Una insolita immagine dell'Immacolata a Manduria
Nella chiesa di San Francesco di Manduria è possibile ammirare un’insolita rappresentazione del mistero del’Immacolato Concepimento di Maria. È il tipo iconografico riprodotto nella statua lignea, di fattura napoletana, che raffigura l’Immacolata Concezione, collocata nella nicchia che sovrasta l’altare omonimo, ricostruito in marmo nel 1700 dalla nobildonna Marianna Corcioli Giannuzzi, le cui imprese araldiche campeggiano ai due lati.
La rappresentazione del soggetto è diversa da quelle consuete: la figura di Maria sorge sul globo terracqueo circondato dalla falce lunare rovesciata e, insidiata dal serpente, non è lei a schiacciarlo, a tanto provvede il Bambino Gesù, colto nell’atto di trafiggere il tentatore con una lancia d’argento. La particolare immagine mariana, teologicamente molto significativa e profonda, ha –come diremo in seguito- precedenti artistici illustri, trovando qualche corrispondenza, addirittura, in una celebre opera pittorica di Caravaggio.
Ma, partiamo dal suo significato teologico. All’origine, questo tipo di iconografia mariana prendeva le mosse, secondo molti studiosi, da uno dei temi del plurisecolare dibattito sull’Immacolata Concezione. Il tema riguardava l’intepretazione del noto passo biblico (di Genesi, II, 15) «Ipsa conteret caput tuum» sul quale era sorto un forte contrasto tra cattolici e protestanti: gli uni leggevano “Ipsa” e vedevano nella parola un chiaro riferimento alla Madonna che direttamente, per i suoi propri meriti, avrebbe schiacciato la testa del serpente; gli altri invece leggevano “Ipse” e in tal modo, riferendo il termine al Figlio, affermavano che il serpente sarebbe stato schiacciato si da Maria, ma attraverso l’opera mediatrice di Gesù.
Tradotta in immagine artistica, l’interpretazione del passo biblico fu che Gesù avesse aiutato Maria a schiacciare il serpente e, di conseguenza, ecco l’origine di questa più rara iconografia dell’Immacolata che prevede la contemporanea presenza della Madonna e di Gesù Bambino (e non solo della prima), con ben tre varianti. In una prima, più vicina all’immagine tradizionale, il Bambino poggia il piede su quello di Maria e preme, insieme alla Madre, per calcare la testa dell’animale: in questo modello è sempre il piede della Vergine a toccare e a schiacciare il serpente (quello di Gesù è poggiato sopra il piede della Madre). Nella seconda, che è una via di mezzo tra la prima e la terza, Maria, con il proprio piede, su cui è poggiato quello del Figlio, preme il capo del serpente. Questo, però, viene, nel contempo, anche trafitto dal Bambino Gesù. Nella terza, ancora più scrupolosa ed osservante ma più rara, è il Bambino che da solo sopprime il maligno schiaccianodogli il capo con il suo piede o, in altri casi, infilzandolo con una lancia. La Madonna, invece, assiste all’azione ma non vi prende parte.
Orbene, la statua dell’Immacolata della chiesa dei Frati minori di Manduria aderisce proprio a quest’ultimo modello iconografico (il terzo) e intende significare, in modo anche abbastanza esplicito, che la Vergine Immacolata ha trionfato sul serpente per meriti propri e, soprattutto, del suo divino frutto, ossia Gesù. Tornando invece ai precedenti artistici illustri che si possono annoverare per questo tipo di iconografia mariana, occorre dire che uno dei primi in assoluto sembra essere la pala della Madonna del serpe del lombardo Ambrogio Figino (nell’oratorio dell’Immacolata presso Sant’Antonio Abate a Milano), alla quale in modo più o meno diretto si sarebbe ispirato Michelangelo Merisi (Caravaggio) per la celebre opera omonima, nota anche come Madonna dei Palafrenieri (ora a Roma, nella Galleria Borghese).
In entrambe le opere, la Madonna è rappresentata secondo la prima versione, mentre schiaccia la testa del serpente con il piede, sul quale è poggiato, ad adiuvandum, il piedino del Bambino. Diverso, e rientrante nel secondo modello iconografico (che abbiamo definito indermedio), è quello seguito da Carlo Maratta nella pala dipinta nel 1671 per la chiesa degli agostiniani a Siena: la Madonna con la testa adornata da una corona di dodici stelle (simbolo delle dodici tribù di Israele) è seduta sull’orbe terracqueo e sempre con il proprio piede, su cui è poggiato quello del Figlio, preme il capo del serpente. Questo, però, viene anche trafitto dal Bambino Gesù, che è posto a fianco alla Vergine, per mezzo di una lunga lancia. Com’è possibile vedere, il modello iconografico del Maratta è molto vicino a quello della statua manduriana.
In quest’ultima, però, la Vergine ha i piedi poggiati sul globo terrestre e non toccano il serpente (che viene soppresso soltanto da Gesù Bambino con una lancia argentea). Invece, una soluzione iconografica quasi identica a quella della cittadina salentina è la statua in marmo realizzata dallo scultore fiammingo Artus Quellinus il Vecchio (1609-1668): in quest’ultima il Bambino è rappresentato accanto alla Madre e infilza il serpente con un’asta crociata. In ogni caso, l’intervento dei frati minori di Manduria nel dibattito teologico aperto dalla Riforma protestante non era nuovo ma aveva avuto un precedente: infatti la serie dei diciotto busti-reliquiari di santi, diposti ai due lati dell’altare maggiore in adorazione del SS. Sacramento (rappresentato dal monogramma IHS), era stata realizzata in contrapposizione con il mondo protestante, che si opponeva al culto dei Santi e dell'Eucarestia.
Allo stesso modo, anche la singolare raffigurazione scultorea dell’Immacolata verrebbe a porsi in questo solco, a confutazione delle tesi negatrici del ruolo affidato a Maria nella missione salvifica della Chiesa. Resta comunque il fatto che essa rappresenta una soluzione piuttosto ardita per le esigenze ed i gusti di una committenza che dimorava in uno sperduto centro di provincia del regno napoletano
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