Caravaggio e la sua 'Conversione di San Paolo'
La conversione di San Paolo. Si festeggia ogni 25 gennaio
“Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare»”.
Atti degli Apostoli, capitolo 9, versi 1-8. Così è la descrizione di uno degli episodi più famosi delle Scritture. La conversione di San Paolo. Si festeggia ogni 25 gennaio, la Chiesa la festeggia in questo giorno. L’episodio è davvero affascinante, sia per il suo aspetto spirituale (una conversione avvenuta così velocemente, solo poteva essere stata opera di Dio); sia per il suo aspetto drammatico (in senso di dramma, azione quindi). Una scena che non poteva non catturare l’immaginazione di uno dei più grandi artisti di tutti i Tempi, che di religione e arte se ne intendeva non poco. Si chiamava Michelangelo Merisi, detto “Caravaggio”.
Su quest’uomo, la cui vita tanto ricorda il “topos” dell’artista “maledetto” novecentesco, si è scritto e detto tanto. E tante leggende su di lui, sono sempre circolate. Ma poche volte si è approfondito il suo lato spirituale che – seppur l’artista ha vissuto certamente una biografia, come dire, poco “edificante” – ha segnato non poco la sua produzione artistica. Chi conosce Roma, è consapevole della enorme vastità e – soprattutto – profondità delle sue opere a sfondo religioso.
Noi, entriamo, per caso (o forse, no) in una delle chiese che circondano Piazza del Popolo: Santa Maria del Popolo. Procediamo per la chiesa, bella e silenziosa. Maestosa e. allo stesso tempo, discreta. E, a un certo punto, ci troviamo nella cappella chiamata “Cerasi”, comprata dalla famiglia Cerasi nel luglio 1600. E’ a sinistra dell’altare maggiore. Siamo di fronte ad esso. Veniamo catturati – e non poteva essere altrimenti – da questa cappella che conserva ben due opere del Caravaggio: “La conversione di San Paolo”, appunto, e “La crocifissione di San Pietro”. Ci soffermiamo sulla prima, visto la festa di oggi, visto l’argomento.
Parliamo di una tela di proporzioni considerevoli: 230x175 cm. Il 24 settembre 1600, Caravaggio fu incaricato da monsignor Tiberio Cerasi di dipingere due quadri che raffigurassero il prodigio della conversione di san Paolo e la crocifissione di san Pietro. Sotto l’attuale dipinto è stata scoperta un'opera completamente diversa. Potrebbe trattarsi di un'opera precedente o, più probabilmente, di una prima elaborazione del soggetto, trasformata poi radicalmente nel corso dell'esecuzione. Il dipinto, infatti, verrà consegnato all’incirca un anno dopo, nel 1601, dopo un precedente rifiuto dell’opera che è stata “letta”, ritrovata dietro al dipinto che oggi noi vediamo.
La luce. Come di consueto, per l’artista lombardo, il “gioco” del quadro è dato dalla luce. O meglio, dalla contrapposizione di questa, con il buio, con l’“assenza della luce”. Drammaticamente è lei, la lux, a dare all’opera una plasticità teatrale che cattura lo spettatore e lo immerge – quasi senza rendersi conto – nella scena. Siamo noi, spettatori di questa e, per far accadere questo prodigio nel prodigio, Caravaggio utilizza la luce con maestria e forza scenica, degna di un dramma shakesperiano. Ma dietro a questo elemento, è importante comprendere come l’artista abbia colto tutta la profondità teologica, presente nella conversione di Saulo. La luce è Cristo, che non compare nella scena.
Non è presente fisicamente. E bisogna ricordare che l’episodio della Scrittura, degli Atti, si inserisce dopo la Resurrezione, dunque, dopo una corporeità del Cristo che non ha più una importanza primaria. E’ la voce che conta. Una voce che esclama: “Io sono Cristo!”. Naturalmente le installazioni artistiche erano all’epoca cosa ben lontana. Suoni e voci a far da “cornice” all’opera era assai complicato e immaginabile. Battute a parte, quella luce, quel cono di luce che “incombe” su Saulo è l’espressione di una voce che è essa stessa, luce. Cattura Paolo, disteso a terra, con le braccia spalancate che se da una parte ricordano una sorta di “resa” di fronte al Signore, dall’altra hanno anche l’aria di essere un “abbandono” alla sua volontà. Altro dato da sottolineare, questo.
Caravaggio, in questa umanità così bene descritta, in quei particolari ben dipinti del cavallo, in quelli dello stalliere posto dietro al cavallo, nell’ombra, in un’ombra che tanto ricorda la vita dello stesso soggetto ritratto, prima della folgorazione della luce, riesce a darci una “lezione” teologica – senza parole – su come Cristo, luce, sia entrato nella vita di questo ebreo ellenizzato, che godeva della cittadinanza romana. Ma, in fondo, grazie a quel quadro, ancora oggi, riesce a parlare ad ognuno di noi, della nostra stessa esperienza con Cristo. In sintesi: dal buio alla luce.
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