sda-2016

PADRE MAURO GAMBETTI: "SIAMO STANCHI DI SERVIRE IL DEMONE DEL CAPITALISMO"

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Si è svolto questa mattina l'incontro "La casa comune nostra madre terra" alla presenza del custode del Sacro convento di Assisi, padre Mauro Gambetti e di Gian Luca Galletti ministro dell'Ambiente. 

"Ora o mai più un cambio di prospettiva - ha commentato il custode del Sacro convento di Assisi, padre Mauro Gambetti - in special modo il punto di vista inverso appare necessario nel fare impresa e nel fare politica. Avere a questo tavolo i maggiori esponenti del mondo dell'impresa e della politica che stanno cercando strategie diverse, nuove oppure alla ricerca di modelli di sviluppo aziendale e di governo  integrali e compatibili con l'ambiente in genere, mi fa particolarmente piacere [...]. Francesco è abituato a una lettura simbolica della natura dalla quale lui sentiva di dipendere e dalla quale, allo stesso tempo, sentiva di doversi difendere. Ma Francesco non è preoccupato di ottenere il massimo possibile da ciò che lo circonda nonostante avesse necessità più impellenti delle nostre e pur non temendo la fine delle risorse, nonostante questo non sfruttava fino in fondo, non prendeva tutto quello che poteva. [...] Francesco davanti alle creature assume un atteggiamento di rispetto proprio di chi riconosce di aver ricevuto un dono, è un dono la realtà che ci circonda e come tale non è proprietà di qualcuno è di tutti, o meglio è per tutti. Un insegnamento profondo [...].  Francesco ha compreso che la realtà è un'espressione d'amore, l'ambiente è il memoriale di quanto siamo amati, per questo non la violo ma la rispetto, la amo, la custodisco. Sono questi i prodromi di quello che oggi chiamiamo sviluppo sostenibile [...]. Nell'impresa è arrivato il momento di togliere, di cancellare il paradigma del capitalismo deviato quanto meno che è il profitto. Il dono parte da una logica opposta".  

INTERVENTO DI CLAUDIO DESCALZI, AMMINISTRATORE DELEGATO DI ENI ITALIA 
Oggi nel mondo vediamo grandi differenze. Un “Nord” ed un “Sud” che vivono profondissimi divari e molte contraddizioni. Siamo 7 miliardi di persone, ma l’82% è concentrato in Paesi Non-Ocse, che hanno un PIL medio di circa 5.000$ pro capite. 1.3 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica, più o meno metà in Africa e metà in Far East. 2.6 miliardi di persone usano biomasse per cucinare rischiando gravi danni alla salute. L’OMS ha denunciato che circa 4,3 milioni di persone muoiono a causa dell’inquinamento domestico provocato dall’uso di stufe a carbone o biomasse. La vera contraddizione è che in questi Paesi si concentrano circa l’85/90% delle risorse energetiche mondiali, un volano di potenziale ricchezza per i Paesi in via di sviluppo. Al contrario nei Paesi OCSE vive meno del 20% della popolazione con un PIL medio pro-capite pari a più di 7 volte il PIL dei Paesi non OCSE nonostante detengano solo il 10/15% delle risorse mondiali. Perché esistono queste contraddizioni? Perché nel passato i modelli economico-politici hanno avuto una logica di breve termine, senza occuparsi di ciò che sarebbe potuto accadere nel lungo termine. La logica del profitto di breve termine per secoli ci ha portato relazioni commerciali che hanno permesso l’industrializzazione dei Paesi occidentali, utilizzando in gran parte le materie prime dei Paesi sottosviluppati. Da questa relazione ne è nato un divario sempre crescente tra i Paesi occidentali, che abbiamo chiamato “Nord” ed i Paesi sottosviluppati, il “Sud” del Mondo. Oggi però questo trend ha portato ad una situazione che mette in luce tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni; anche chi si sentiva “forte”, si è ritrovato improvvisamente debole e senza controllo della situazione. Pensiamo all’ Europa dove esiste già un divario, un Nord e sud Europa con condizioni di vita diverse; ma questa tendenza è ancora più accentuata se confrontiamo l’Europa con l’Africa. Le conseguenze di questi squilibri sono fenomeni che colpiscono tutti: le tensioni geopolitiche, i flussi migratori, i fenomeni di terrorismo che si radicalizzano proprio in aree di povertà e sottosviluppo. E’ la ragione della cosiddetta “guerra mondiale a pezzi”, che non può dare futuro a nessuno. La sete di pace infatti è sete di sviluppo. E’ la sete di futuro, sete di essere riconosciuti per quello che facciamo e non facciamo, è sete di pari opportunità, di una prospettiva che includa tutti. Il riconoscerci deboli ci deve aiutare però a ripartire, non ragionando più in un’ottica individualista ma vivendo nella “nostra casa comune”, ben consapevoli che se non creo futuro per gli altri non avrò futuro neanche io. La casa comune non è un concetto statico. È una partecipazione collettiva, vuol dire rispettare le diversità e svilupparle sapendole ascoltare ed includendole. Per puntare ad una situazione di maggiore equilibrio sia dal punto di vista economico che politico, bisogna quindi agire in un’ottica di lungo-termine, che si basi sullo sviluppo delle risorse locali per i mercati domestici, pensando anche a chi verrà dopo di noi e puntando ad un ritmo di crescita che aiuti i Paesi sottosviluppati.

