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Fra Emanuele Gelmi: Povertà è ingiustizia sociale

Luisa Benevieri Matteo Bazzi - Ansa
Pubblicato il 12-11-2021

La vergogna di chiedere aiuto significa che abbiamo fallito come collettività

«Dobbiamo prenderci cura dei poveri perché è la nostra società che li genera e dunque è compito nostro dare loro una mano» ci dice fra Emanuele Gelmi, OFM e responsabile Centro di accoglienza Caritas “Papa Francesco”, e per cercare di contrastare il fenomeno «è necessario garantire un lavoro dignitoso a più persone».

Qual è il significato della visita del Papa il 12 novembre in Assisi?

Ogni visita che fa Bergoglio ha il senso della vicinanza che vuole dare a un territorio, ma soprattutto alle persone che abitano e vivono quel luogo. Sicuramente c’è una gioia grande per il fatto che torni ad Assisi e per il contesto in cui viene: non si tratta di una ricorrenza religiosa, che sia la festa di san Francesco o il Perdono, e nemmeno per firmare un documento legato allo spirito francescano come ha fatto per la Fratelli tutti l’anno scorso. Questa volta viene in ricordo del quinto anniversario della Giornata Mondiale per i poveri, che proprio il Papa ha voluto fortemente. Assisi è quindi legata, oltre che allo spirito francescano di minorità, allo spirito di accoglienza delle persone povere. È bello il fatto che Bergoglio voglia vivere il ricordo di questa giornata che ha pensato per i più fragili, proprio perché anche san Francesco si è speso per i poveri.

Quanto è importante ricordare la presenza dei poveri nella società? Spesso il nostro benessere ci fa dimenticare molte cose…

Questo lo diceva anche Gesù nel Vangelo: “i poveri li avete sempre con voi” (Mc 14,7). È proprio vero, i poveri ci sono sempre stati nella storia, così come c’è sempre stata la tentazione dell’uomo di nascondere la povertà, non solo perché dà fastidio a livello “estetico” vedere i vagabondi nelle grandi città, ma soprattutto infastidisce perché ti mette davanti al fatto che se tu hai qualcosa in più, che sia un benessere o una ricchezza, chi non ce l’ha ti fa rendere conto che il benessere in cui vivi va condiviso, non è tuo possesso. La povertà va di pari passo con la giustizia sociale, molte volte è frutto di ingiustizie e non solo di scelte personali sbagliate, quindi ricordarci che i poveri ci sono non è un atto buono del ricco che si abbassa verso il povero, ma è una questione di giustizia sociale: dobbiamo prenderci cura dei poveri perché è la nostra società che li genera e dunque è compito nostro dare loro una mano. Benvenga che il Papa ci ricordi la loro presenza, perché sono nostri fratelli!

Il tuo impegno con la Caritas di Assisi che panorama ti offre del territorio in cui agite?

Da frate che vive nella casa di accoglienza nei pressi della stazione di Assisi vedo molti poveri di passaggio. La città non attira solo pellegrini o turisti, ma passano anche molti mendicanti che si fermano qualche giorno nel corso dei loro giri e cercano un alloggio. In questi ultimi due anni, che siano gli effetti della crisi economica –  che ormai va avanti da tanto –  oppure le conseguenze della pandemia, abbiamo aiutato anche numerose persone del territorio. Per esempio persone che avevano una piccola azienda che poi è fallita e, perdendo tutto, avevano bisogno di un alloggio oppure padri separati che tra alimenti da pagare e perdita del lavoro si sono ritrovati a vivere in auto. Quindi vediamo tanta gente di passaggio ma anche persone della zona che quando non hanno più nessuno a cui rivolgersi vengono da noi. Da questo punto di vista possiamo considerarci un territorio di frontiera, un primo contatto prima di arrivare alle Caritas parrocchiali o ai servizi sociali. 

