Volare con San Giuseppe da Copertino
L’Università è alle porte. E anche le scuole stanno aprendo, in tutta Italia, con i loro bambini e famiglie al seguito. Un numero considerevole di volti, visi festanti. Un respiro che inonda l’Italia, davvero speciale.
È bellissimo vedere tutto questo proliferare di vita, non c’è che dire. Un rifiorire di splendenti volti e visi che sono la speranza di un futuro di cui si scorgono i primi bagliori di luce, proprio a prima mattina, quando i genitori accompagnano i bambini a scuola, e l'aria si tinge di festa. Non è il "sabato nel villaggio", di leopardiana memoria, bensì potremmo definirlo simpaticamente "l'inizio della settimana del villaggio". Speriamo che Leopardi, non ce ne vorrà.
E chissà – la domanda è più che lecita vista la festività di oggi – se tutta questa fiumana di gente, andando alla volta degli “edifici scolastici” (così il termine tanto in uso, una volta), proprio oggi, penseranno a San Giuseppe da Copertino? Perché? Ebbene, San Giuseppe da Copertino, oltre ad essere patrono degli aviatori, è anche il patrono degli studenti.
Ma perché questo santo viene invocato dagli studenti? San Giuseppe da Copertino, ordinato sacerdote, e frate dell'ordine francescano, non tanto brillante nello studio, riuscì a superare con un risultato più che prodigioso, i suoi studi. In estrema sintesi, questo il motivo delle invocazioni degli studenti, proprio a lui.
Giuseppe Maria Desa, figlio di Felice Desa e di Franceschina, nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il padre, maestro nella fabbricazione dei carri, era persona di fiducia dei signori locali, che a Copertino possedevano un castello; aveva sposato Franceschina di famiglia benestante, industriosa e pia. Poi il padre Felice, per fare un favore ad un amico, fece da garante per un affare di mille ducati; a seguito del fallimento dell’amico, Felice fu denunciato e perse la causa. Dovette vendere la casa e perse il lavoro, finendo in miseria con tutta la famiglia. Proprio quando stava per nascere il sesto figlio Giuseppe, andarono ad abitare in una stalla dove vide la luce il futuro santo francescano. La stalla, forse presagio di una vita dedicata a Dio. Il luogo così caro a Francesco da Assisi, tanto da ispirargli il famoso presepe di Greccio. Luogo di umiltà assoluta. È l’umiltà francescana.
“Boccaperta”, questo il nominativo attribuitogli da tutto il paese, per la sua abituale distrazione. Si definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente logico, per il non sapere maneggiare bene gli oggetti. Ma questo non scalfì il suo desiderio di imparare. Eppure, nel corso della sua vita, ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace. Un professore dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”. Ad un grande teologo francescano che chiedeva come conciliare gli studi con la semplicità del francescanesimo, rispose: “Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba”. Possedeva il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”; amava i poveri, alzava la voce contro gli abusi dei potenti, ai compiti propri del sacerdote, univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del convento, coltivava l’orto e usciva umilmente per la questua.
Ma San Giuseppe è famoso anche per i suoi “voli”. Ebbene sì, non quelli pindarici del ragionamento, non quelli filosofici, ma del proprio corpo che – in estasi – si elevava verso il Cielo. Voler catturare un frammento di Paradiso, per poi riportarlo giù, su questa terra. In umiltà e fraternità.
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