societa

Francesco, il cane rabbioso e la cornacchia opportunista

Giorgio Bagnobianchi Archivio fotografico Sacro Convento
Pubblicato il 24-12-2021

Un incontro nella notte di Natale

Francesco, il cane rabbioso e la cornacchia opportunista incontrano, la notte di Natale, Abelardo, Ginevra e il bimbo Ermanno. Nella macchia, al margine delle possenti mura di Assisi, operoso borgo adagiato sul fianco del Subasio, il monte che domina la valle spoletina, soffiava impetuosa e gelida la tramontana nera. Giovanni di Bernardone, chiamato Francesco, risaliva la china, diretto verso la porta sud della città. Vestito con una misera tunica, legata in vita da una rozza corda, portava a tracolla una bisaccia da cui spuntava il manico di un attrezzo da muratore. Francesco era partito, nel pomeriggio, dall’altro estremo di Assisi, dove stava lavorando alla riparazione della chiesetta di San Damiano ormai cadente.

Il giovane vestiva panni non certo adatti alla stagione che inclemente incalzava. Era dicembre, infatti, il 24 dicembre del 1207 e per tutta la giornata la pioggia ghiacciata non aveva lasciato spazio alla candida neve! I calzari di Francesco si impigliavano continuamente tra i rovi che avevano invaso il sentiero costringendolo ad avanzare a testa bassa. Ad un certo punto, però, dovette alzare gli occhi: un cane rabbioso gli sbarrava la strada, ringhiando! Il giovane non si spaventò, non fu intimorito dalle fauci spalancate che mostravano acuti e pericolosi denti, anzi, prese a parlare alla bestia con gentilezza. “Fratello cane hai bisogno di cibo? Hai bisogno di cure?” Il cane, sorpreso dalle parole del viandante, dismise immediatamente il terrifico aspetto e, rabbonito, rispose: “Chi sei tu, che non hai paura di un cane rabbioso? Nessuno ha mai avuto il coraggio di affrontarmi: tutti sono sempre fuggiti via, lasciando a terra le loro bisacce!” Francesco commentò stupito: “… eh così tu fai finta di essere infetto, rabbioso… per sfruttare la paura dei viandanti come, a modo loro, tanti altri briganti fanno nei boschi dell’appennino!?” “Crach, crach, crach proprio così è… e funziona! Funziona sempre! - Gracchiò una cornacchia appollaiata sul basso ramo di una quercia. - Anch’io mi nutro con i resti del cibo abbandonati dal cane!”.

Francesco, sconcertato da questa rivelazione, rifletteva tra sé e sé che anche gli animali, come tanti uomini, ricorrevano all’imbroglio, usando la falsità e la paura, per ottenere ciò che serviva loro! “Fatemi passare… io sono lebbroso, lebbroso per davvero! Io sono veramente infetto!” Nella macchia il sentiero, molto stretto, non avrebbe consentito il passaggio di Abelardo, il lebbroso, senza che venisse a contatto con il giovane. Francesco, invece di farsi da parte, andò incontro al malato e, presa la sua mano, lo aiutò a procedere verso le mura. “Stai andando alla porta di Assisi, nevvero? Da dove vieni?” “Vengo dal lebbrosario – rispose Abelardo – e, hai ben compreso, sto andando alla porta per chiedere la limosina. Questa sera ci sarà la Messa di Natale. Arriveranno tanti cristiani e, se le guardie non mi cacciaranno prima, troverò pure un cristiano che mi darà una monetina. Per pietà, non per paura… da chi prova pietà e non ha paura.” La cornacchia commentò la scena con il cane, a sua volta stupito. “Il giovine è molto coraggioso. Certamente chi prende sottobraccio un lebbroso non è tipo da spaventarsi facilmente! Ora abbiamo capito perché non ha provato timore davanti al tuo aspetto rabbioso!!” Fu così che i due uomini e le due bestie si avviarono verso la porta della città di Assisi. Ad un certo punto del loro cammino, in uno slargo del sentiero, incontrarono una specie di capanna fatta con qualche ramo tagliato di fresco, stecchi secchi e foglie caduche. Sotto quella provvisoria copertura, una giovine allattava un piccolo bimbo.

