Fra storia e scienza legame di vera cultura
Una lettura storicizzata delle scoperte scientifiche
Anno 1988. Studenti di alcuni licei romani e milanesi tenevano tra le mani un manuale di fisica che trattava di moti terrestri e moti celesti, lavoro ed energia, dinamica e statica, ma anche di Copernico, Newton, Commandino, Eulero. Formule e storia si intrecciavano affinché il funzionamento del mondo si capisse meglio, affinché si delineasse meglio l'Immagine del mondo fisico (così recita il titolo di quel manuale, redatto dal fisico V. Bacciarelli e dallo storico della scienza P. A. Giustini per le edizioni Trevisini). L'acclarata assenza della storia dalla scienza nella manualistica liceale rende un volume come questo alquanto unico. In genere, quando la scienza viene scritta per chi la studia e per chi la fa, sembra non avere storia, priva di line e di sviluppo e di evoluzioni. L'anno 1988 è rappresentativo per capire il clima in cui ancora era immersa l'Italia. Si veniva da un ventennio di controversie su ruolo e uso della storia della scienza. E andando ancora a ritroso, nei primi decenni del Novecento si era ragionato su come si dovesse studiare la scienza, in modo diverso dal sapere umanistico. La riforma della scuola italiana del 1922-23 sposava la prospettiva del filosofo neoidealista Giovanni Gentile, proponendo un metodo ancora oggi diffuso: il discente nelle materie scientifiche non viene edotto sullo sviluppo dei concetti e delle formule di una teoria scientifica, così la scienza si insegna come una tecnica bellissima ed efficace, la cui sostanza non ha bisogno del passato. Il passato è luogo di noiosi sbagli e superati errori. Gentile sosteneva che se proprio dovesse esistere una storia della scienza, essa interesserebbe solo in quanto esposizione dello sviluppo della 'filosofia empirica': la storia della scienza è riducibile alla storia della filosofia.
Negli anni Sessanta il torinese Ludovico Geymonat provò a suggerire un'impostazione alternativa: la storicità della scienza è un fatto storico in sé incontestabile, prodotto dalla nostra cultura; ma la stessa scienza ha storia e sviluppo propri. Ne venne l'opera poderosa che ancora è un punto di riferimento per gli studenti universitari, la Storia del pensiero filosofico e scientifico (197076). Ma già nel volume Filosofia e filosofia della scienza (1960) Geymonat dava corpo a questa visione, riprendendo il filosofo di origine pavese Giulio Preti. Preti non era lontano dalle ide e di Gentile. Non del tutto, almeno. Anche secondo Preti la storia della scienza era al massimo una cronaca di «il vero, il falso e il probabile, il verificato e il confermato», delle biografie di uomini illustri, delle loro scoperte e dei loro errori. Eppure, diceva Preti, la scienza ha prodotto la tecnica, e la tecnica non è un mero ricettario di regole e abilità pratiche. La tecnica traduce prassi, ma anche concetti stratificati e resi forti da cornici culturali più ampie. Per questo motivo Preti proponeva nel- la sua Storia del pensiero scientifico (1957) di guardare la scienza come sviluppo di ide e e concetti ricchi di teoreticità: «Il pensiero scientifico è il quadro di scopi e di regole e valori di verità entro cui sorgono e dal quale traggono significato concreto le singole ricerche scientifiche». Preti vedeva la storia del pensiero scientifico come storia delle tradizioni concettuali: studiarle permetteva di rileggere il passato criticamente. Lo stesso concetto di 'essenza', da natali greci e sviluppi medievali, è occasione per capire quali fossero i criteri euristici e formali o i riferimenti empirici in una certa epoca. Capire tutto questo, significa discernere cosa sia tipicamente di quel tempo e cosa possa fornire stimoli nel nostro tempo. D'altra parte, conoscere scientificamente è un'impresa problematica, soprattutto nella varietà delle scienze.
Lo sosteneva un altro pensatore lombardo, Antonio Banfi, reinterpretando la formula della verità come adaequatio intellectus et rei: nella sintesi tra oggetto e soggetto la conoscenza si realizza e si storicizza. Questo non toglie la possibilità di scorgere nella scienza qualcosa di sovrastorico, un contenuto valido indipendentemente dalle generazioni che lo hanno prodotto, trasformabile e attualizzabile, come dice ancora oggi il filosofo Evandro Agazzi. Il corposo volume dello storico e filosofo della scienza Fabio Minazzi, Epistemologia storico-evolutiva e neo-realismo logico ripercorre questi frangenti di storia della filosofia e della scienza italiana, intessendoli con il lascito di Galileo, Kant e Einstein e mostrandone la sorprendente attualità: se da una parte è irrinunciabile la capacità della scienza a fornire metodi formali ed empirici per teorizzare i suoi contenuti oggettivi, d'altra parte questa razionalità mostra la sua intrinseca storicità. Storicità che non è debolezza, bensì capacità per la scienza di rigenerarsi e adattarsi a novità e scoperte. Ne deriva una scienza luogo di ide e teoretiche e una cultura umanistica mutila quando evita il confronto con la scienza. Ne deriva la visione della conoscenza come unitaria ed espressione di una razionalità aperta e sempre in evoluzione. (Avvenire)
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