Immagino che ci sia anche vergogna da parte di queste persone nel chiedere un aiuto…

Sono in tanti a manifestare il sentimento della vergogna, ma quando arrivi al punto di dover dormire per strada perché non hai altro, l’orgoglio viene messo da parte, alzi bandiera bianca e chiedi aiuto. Chiedere aiuto non deve essere una vergogna, questo è un fallimento della nostra società: quando si ha bisogno è giusto rivolgersi a qualcuno che può aiutarci in qualche modo. È giusto e normale provare a cavarsela da soli, ma se non si riesce bisogna chiedere aiuto prima che sia troppo tardi. Per mia esperienza vedo tanti individui che arrivano quando ormai hanno toccato il fondo e mi viene da chiedergli «Non potevi venire prima?», la risposta più diffusa è «Pensavo di farcela da solo e avevo vergogna di chiedervi un supporto». Questo ci dimostra come sia difficile anche per le persone che si trovano in difficoltà valutare la situazione: finché non tocchi il fondo non hai il coraggio di alzare lo sguardo e vedere che c’è qualcuno che ti tende la mano.

Nell’ultimo rapporto Caritas, Assisi – insieme ad altre città turistiche – è uno dei focus analizzati.

Il report “Oltre l’ostacolo”, che è stato stilato da poco, cerca di capire, prendendo in analisi città come Assisi, in che maniera la pandemia ha colpito e aumentato le povertà del territorio. La nostra è una città che vive soprattutto di turismo e il fatto che il Covid abbia bloccato tutto ha portato la crisi ad alti livelli, coinvolgendo moltissimi comparti: albergatori, ristoratori, taxi, guide turistiche, trasporti… con un conseguente calo totale del fatturato. Nonostante la ripresa di questa estate siamo ancora nell’incertezza e tanta gente si è rivolta per la prima volta alle Caritas per aiuti concreti: pagamenti delle bollette, affitti, ma anche semplicemente il cibo, perché in molti non avevano più possibilità di comprare da mangiare. Tutto ciò ha portato ad un aumento di quelli che vengono definiti i “nuovi poveri”.

Prima ci hai parlato della povertà come prodotto dell’ingiustizia sociale. Non ci sono soluzioni univoche, ovviamente, soluzioni definitive, ma quale potrebbe essere la strada per una più completa giustizia sociale? 

La prima risposta a questa domanda molto interessante, che meriterebbe di essere approfondita, credo che dovremmo lavorare maggiormente e in maniera migliore per garantire un lavoro dignitoso a più persone. Vedo che la gente chiede un aiuto, ma vorrebbe maggiormente poter lavorare: il lavoro dà dignità all’uomo. Adoperarsi per le persone più fragili, per chi ha una disabilità, in modo da offrire loro l'opportunità di poter lavorare e mantenersi credo che sia la via migliore; ci sono lavori che ti fanno guadagnare poco più di cinquecento euro al mese: come fai a mantenerti? Come paghi l'affitto, le bollette, la spesa? Garantire un lavoro onesto e decente a tutti in maniera regolare è una strada per contrastare l’ingiustizia sociale, altrimenti la società continuerà a produrre sempre più nuovi poveri, individui che non lavorano e sono costretti a rivolgersi all’assistenzialismo, risolvendo solo momentaneamente il problema.

Nel messaggio per la Giornata Mondiale dei poveri, il Santo Padre ammonisce dal rischio dell’elemosina di gratificare chi la compie. Quanto è concreto questo pericolo?

Già nel Vangelo Gesù diceva che chi faceva l'elemosina doveva farla in segreto per ricevere la vera ricompensa del Padre (Mt 6, 3). Quando qualcuno, per grazia di Dio, ha un lavoro che gli permette di avere risorse e aiutare gli altri, c’è il senso di dire “io ho e do a qualcuno che non ha” però serve grande libertà interiore per farlo senza limitarsi alla soddisfazione del gesto. Le persone vanno aiutate non per sentirsi dire un grazie – aspetto che indubbiamente c’è, ma deve essere molto più che secondario –, ma perché  devono essere al centro del gesto di elemosina. Se diamo per farci vedere, allora l’elemosina non ha il senso spirituale che vuole papa Francesco, è solo un ennesimo apparire; penso a quante associazioni, enti o privati che fanno beneficenza per mostrare qualcosa o per scaricare somme dalla dichiarazione dei redditi. L’elemosina deve essere condividere quelle cose che il Signore ti ha dato in più. (Rivista San Francesco - clicca qui per scoprire come abbonarti)

 

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