“Ma voi… voi siete Francesco, il pazzo! - esclamò la donna - C’ero anch’io in piazza quando vi denudaste e lanciaste a vostro padre Bernardone i ricchi abiti costosi che portavate e il Vescovo Guido intervenne a coprirvi! Come vi siete ridotto! … miseramente vestito, al braccio di un lebbroso, accompagnato da un cane randagio e con una cornacchia che svolazza sopra di voi … come a sottolineare la vostra follia!” Francesco sorrise, si avvicinò, accarezzò la testa del bimbo. “Sorella cara - chiese - chi sei? Come si chiama questo neonato che amorevolmente allatti?” Ginevra smise di allattare il piccolo. “Francesco, Francesco - rispose - nessuno ha compreso, in Assisi, la tua scelta, la tua rinuncia ad una vita serena ed agiata. Io, Ginevra di Tristano del Morrone, mi trovo qui, in questo bosco, perché, per salvare la mia vita e la vita del mio piccolo Ermanno, son dovuta fuggire dalla casa coniugale dove venivo picchiata e perseguitata.” Francesco aveva già notato, con l’esperienza che gli veniva dagli anni passati nel fondaco del padre, come gli abiti dalla giovine fossero di buona qualità ancorché sciupati dalle sue precarie condizioni di vita e come, forse pudicamente, nascondesse di esser stata cacciata via, ripudiata! “Sorella Ginevra, stiamo andando verso la porta di Assisi. Lì, poco distante, nella Chiesa di San Pietro, questa sera, l’Abate benedettino celebrerà il rito della Santa Nascita: vuoi venire con noi?” Ginevra acconsentì; coprì Ermanno con il suo velo e prese a seguire Francesco, il lebbroso, il cane e la cornacchia. Mentre il sole tramontava, giungeva dalle mura di Assisi, il suono acuto delle chiarine: il coprifuoco delle scolte armate e vigilanti invitava alla tregua di ogni dolore, alla pace e al bene: “… contro il nemico che l’anima tiene, contro la morte che subita viene!” Quando il gruppo arrivò alla porta, gli armigeri, alla vista di Francesco, del lebbroso e della donna, si posero in grande agitazione: dovevano pur difendere la città, anche dalle infezioni! “Non potete entrare in città! Francesco non costringerci ad usare le alabarde, non puoi introdurre in Assisi questo lebbroso infetto… e questa donna ripudiata: devono restare fuori dalle mura!”

In quel mentre uscì dalla stanza delle sentinelle il caposcolta Alfredo che, incuriositosi alla vista della composita compagnia tenuta a bada dalle lunghe alabarde dei suoi armigeri, chiese alla sentinella che cosa stesse accadendo. “Francesco è proprio pazzo: vuol entrare in città portando seco il lebbroso e la donna…” “Che intenzioni hai, Francesco? - lo apostrofò Alfredo - Tu puoi entrare tranquillamente, ma da solo, anche se sei un po’ pazzo… o, forse, proprio per questo vuoi trasgredire le leggi tirandoti dietro costoro??” “Fratello armigero, vorrei solo assistere alla Santa Messa di Natale nella Chiesa di San Pietro insieme con fratello Abelardo e sorella Ginevra, in pace e con ogni bene, come dice il coprifuoco che le tue scolte hanno appena suonato!” Rispose con voce soave Francesco. La neve, finalmente, prese a cadere copiosa mentre dalla Chiesa giungeva il canto dei monaci benedettini. Alfredo, in un attimo, colse la verità e la fede nelle parole di Francesco. “Fateli restare qui - ordinò alla scolta - sotto l’arco, al coperto dalla neve e abbastanza vicini per poter seguire la Santa Messa.” Fu così che, al riparo della porta, Francesco, Abelardo, Ginevra, il bimbo Ermanno, la cornacchia e il cane non più rabbioso parteciparono alla Messa della notte di Natale. L’abate, Dom Villano, intanto, dall’altare annunciava: “… et Verbum caro factum est et habitavit in nobis!” Le campane della Chiesa di San Pietro presero a suonare a distesa. Gli armigeri si posizionarono con le alabarde ritte in segno di deferenza mentre Francesco meditava sul mistero del Natale.

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