotto con episodi dell'infanzia di Cristo. Giotto in realtà non si sovrappose a Cimabue, ma a una precedente decorazione dell'anonimo frescante - il Maestro di San Francesco - al quale spettano i dipinti della navata inferiore, come rivela la decorazione presente nello strombo di una finestra tamponata che illuminava il transetto a ridosso dell'altare con la Maestà di Cimabue. Non c'è una ragione apparente che ne giustifichi la presenza su questa parete. Si è scritto (Irene Hueck) di un altare dedicato a Sant'Antonio di Padova, rammentato in un testamento nell'anno 1300, ipotizzando la presenza di un’immagine di sant'Antonio simmetrica a quella di san Francesco ai lati del trono della Vergine.
In realtà l'altare ospiterà le reliquie di alcuni dei primi compagni di san Francesco e sarà ricordato nei secoli sotto il titolo dell'Immacolata. Ho qualche difficoltà ad accogliere l'ipotesi di una dedicazione originaria a sant'Antonio di Padova; l'anno 1300 erano già state costruite le cappelle della navata, tra le quali ve n'era una dedicata a Sant'Antonio: come si giustifica una Maestà monumentale come modello per una immagine sacra commissionata da un pellegrino in partenza per Roma? Più verosimile è che la Maestà di Cimabue dovesse consentire ai frati di celebrare solennemente l'ufficio sacro in onore di Maria, secondo quanto prescritto da san Bonaventura nel 1269. Cosa sta lì a fare san Francesco? Avalla con la sua silenziosa presenza la devozione verso la Vergine ratificata dal suo biografo Bonaventura: "Angelus Domini nuntiavit Mariae / Et concepit de Spiritu Sancto".
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