A tal fine, la vera sfida è da un lato quella di soddisfare il crescente fabbisogno energetico, permettendo soprattutto l’accesso all’energia nei paesi più poveri e, dall’altro, di ridurre l’impatto ambientale, puntando sulle tecnologie, sullo sviluppo locale  e sulla diversificazione industriale. E’ essenziale che si rimodulino le nostre aspettative di crescita per supportare i Paesi non OCSE creando così le condizioni per uno sviluppo egualitario che rispetti l’uomo e l’ambiente e coniughi le esigenze di lotta alla fame, miglioramento delle condizioni di salute, accesso all’acqua ed all’energia con gli impegni di decarbonizzazione. Cosa può fare il settore privato? Il settore privato deve svolgere un ruolo cruciale come motore di sviluppo, bilanciando obiettivi di business e crescita socio-economica locale, in ottica di lungo termine. In Africa Eni ad esempio è riuscita in parte a mettere in pratica questo modo di agire. Il nostro modello è basato proprio sul principio di cooperazione e sviluppo in un’ottica di lungo termine delle realtà in cui operiamo.  Il nostro ingresso in Africa è stato infatti tardivo rispetto agli altri attori ed eravamo in condizioni di debolezza. Per questo abbiamo fatto qualcosa in più, prestando attenzione ai bisogni locali ed investendo nel territorio e questo è diventato il nostro punto di forza.

[…] Dal punto di vista ambientale, il nostro impegno nella lotta al cambiamento climatico è prioritario. Crediamo fermamente che ci sia bisogno di mettere in campo azioni concrete per contenere il surriscaldamento globale entro i 2°C rispetto all’era pre-industriale per non creare danni irreversibili all’ambiente. È questo un impegno preso a Parigi alla COP21 da 195 Paesi per rispettare il quale anche noi, come Eni, stiamo facendo il massimo, puntando a ridurre le nostre emissioni unitarie al 2025 del 43% rispetto al 2014. Il rispetto dei diritti umani e la nostra attenzione ai bisogni delle persone sono alla base della nostra strategia che si fonda sul principio per cui, per creare valore nel lungo termine, dobbiamo essere disposti a diventare un po’ più “deboli”, oggi facendo crescere i nostri partner, consapevoli che questo è l’unico modo per essere tutti più “forti”, insieme.


