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Ai Musei Capitolini di Roma il San Francesco di Zurbarán

Antonio Tarallo De Zurbaran
Pubblicato il 24-03-2022

Voce mistica del ‘600 spagnolo

I grandi capolavori della pittura non hanno tempo e, in fondo, possiamo quasi definirli preghiere “laiche” dove i colori si ergono a versetti biblici e le forme circoscritte sulla tela a litanie pronunciate a fior di labbra. Paragone, o se si vuole - più poeticamente - metafora, un po’ azzardata, forse. Ma non è così se si parla dell’arte pittorica del maestro spagnolo del “Siglo d’oro”, Francisco de Zurbarán, voce mistica del ‘600 iberico.

La tela San Francesco contempla un teschio, uno dei più affascinanti dipinti del formalismo mistico del maestro spagnolo, è per la prima volta a Roma, presso i Musei Capitolini dal 16 marzo al 15 maggio 2022, grazie al prestito dal Saint Louis Art Museum: è questa un’occasione importante non solo per trovarsi di fronte a un San Francesco del tutto eccezionale, ma anche perché può divenire per il pubblico un pretesto per venire a contatto con “la preghiera” di Zurbarán. Una preghiera continua, tutta rivolta al santo d’Assisi e una prova ben evidente di tutto ciò è la molteplicità dei quadri a lui dedicati durante il suo cammino artistico.

Sono, infatti, davvero tanti i capolavori di Zurbarán che vedono il Poverello protagonista. Molto spesso viene colto in meditazione: a volte con le mani giunte e l’immancabile teschio vicino, quasi sempre nelle mani; altre volte - invece - la meditazione del santo d’Assisi sembra aprirsi a una sorta di dialogo-confronto con Dio, espresso in un movimento delle mani che fa pensare più a una dissertazione che a un soliloquio intimista; ma c’è anche spazio - nella “serie francescana” - a un Francesco in levitazione, con dietro un cielo azzurro di una bellezza sconvolgente. In poche parole, il santo francescano sembra per Zurbarán una vera e propria “ossessione” o se vogliamo un leitmotiv sul quale tornare più e più volte.

Il “San Francesco contempla un teschio” visibile in questi giorni a Roma rientra fra queste “note di partitura” ripetute nello stesso spartito pittorico del maestro spagnolo.

Il santo viene raffigurato in piedi, con il saio e il cappuccio alzato che ricopre ben parte del capo; contempla un teschio che tiene tra le mani, stretto a sé quasi gelosamente. L’aspetto severo e monumentale della composizione è accentuato dal forte rigore geometrico, dalla verticalità del cappuccio e delle pieghe della veste che cade dritta fino a terra lasciando intravedere solamente l’estremità delle dita. Il dialogo silenzioso tra il santo e il cranio simboleggia il passaggio dalla vita alla morte alludendo alla fragilità dell’esistenza umana, tema ricorrente nell’arte barocca spagnola e in generale in quella della Controriforma.

Luci e ombre, colori e oscurità: il contrasto tra il bene e il male, tra il peccato e la santità. Uno sfondo scuro e in primo piano la figura del santo proiettano lo spettatore in una sorta di sacra rappresentazione, tipica spagnola. C’è molto della cultura ispanica, infatti, in questa tela così come c’è molto della spiritualità di San Francesco d’Assisi. Zurbarán riesce con quest’opera, ancora una volta, a farci pregare grazie all’arte, espressione eterna del dialogo tra l’uomo e Dio. In fondo, lo aveva espresso bene San Paolo VI: l’artista riesce a “rendere visibile l’invisibile”. E Zurbarán lo sapeva bene. Molto bene.

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