Il direttore country Italia di Enel, Carlo Tamburi, intervenendo al convegno "La casa comune: nostra madre terra" organizzato ad Assisi in occasione dell'incontro internazionale "Sete di pace", ha sottolineato l’importanza del processo - da tempo avviato in Enel - di integrare pienamente nel business i principi della sostenibilità economica, sociale e ambientale per procedere verso un mondo a zero emissioni, che non è uno slogan ma un risultato possibile e un obiettivo raggiungibile coniugando innovazione tecnologica, lungimiranza nella creazione di valore e responsabilità aziendale.

 

“C’è molto da lavorare – ha detto Tamburi – ma ritengo sia importante partire da quanto abbiamo già fatto per la sostenibilità, che non è un’operazione di marketing ma un vero e proprio cambio di paradigma che in Enel è avvenuto da anni e ha consentito di dare un vero e proprio impulso allo sviluppo delle rinnovabili. Enel è leader nel mondo nel settore e ha l’obiettivo di raggiungere una produzione carbon free, senza emissione di CO2, entro il 2050. Per far questo, però, non dobbiamo limitarci agli annunci ma avere coerenza ed essere ancorati alla realtà, strada che come Enel stiamo percorrendo: affinché sia possibile arrivare a una produzione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili, dobbiamo proseguire nell’innovazione tecnologica che dovrà consentire di immagazzinare l’energia, cosa che oggi è possibile solo parzialmente. Per questo, stiamo lavorando sulla ricerca per lo sviluppo di batterie, accumulatori e sistemi innovativi di stoccaggio dell’elettricità.

Profitto e creazione di valore non devono e non possono essere concetti in antitesi, perché lo sviluppo o sarà sostenibile o non sarà: nel lungo termine il profitto, slegato dalla sostenibilità, verrà meno perché non sarà più compatibile con le società moderne e con l’innovazione tecnologica. Ecco perché è fondamentale il concetto di Creating Shared Value, creazione di valore condiviso, in quanto il valore ormai non può essere solo per l’imprenditore, per l’azienda e per i suoi azionisti, ma deve essere condiviso con le comunità e con tutti i soggetti, economici e sociali, del territorio in cui si opera. Enel, oltre ad avere un progetto in partnership con l’ONU per dare accesso all'elettricità a più di 3 milioni di persone in vari paesi del Mondo e anche per favorire l’accesso all’istruzione e alla cultura, agisce proprio nell’ottica del Creating Shared Value. Un approccio che ci ha permesso di diventare nel giro di pochi anni leader internazionali nella produzione da fonte rinnovabile, ma anche di connettere alla rete elettrica italiana più di 600mila piccoli produttori da fonte rinnovabile grazie a un elevato livello di innovazione tecnologica della rete elettrica, le cosiddette smart grids che sono un elemento di sostenibilità, così come di muovere per primi passi importanti nel mondo della mobilità elettrica da cui non possiamo prescindere se parliamo di sostenibilità. Noi riteniamo – ha concluso Tamburi – che, nell’ottica del rispetto dell’ambiente ma anche della tutela del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese e della promozione di uno sviluppo sempre più ecosostenibile, la mobilità elettrica sia elemento centrale: abbiamo già installato centinaia di colonnine per la ricarica dei mezzi elettrici in molte città italiane grazie alla collaborazione con le Istituzioni e stiamo lavorando, in partnership con Università, soggetti istituzionali e case automobilistiche, per un grande progetto che possa dotare l’intero territorio nazionale, comprese le grandi arterie di comunicazione, di infrastrutture adeguate allo sviluppo definitivo della mobilità elettrica”.

 

L’Umbria, in questo senso, costituisce un esempio virtuoso grazie al protocollo tra Regione, Enel e 16 Comuni che ha reso possibile l’installazione di più di 50 colonnine per la ricarica dei mezzi elettrici in territori di grande pregio artistico e ambientale. Assisi e il territorio regionale umbro, terra di pace, di bellezze ambientali e artistiche e di innovazione, possono essere laboratorio per uno sviluppo sostenibile e per un mondo a zero emissioni, nelle parole e nei fatti.

 

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